La mia vita, più o meno.

La leggenda del terzo rospo

Esistono delle ragazze che hanno una morbosa passione per i peluche. Entri nelle loro camerette e ti senti come stranamente osservato: per forza, perché da dietro ogni mobile sbucano le malvagie testoline di orsetti, elefantini, uccellini, gattini, cagnolini, topolini, sticazzini, e tutti colorati con quelle inquietanti tonalità pastello. E le ragazze ti fanno eheheh sai, ho la passione dei peluche, e tu lentamente arretri e sorridi e annuisci, e segretamente elabori un piano per uscire vivo dalla camera di quella psicopatica. Ché te lo immagini già il momento in cui lei, con gli occhi iniettati di sangue e violenza pazzoide, ti chiederà di “fare un gioco”. Un gioco dove tu sei il suo pupazzetto. E il pupazzetto finisce squartato da un coltello da macellaio che lei ti conficca reiterate volte nel petto.
Sto scherzando, in realtà mi stanno simpatiche le persone che collezionano i pupazzi. Meglio pupazzi che cazzi, come si suol dire. Dio, questa era volgare, mi sa che ho perso una buona percentuale dei miei lettori più discreti e rispettabili, tipo quelli che ascoltano Povia. Vabbè. Ad ogni modo, pur non avendo mai avuto il pallino dei peluches, io ne posseggo diversi.
C’è Ted, che è quell’orsetto giallo che ti davano coi punti della benzina, quando ancora esistevano le raccolte punti dei distributori, che oggi è già tanto se ti danno la benzina. E di questo ho una foto su Instagram. Poi c’è Mr Pinco Pop, che è un tenerissimo orsetto arcobaleno, e anche di questo ho una foto su Instagram. Su Instagram ho anche il voodoo per allontanare gli ex (utilissimo questo, da quando ce l’ho si sono fidanzati tutti) e il neurone. In effetti, su Instagram ho foto di quasi tutti i miei pupazzi, ma insomma, meglio delle vostre Converse o di quel che mangiate a colazione. E poi ho Pippo, Flounder, Ciop (quello di Cip e Ciop ma senza Cip) e il maiale di Angry Birds.
Ma l’ultimo arrivato mi è stato regalato per Natale dalla mia amica Effe, quella figa e single di cui parlavo qua. Si tratta di un piccolo rospetto – che non somiglia affatto ad un rospo, sembra più un palloccorino verde con le zampe e la testolona dolce, ma sul bigliettino c’era scritto che è un rospo, e mi fido. Effe mi ha raccontato della leggenda che ruota attorno ai rospi di peluche: pare infatti che quando una persona riceve il terzo rospo troverà il Principe Azzurro.

Ovviamente è solo una leggenda. Una stupida leggenda. Tzé, chi ci crede. Stupida leggenda. Impossibile. Mica ci credo. Non sono vere queste cose, è chiaro. Rospi, pfui. Non funziona mica così.

Comunque oh, nel caso funzionasse, ma non funziona eh, ma dico nel caso funzionasse, io sono già al primo rospo. Non si sa mai.

Io e il rospetto (io sono quello a destra)

Cronaca acida di uno spaccato bibliotecario

Sono in biblioteca ed è appena successa una cosa gravissima: il distributore di merendine si è mangiato i miei sessanta centesimi senza darmi il pacchetto di schifezze che volevo legalmente acquistare, così ho dovuto sborsare altri preziosi sessanta centesimi e adesso queste patatine hanno l’amaro sapore della delusione.
Ho bisogno di distrarmi per non pensare al tragico accadimento. Potrei fare come questi due alla mia destra che si stanno sfidando a Ruzzle, o queste due alla mia sinistra che si stanno sfidando a Ruzzle, MA PERCHÉ NON CHIUDETE RUZZLE E ANDATE A SCOPARE? Scusate, sono le patatine che me lo fanno dire, scusate, scusate.
Niente Ruzzle per me, non mi va la rete sul cellulare. Allora potrei fare come questo qui davanti che studia, ma indossa sia la sciarpa che la maglietta a maniche corte, che è un po’ particolare come combinazione, no? Nel senso, faccio bene a non considerare che esiste per questa SCELTA ASSURDAMENTE IDIOTA, NO? Scusate, le patatine.
Mi concentro sul tavolo dei fighetti più in là, quelli che vengono qui non tanto per studiare, quanto per mostrare i loro maglioni attillati della Fred Perry e sbatterti in faccia il fatto che vanno in palestra. Bellini, sì, tutti ugualini, IL NUMERO SERIALE DOVE VE L’HANNO STAMPATO, SUL CERVELLO? ‘ste patatine, Dio, potenti.
Oh, ma ecco che la stragnocca si avvicina al tavolo dei fighetti. Tutti i fighetti si risvegliano e a turno cercano di fare una battuta per attirare l’interesse della femmina. Posso scorgere nei loro occhi la competizione per la conquista della di lei vagina. C’è quello con la felpa della Hollister (fighetto #1025) che è in clamoroso svantaggio, invece il finto nerd (#042) sembra recuperare punti rispetto a capelli-a-caschetto-in-stile-one-direction (#1D), che è dato per vincitore. Ma… aspettate… colpo di scena! Lei si va a sedere da sola, rispettando effettivamente la regola per la quale una lucchese non la dà mai. NON IN BIBLIOTECA, ALMENO. Patatine, sì.

Siamo tutti bipolari

Tempo fa sono uscito con un ragazzo che si autodefiniva bipolare. A dirla tutta si autodefiniva anche bisessuale, e questo mi ha fatto pensare che fosse inconsciamente attratto dalle parole che iniziano per bi, e magari indagando meglio avrei scoperto che si sarebbe autodefinito anche bimensile, bilocale, bimotore, binocolo, biossido di carbonio e bidet
(se non l’avete già capito: non è andata, e questo mi dà il permesso di parlarne malissimo e sputtanarlo in tutti i modi in tutti i luoghi e in tutti i laghi)
Ad ogni modo mi incuriosì questo suo rivelarmi, dopo appena mezz’ora di appuntamento, di essere affetto da una sindrome psichiatrica che può essere molto grave. Per carità: è vero che nel gergo comune si usa la parola bipolare come sinonimo di lunatico, ma questo tipo (che ricordo essere pelato, basso e brutto, l’ho già detto che non è andata?) studia Medicina, e ho pensato che un aspirante medico dovrebbe utilizzare la terminologia clinica un pochino più propriamente.
Per sincerarmi che non avrebbe avuto bisogno di un ansiolitico di lì a poco, gli ho chiesto cosa intendesse per “bipolare”. Eh – mi ha risposto – che cambio umore facilmente
Sì ciao. Tu non sei bipolare, tu sei lunatico, tu sei instabile, tu hai bisogno di recitare in un musical per sfogare il tuo smisurato egocentrismo, ma non sei bipolare. Non è andata, vi rammento, abbiate pietà. Gli ho detto: beh, senti, ne riparliamo dopo che hai dato Psichiatria.
Questo appuntamento mi ha fatto riflettere riguardo varie cose: intanto che un sacco di gente photoshoppa esageratamente le foto che ti manda in chat. E poi che c’è una differenza tra l’essere interessanti e il volerlo essere. Se sono costretto a inventarmi di avere un disturbo psichiatrico per attirare l’attenzione, ho davvero bisogno di una flebo di autostima. 
Nel senso, meglio aprirsi un blog.

Uccelli acidi

Il 2013 è iniziato da una decina di giorni, abbiamo stilato la nostra lista di buoni propositi e abbiamo anche già fatto in tempo ad infrangerli tutti. Le nostre vite sociali stanno subendo un processo di lento disgregamento grazie soprattutto al diffondersi di Ruzzle e siamo anche vicini al completo atterrimento morale causato da una propaganda elettorale la quale, come direbbero i francesi, ci ha già disintegrato i coglioni. Questo è il mio ottimistico report riguardante i primi giorni di Gennaio.
Per quanto mi riguarda, sono stati nove giorni particolarmente intensi. Ho dato il mio ultimo esame prima della laurea in informatica. Questo esame consisteva in un progetto che ho chiamato Acid Birds, sì esatto: Uccelli acidi, tanto per dimostrare al mondo che sono stato proprio io a realizzarlo: in parole povere si tratta di un giochino il cui unico scopo è far esplodere delle palline contenenti la faccia di Lady Gaga, Silvio Berlusconi o una persona di cui l’utente può caricare una foto. Tipo i tuoi ex, per fare un esempio fantasioso. 
Non è stato semplice, specialmente perché a quattro giorni dalla discussione tutto il lavoro di mesi ha iniziato a non funzionare. Avreste potuto assistere a scene altamente melodrammatiche come quella in cui ero in biblioteca, solo, che piangevo ascoltando le canzoni più tristi di Elisa e intanto visualizzavo mentalmente l’unica soluzione che mi pareva possibile e cioè la cocaina.

Devo ringraziare i miei amici e colleghi, in particolar modo Alan e Lore, per tutto il sostegno – informatico e morale – che mi hanno elargito. Devo ringraziarli anche per il tatto con cui mi hanno spiegato che il mio codice sembrava copiato dal Necronomicon e che no, Ale, effettivamente non torna un cazzo, ma stai calmo.

Ma tutto è bene quel che finisce bene. O, più propriamente, che non dà errori a tempo di esecuzione. E il professore mi ha passato ed è stato devo dire molto corretto. Mi sono premiato regalandomi un giubbetto di jeans che fa un pochino troppo anni ’90, ma l’ho sempre voluto un giubbetto di jeans, ed era a saldo, e comunque se mi ci vedete per strada vi offro la possibilità di non salutarmi, se proprio vi vergognate di farvi vedere con uno che pare uscito da Beverly Hills 90210.

Il 2013 è iniziato da una decina di giorni, forse abbiamo già infranto tutte le promesse che ci eravamo proposti, e forse Ruzzle fa davvero parte di un complotto per distruggere l’umanità, ma io sono deciso a non farmi abbattere. Non come le palline del mio esame, almeno.

Cosa fare per sentirsi un gay arrivato

Ieri pomeriggio ero in modalità suicidio-aspettami-che-arrivo e avevo tutte le intenzioni di annegarmi nella candeggina dopo aver scritto un pezzo tristissimo e strappalacrime, sapete tipo quella fiction che dettero qualche anno fa su Canale 5: si chiamava Incompreso e parlava di un bimbo sfigatissimo che decide di buttarsi in una piscina vuota e muore. Grandi pianti, nel mio salotto, quella sera.
Il fatto è che avevo appena fatto un giro su asos.com che mi aveva definitivamente atterrito: hanno assunto questo modello superbono ricciolo e moro e con la barba, di quelli che prima pensi È DIO! e poi Io uno così non l’avrò mai, e peraltro non posso permettermi nemmeno il maglione che indossa
Nonostante il mio umore drammatico, ieri sera è successa una cosa che segna una tappa importantissima nella mia esistenza omosessuale. Sapete, i gay hanno rituali molto sentiti per quanto riguarda la discoteca. Tipo: il primo Invisibile alla fragola, la prima serata passata quasi interamente nel bagno delle donne, la prima volta che balli Vogue, e altre cose ugualmente profonde
Poi ci sono i gadget. Quel momento della serata dove la drag queen arriva e, in preda al delirio indotto da tutta la cocaina che ha tirato, inizia a lanciare cose, come se fosse una specie di Babbo Natale con la parrucca e i tacchi. Vedete, i gadget sono molto difficili da prendere. Bisogna far fronte a una marea di difficoltà, come per esempio i temibili omosessuali alti, o le lesbiche che giocano a basket – cioè tutte – che sono molto agili e scattanti, e soprattutto quelle creature deliziose che conoscono tutti i balletti e appena vedono qualche animatore sventolare un gadget si fiondano sotto al palco urlando istericamente e sgomitando e facendo qualche mossa di qualche video di Beyoncé e che Dio se le prenda il prima possibile, cazzarola.
E insomma mi trovavo nei pressi del palco, ieri sera, quando è arrivata Regina Miami a lanciare magliette. Io l’ho guardata sconsolato, pensando che non ce l’avrei mai fatta, perché di solito le cose le vincono gli altri, non tocca mai a te. Poi c’è stato qualcosa. Ho detto Ce la posso fare. Ho fatto un salto al momento giusto, e ho allungato il braccio verso il gadget, che stava per scivolarmi via, ma io ho detto Ce la posso fare, e l’ho afferrato. Una maglietta blu elettrico che probabilmente non metterò mai e poi mai era appena diventata mia.
Sento che c’è qualcosa di metaforico in tutto questo, tipo che forse se fossi più propositivo nel pormi degli obiettivi e se li affrontassi con maggiore convinzione magari li realizzerei e la soddisfazione sarebbe ancora più grande, ma non ho voglia di scrivere anche stavolta un post con la moralina finale, per cui eviterò di sviscerare l’allegoria.
Ops.

Mi pare di arguire che oggi è il 12/12/12

Mi pare di arguire che oggi è il 12/12/12, come mi viene ricordato da calendario, cellulare, radio, tv, giornali, blog, twitter e praticamente metà dei miei contatti facebook – ragazzi, ma se ci emozionano così tanto ‘ste cose, non so, compriamoci la wii, o un libro sui templari. Comunque, oggi è davvero un giorno speciale: non solo per la data simpatica fatta di numeri tutti uguali (l’anno scorso era di tutti 1 e per l’occasione scrissi due post: link1, link2), ma soprattutto perché la mia sorellina adorata e scema compie gli anni.
Mia mamma l’altro giorno mi fa: “Ale, perché non le organizziamo una colazione a sorpresa per farle gli auguri prima di tutti?”, “Oh, madre, che idea deliziuosa!”, “Bene, fallo tu. E muoviti, anche”
A parte la crudeltà di mia mamma, una colazione a sorpresa è un’idea carina: il festeggiato si sveglia ed è talmente rincoglionito che non ce la fa a sospettare una colazione in suo onore. Tuttavia va organizzata bene. Conscio di questo, mi sono chiesto: cosa farebbe Enzo Miccio al mio posto? A parte indossare un completo beige, credersi bello e assumere una faccia schifata da prendere a ciaffate, che è l’espressione naturale di Enzo Miccio.
Allora ho pensato ad un cd con alcune canzoni importanti, poi dei manifestini con delle foto che la mettessero in terribile imbarazzo, poi una tovaglia bianca con disegnato sopra qualcosa di gay e colorato, poi il regalo e infine dei palloncini.
Ebbene, ieri sera parto e vado a comprare ‘sti palloncini. Entro in una cosa come due milioni di negozi. Alla Coop non ce li avevano. Al Brico neppure. Cartolandia era chiuso, così pure un’edicola vicina, ed era chiuso anche Cartè, anche se c’era dentro una commessa che non mi ha voluto aprire e che per questo non dico che spero che soffochi schiacciata da Moira Orfei, ma qualcosa di simile, ecco. Infine sono andato dai cinesi. 
Quando ci viene il timore che l’Oriente conquisterà l’Europa, non occorre addurre motivazioni economico-sociali: basta entrare in un negozio di cinesi. Sono sconfinati, hanno in diffusione qualcosa di nippo-trash-dance, sono pieni di oggetti tamarri e mutande sempre troppo larghe. Eppure avevano i miei palloncini, così li afferro con gaudio e torno a casa soddisfatto.
E questo è il risultato. Una colazione a sorpresa, dove incombe un’invisibile presenza cinese.

Esclusivo: ho scoperto a cosa serve twitter

Era venerdì sera, e io avevo due ore di tempo prima che i miei amici mi venissero a prendere per portarmi a vivere la notte. Ho sempre voluto dirla, ‘sta cosa del vivere la notte, fa così tanto pubblicità di una birra a target giovanile.
Avrei potuto impiegare il tempo in milioni di modi socialmente utili. Andare avanti con la tesi, leggere un saggio russo, sgranare i fagioli.
E invece mi sono connesso a twitter.
Sì, su twitter sono simpatico come una chiave inglese su per il naso. È che mi devo adeguare agli standard di snobbismo, capite. Comunque, non contento di aver già perso abbastanza tempo, dopo poco pubblico un secondo tweet. E poi un terzo.
Tralasciando la mia ironia indubbiamente meritevole di una testata ben assestata, la cosa interessante è che i miei follower iniziano a rispondermi.
Dopo che Michela mi fa vedere un estratto di Friends in cui Ross viene sputtanato per i suoi pantaloni di pelle, rinuncio definitivamente all’idea di indossarli. Tra l’altro ne avevo già parlato qui dei miei skinny di pelle, e del fatto che sono praticamente impossibili da togliere da sobrio. Comunque, mi viene in mente un’idea GENIALE. 
La risposta del popolo di twitter è entusiasta. Neanche a X Factor votano così in tanti.
 
 
In preda al panico per la marea di pareri ricevuti, decido di chiamare il mio amico Ciuffo per un’ultima, definitiva consulenza. E ovviamente twitto il responso.

. . .
Grazie a micaMichela posso finalmente farmi una bimbominkiosissima foto nel bagno e soddisfare il mio ego. Ho aspettato questo momento da secoli.
Ed è così che ho scoperto a cosa serve twitter: a NIENTE. Però devo ammettere che, a volte, riesci ad ottenere qualche soddisfazione
Adesso mi sento definitivamente arrivato.

La sindrome del bravo ragazzo #1

– Parte prima –
– Non sono un criminale –
Mi trovo a mensa, in fila alla cassa. Sto pensando a quanto gli One Direction siano così piccoli e tenerini che potrebbero essere assimilati alla versione maschile senza poteri delle Winx, quando mi accorgo che è il mio turno. Estraggo la tessera e la passo nel lettore. “Hai superato il credito!”, mi fa la tizia alla cassa con un’aria visibilmente allarmata. Stai calma, Dio Santo, neanche avessi offeso tua sorella, che tra parentesi è scema. 
Allora acquisto una ricarica da cinque euro. 
Mi sposto sul banco del sale, del pepe, del sale iodato, della maionese e del ketchup su cui appoggio il mio vassoio intanto che faccio la ricarica. La tizia, sperando chiaramente di raggiungere il grado di ditoinculismo massimo, arriva e mi porta via il vassoio. A questo punto della narrazione è necessaria una mappetta per farvi capire meglio.
Okay, in realtà la mappetta è completamente inutile ma mi sono divertito a disegnarla, AHAHAH.
Per farvela breve, la tizia alla cassa aveva messo in salvo il mio vassoio temendo che io potessi fuggire col cibo senza pagare il mio pasto, consistente in: uno (1) yogurt all’albicocca, ottanta (80) grammi di pasta panna e pesto e un (1) piatto di fagiolini che poi avrei scoperto gradevoli quanto mangiare il polistirolo.
Ora, io non sono un criminale. La cosa criminale più vicina a me è che qualche mese fa sono uscito con uno che credo sia il vicino di quella che hanno rapito a Gello, il che significa che probabilmente sono uscito con un assassino, ma per il resto ho la fedina penale pulita.
Non sono un criminale, me lo si legge in faccia. Sono ragionevolmente sicuro del fatto che se unisci i punti neri del mio viso da sinistra verso destra viene fuori la scritta BRAVO RAGAZZO. (Su due righe, chiaro.) 
E non è che la cosa mi faccia piacere. Primo, perché ho una faccia non particolarmente espressiva che quando non sto pensando a niente scatta l’automatica impressione che io sia tonto. E secondo, perché metti caso che ogni tanto io voglia fare lo stronzo, non posso perché non sono credibile.
Per cui, Cristo Santo, prenditi questa tessera e ridammi il mio cibo. L’evento che vi ho appena raccontato, che si è concluso con un lieto fine – cioè con io che finalmente pranzo – mi ha fatto pensare a numerose considerazioni sull’esistenza che per il momento non vi esporrò. Devo ancora digerire i fagiolini.

L’intesa dei single

Arriva quel momento, nella vita di un single, in cui ti rendi conto che è passato un periodo di tempo consistente dall’ultima volta che qualcuno ha pensato anche solo vagamente all’eventualità che tu potresti, forse e sempre che i vostri profili astrali siano compatibili, essere il suo partner. 
Quando lo realizzi di solito stai facendo cose come – esempio puramente casuale non necessariamente riferito al mio vissuto – aggiungere utenti di twitter in base al numero di addominali che si vedono nella fotina, ma sei costretto ad interrompere questa vitale attività per iniziare ad enucleare a te stesso tutta una serie di gigantesche paturnie che successivamente sentirai di dover condividere con qualcuno.
Qualcuno, appunto. Chi è il prescelto che deve essere affogato nelle mie paranoie? Di solito io scelgo di ammorbare Effe, che è una mia amica con cui ho in comune diverse cose, come il sarcasmo attraverso cui filtriamo la vita, la passione per Just Dance che forse era meglio non scrivere sul blog, l’odio verso la moda del leopardato e infine il fatto di essere entrambi single.
Ora affermerò una cosa molto impopolare che tutti cercheranno di smentire (e io li lascerò smentire, tanto che me ne frega), e cioè che una persona fidanzata ragiona in una maniera diversa di come ragionerebbe/ragionava da single. Non è un’offesa, tranquilli, è solo una constatazione. Così come questo seduto accanto a me in biblioteca: puzza. Ma non è un’offesa, è solo una constatazione, una bruttissima constatazione che i miei ricettori olfattivi avrebbero preferito non constatare.
Ho una teoria: che quando ti fidanzi, oltre a tutti quegli odiosi effetti collaterali tipo che diventi monotematico, che inizia a piacerti Baglioni e che sembri psicolabile, ti si azzera anche quella parte di memoria dove stanno le tue sensazioni da single. Perché se un fidanzato si ricordasse davvero di quando era single, non se ne uscirebbe con frasi come L’amore arriva quando meno te lo aspetti (se è della fazione Lo cerchi troppo, perché poi c’è anche la fazione Non lo cerchi abbastanza, i cui membri di solito ti dicono Se non lo cerchi, l’amore, come fai a trovarlo? o anche Tu hai paura di impegnarti! E poi c’è la fazione Tromba, per la quale il sesso è la risposta ad ogni problema, il che ti fa intuire anche come mai la gente si fidanza. Capite bene che uno non sa più con chi sfogarsi: qualunque cosa faccia sbaglia). 
( Parentesi. Qualche settimana fa in discoteca un tizio fidanzato si avvicina e, udite udite: senza che io gli avessi chiesto niente, mi fa “Tredici, se cerchi l’amore, l’amore non arriva. Non farlo”. Io ho sbattuto le palpebre ad una frequenza che nel linguaggio dello sbattimento di palpebre si traduce più o meno con MA CHE MINCHIETTA VUOI e ho risposto buttando giù il mio Invisibile Imbevibile alla Fragola. )
Cari fidanzati, se volete interagire intelligentemente con un single, dovete prendere esempio dalla mia amica Giò, che ogni tanto parte e dice Tredici, io proprio non capisco come mai sei single: sei divertente, sei intelligente, sei carino, sei interessante, hai un sacco di passioni, e tutta un’altra serie di complimenti dalla dubbia veridicità che la prossima volta mi appunterò per riportarli fedelmente nella mia descrizione sulla chat.
Ma a parte Giò e una cerchia ristrettissima di individui fidanzati con cui posso decidere di parlare di me, è ovvio che io preferisca Effe. Perché tra single ci capiamo subito. Perché abbiamo bisogno di sprecare ore della nostra vita a riempirci di stronzate sul motivo della nostra condizione, a dirci quelle cose inutili e sbagliate tipo Sei troppo per lui o Non ti vuole perché lo spaventi, a raccontarci che un tempo in Tibet eri più interessante quante più collanine avevi addosso (e in quel caso ci sarebbe bastato svaligiare il reparto accessori di H&M), a sputtanare tutti i vari oroscopi che è dall’alba dei tempi che prevedono incontri romantici per Acquari e Capricorni che io a quest’ora sarei sposato per tre religioni diverse, a linkarci canzoni di Marina Rei o Carmen Consoli che rispecchiano il nostro stato d’animo, a rassicurarci da soli che prima o poi arriva. 

Svitatopoli


– Lucca Comics and Games 2012 –
Sono solito associare il mese di Novembre a due cose: numero uno, che prima o poi qualcuno nel tuo gruppo di amici ti chiederà cosa si fa per Capodanno, dando vita così ad una serie di gigantesche turbe psichiche che attraversano varie fasi. Una prima fase di vuoto totale, seguita da una seconda in cui elenco compulsivamente tutte le alternative che mi sovvengono (“A casa di questo? A casa di quello? Alla festa di tizio? In discoteca? In piazza? Aspettate, ci sono: ANDIAMO A ROMA!”) e infine, quando ormai l’ansia ha raggiunto livelli drammatici, c’è la terza fase chiamata Ma magari mi ammalo, in cui è possibile vedermi in mutande e canottiera pedalare per le vie del mio paesino il 20 di Dicembre. Poi succede che per fortuna mi internano e così passo l’ultimo dell’anno insieme agli infermieri del reparto psichiatrico che mi tengono fermo mentre ballo il disco samba.

Ma la seconda cosa che collego a Novembre sono i Lucca Comics and Games.

Lucca Comics and Games è la più grande fiera italiana, e terza nel mondo, dedicata al fumetto, ai giochi, ai videogiochi, all’animazione e a tutto ciò che riguarda il fantasy. Per quattro giorni la città si riempie di padiglioni, mostre, fumetti, libri, giochi, film, costumi e, sopratutto, gente.

Vivo in una città bellissima. Per quanto sia contrario a questo aggettivo a volte troppo inflazionato, c’è poco da fare: Lucca è una città bellissima. Eppure non si può dire che sia una città molto viva: le cose da fare sono sempre le stesse e cioè una manciata di pub e di cinema e il vuoto disperato in qualsiasi momento che non è sabato sera. È per questo che nel periodo dei Comics è tanto divertente uscire: perché vengono sfruttate davvero tutte le opportunità che Lucca offre, che sarebbero infinite.

E poi c’è un altro motivo che mi fa amare alla follia i Lucca Comics and Games. Che vai in giro per la città e vedi ragazzi impazzire perché nello stand là c’hanno il primo numero di un qualche fumetto, o vedi in giro persone mascherate dai personaggi di videogiochi o di cartoni animati o più probabilmente di manga di cui ignori l’esistenza, oppure senti dei discorsi tipo “Infliggi un danno a una creatura bersaglio” “Sì ma devi tappare tre montagne” “Contromagia” “No che stronzo”, oppure sei lì che passeggi sulle Mura di notte e ti ritrovi nel bel mezzo di una battaglia, con due eserciti armati di spade di gomma che se le danno di santa ragione e si incitano al grido di Dalle ceneri alla vittoria!, oppure che ti ritrovi al concerto di Giorgio Vanni a cantare a squarciagola la sigla dei Pokemon, oppure puoi assistere allo spettacolo impagabile di un bambino a cui si illumina il viso perché ha visto Spiderman che è il suo eroe preferito e adesso lo abbraccia forte e ci fa la foto insieme.

Foto di Laura Leitermann

Sapete, i lucchesi sono animali un po’ strani. C’è tutta una categoria di lucchesi che pensa di vivere a Milano. O meglio, vorrebbe vivere a Milano, ma senza il caos di Milano. Quando cresci a Lucca, sei portato a pensare che la cosa giusta da fare nel weekend sia indossare pantaloni beige e maglioncino firmato e andare nel tuo solito localino a fare un ape con lo spritz mentre parli di calcio o della tipa che hai conosciuto in palestra.
Poi cresci, e capisci che non è necessario sottostare a queste regole sociali, ma non importa, perché per quattro giorni all’anno puoi rivendicare il tuo diritto di avere passioni diverse, di essere diverso, di appartenere a quella amabile popolazione di svitati che invade la città, di essere un orgoglioso cittadino di Svitatopoli.

Foto di Laura Leitermann, Francesca Ramacciotti e mie

Ecco perché amo Lucca Comics and Games. Perché abbiamo trecentosessantuno giorni l’anno per non avere le strade bloccate dal traffico o la rete cellulare che funziona, abbiamo trecentosessantuno giorni l’anno per fare le stesse cose e dormire, abbiamo trecentosessantuno giorni l’anno per essere tutti uguali e tutti giusti, ma ne abbiamo solo quattro per essere felicemente svitati.

A proposito. Io, ai Comics, mi sono comprato un neurone: