La mia vita, più o meno.

Tredici Horror Story

Halloween è quella festa straordinaria che assolve due funzioni: innanzitutto rimanda al primo Novembre il quesito su dove passare il Capodanno, visto che da Ferragosto in poi il quesito riguarda il dove passare Halloween; e poi permette di fare un po’ di polemica ai poveri preti che altrimenti mai si sognerebbero di tentare un’influenza invasiva nella vita delle persone.
Come per le serie televisive americane, ho deciso che anch’io quest’anno farò la puntata di Halloween, qui sul mio blog. Infatti avevo in mente una delle mie odiose robe melodrammatiche e spaccacuore ti ho detto di mirare spara spara spara amore su non pensarci più che cosa vuoi aspettare spara spara spara amore. Volevo fare un sagace parallelismo tra i mostri di questa festa e i metaforici fantasmi della vita vera: mai come questo anno ho capito che “gli spettri abitano dimore gotiche, come succede in Edgar Allan Poe, ma quelli che fanno più paura sono qui a ricordare il tempo agli uomini” e che i fantasmi “ci puoi morire se li lasci fare” e un sacco di altre cose deprimenti stile musical di Cocciante.
Questo era l’obiettivo, dunque, se non che torno a casa dopo aver visto La vita di Adele (quindi ero partito per il cinema due giorni prima, portandomi dietro qualche cambio e una scorta di viveri) e mi metto a fare quello che faccio sempre –  uno si impegna per cambiare vita, ma certe cose le senti dentro, nelle ossa, nelle vene, non ci potrai mai rinunciare, perché quelle cose fanno parte di te – e cioè mangiare biscotti. Sì, ognuno si sente qualcosa nelle vene. Io c’ho i carboidrati.
Tutto ad un tratto sento un rumore fortissimo, che sembrava provenire dal bagno. 
VRRRRRRRRRRRRRRRRR, tipo. 
Poi SBAM, SBAM, SBADABAM, dei tonfi preoccupanti. 
Diciamo che mi inquieto. Una gocciola tarocca della Lidl mi rimane conficcata nell’epiglottide, qualsiasi cosa sia l’epiglottide. Siccome è Halloween, mi sento legittimato a fare cose estremamente coraggiose e mi avvicino al bagno. Per darmi forza canticchio Amami Alfredo tra me e me. Apro la porta. La scena che mi si para davanti è sconcertante: la lavatrice, che solitamente sta in un angolo, era nel mezzo della stanza, circondata da flaconi di detersivi che solitamente stanno sopra di essa. Per farvela breve, la mia lavatrice è viva e non si limita a mangiare calzini come fanno tutte le lavatrici vive normali tra cui quella di Capossela, no: la mia si muove e crea scompiglio, diventando a tutti gli effetti una creatura mostruosa di gran lunga più terrificante dei vampiri. 
Buon Halloween a tutti, specialmente ai testimoni di Geova.

Il mio primo giorno di scuola

(nell’articolo che vi state malauguratamente accingendo a leggere sarebbe stato presente reiterate volte l’aggettivo “bello”: per prendere le distanze da questa imperversante povertà lessicale che si manifesta in un inflazionato utilizzo del suddetto aggettivo, l’autore ha deciso di rimpiazzarlo con una parola casuale scelta dal dizionario tedesco, e cioè guglhupf)
La cosa davvero guglhupf di ricominciare la scuola a ventiquattro anni è che hai a disposizione un senso critico ormai formato, uno spirito tendenzialmente riflessivo e sopratutto una straordinaria capacità di essere in ansia. Contrariamente a quanto si può pensare, tutto ciò è abbastanza guglhupf perché ti permette di godere e di essere consapevole di quelle sensazioni che da piccolo negli anni Novanta non puoi percepire, probabilmente a causa del potere obnubilante della sigla di Solletico
È il primo giorno di scuola – il primo giorno della nuova scuola – e io sono emozionato come lo si è il primo giorno di scuola. Non è facile superare la notte: delle poche ore che ho dormito, ne ho passate svariate a sognare situazioni inquietanti tipo il mio amico che si lascia e io che gli urlo che non lo posso consolare perché è il mio primo giorno di scuola.
Ma finalmente arriva l’alba.
NAAAAZVEGNAAAAAA TARARI TARARAAAA
E io mi sveglio, se così si può definire quel momento in cui si ammette a noi stessi che non prenderemo più sonno quindi tanto vale alzarsi. Durante la notte mi ero appuntato nella mente che probabilmente avrei dovuto portare qualcosa per scrivere, così inizio a cercare un supporto decente per i miei appunti. E trovo solo fogliacci di brutta. E già mi figuro la scena “mi scusi signor Baricco ma proprio non ho avuto tempo ma davvero lei dice che è così importante il fatto che stia scrivendo sul retro degli scontrini della Lidl?”
Quando ho saputo di essere ammesso era Luglio: ho avuto svariati mesi per perfezionare l’outfit che avrei sfoggiato il mio primo giorno di scuola. Ora, nonostante sia stato capace di superare una selezione di ammissione a una scuola, rimango pur sempre un povero demente: non mi ha nemmeno lontanamente sfiorato il pensiero che a Ottobre, a Torino, avrebbe potuto fare freddo. Me ne accorgo quando apro la finestra e percepisco una simpatica brezza pseudo artica sfiorarmi la pelle e congelarmi i polmoni. La catastrofe. Per nulla guglhupf. 
Mi reinvento un outfit (Dio benedica le maglie a righine, adolescenziali ma distintive!) ed esco. Per poco non mi faccio investire da una Mini, passo alcuni secondi a sperare di non finire sulla colonnina di destra di Repubblica.it (studente ucciso da una Mini, il padre “almeno fosse stata una Golf”) ma poi realizzo di essere vivo. E arrivo a scuola.
Così comincia il mio primo giorno di scuola.
Mi piacerebbe dirvi come continua, ma non lo faccio, non adesso. Diciamo intanto che sono cazzi miei, e diciamo che c’è una frase, dipinta su un muro della scuola, che ci hanno spiegato che è importante. Ci hanno detto che alcuni non la capiscono nemmeno dopo anni, ma qualcosa mi dice che ha a che fare col fatto che per ora, la mia storia qui, la tengo per me.
Diciamo solo che è tutto meravigliosamente guglhupf.


Roba tragicomica sul mio trasferimento a Torino

Ebbene, è giunta l’ora di renderlo ufficiale: mi sono stabilmente insediato a Torino, e vi prego di notare il verbo “insediare”, lo stesso che i libri di storia enunciano per descrivere i Sumeri nell’atto di stanziarsi nella mezzaluna fertile. Se i Sumeri avessero scelto il Po al posto del Tigri e dell’Eufrate, sicuramente la mezzaluna fertile sarebbe stata la mia mansarda, un delizioso ricettacolo di polvere e fango in cui crescerebbe qualsiasi coltura possibile. In realtà amo la mia stanza, ora che l’ho disinfettata con l’acido muriatico e cinquecento Padre Nostro
I miei coinquilini sono dei ganzi, e non lo dico perché potrebbero leggere il mio blog, anche se è uno dei motivi. Uno lo chiameremo coinquilino biondo (perché è biondo) e l’altro coinquilino coi baffi (perché ha i baffi). Ho la vaga impressione che mi credano pazzo, forse perché canto la sigla di Ciao Belli mentre lavo i piatti o mi aggiro per la casa cercando dello spago – quello coi baffi mi ha chiesto con una certa apprensione se mi sarebbe servito per suicidarmi. 
Il coinquilino biondo invece ha deciso che la sua missione è farmi smettere di mangiare pasta. Ora, dovete sapere che le mie esperienze culinarie non sono molte, sono arrivato qui che sapevo giusto farmi i toast e mescolare i cereali nello yogurt, per cui farmi la pasta mi sembrava già un traguardo importante. E invece lui si è fissato che mangio solo pasta e devo imparare a fare altre cose. Quindi, a una settimana dal mio arrivo, so cucinare: pasta quasi in tutti i modi, insalata, uova sode, carote lesse, carote in umido, medaglione di carne, medaglione di carne con sottiletta, medaglione di carne con due sottilette, toast e yogurt coi cereali. Poi so aprire le scatolette di tonno, affettare il pane, versare l’acqua nel bicchiere e altre cose di pari livello.
Mercoledì sono stato all’Ikea. No, voi non potete capire la sensazione che si prova ad avere l’Ikea a pochi minuti da casa. Ragazzi, è meglio di Disneyland. Se stai a Lucca e vuoi andare a litigare all’Ikea, devi farti tre quarti d’ora di macchina fino a Sesto Fiorentino: QUI IN DIECI FERMATE DI METRO CI SEI, pronto a rovinare ogni tua eventuale relazione sentimentale con una discussione riguardante questioni etiche decisive come ad esempio l’utilità dei paraspigoli Patrull. Dio, l’Ikea. Ho speso trenta euro e non so cosa ho comprato. L’Ikea ha un fascino pericoloso: ti illude di essere economica ma alla cassa ti ritrovi con trenta euro in meno e una saccata di graziosi ganci Bygel (due a un euro, ragazzi, due a un euro). Il mio amico mi ha trascinato via mentre piangevo perché volevo tutto: “Lorenzo, ma non capisci, io ho BISOGNO dell’affettamela Spritta!!!”.
Il tempo non è proprio dei migliori, sembra di stare a Londra, solo che non ci sono Starbucks. Il cielo è coperto da questa pellicola grigia e pare che fino al prossimo mercoledì non vedremo uno straccio di azzurro – questo secondo l’ottimistica app del coinquilino biondo. Nell’attesa (cioè speranza) che spunti il sole, faccio cose, vedo gente, vado al mercato, giro in bici, compro robe, e tutto canticchiando i Beatles.

Cerco casa disperatamente

Come forse sapete, d’altronde è solo la notizia più popolare in questi giorni dopo la nascita del Royal Baby, a inizio autunno mi dovrò trasferire a Torino per studiare (e possibilmente lavorare). La cosa mi elettrizza oltremodo e, nonostante abbia iniziato questa frase solo per poter scrivere “oltremodo” che è un avverbio desueto ma molto chic, non vedo l’ora di cominciare questa nuova avventura. Certo, lascerò qua alcune persone a cui voglio un kappa di bi, ma direi che alle cose melodrammatiche ci penserò più avanti: prima ci sono alcune terrificanti problematiche da risolvere. Per esempio, trovare casa.
Ora, dovete sapere che io sono proprio inesperto in questo campo. Avendo fatto l’università a Pisa, mi è sempre convenuto pendolare da casa alla facoltà tutti i giorni, tanto i mezzi pubblici lucchesi fanno solo quei quaranta minuti di ritardo che ben concorrono al nobile scopo di farti integrare in una società di proletari incazzati.
Affronterò la questione suddividendo tutte le mie turbe in pratici paragrafetti.

TIPO DI ALLOGGIO
Coabitare con altre persone comporta necessariamente la condivisione di alcuni spazi comuni, come il bagno e la cucina, e il rischio di -udite udite- dover socializzare con esseri umani. Tali esseri umani potrebbero essere antipatici, sporchi, irrispettosi, omofobi, saccenti, casinisti o, infine, ingegneri. D’altro canto, vivere in un monolocale per conto mio significa avere più spese da non poter dividere, oltre al fatto che sarei sempre solo e che in una mansarda di quindici metri quadri rischio di sclerare. Perciò, coabitazione o monolocale? Ho deciso che mi vanno bene entrambe le opzioni e do la priorità al risparmio. Attualmente mi sto concentrando su una camera singola ma in una casa con altre persone.
TIPOLOGIA DI COINQUILINI
Nel caso, più probabile in effetti, in cui mi trovassi a valutare una casa per coabitare, le mie amiche esperte in coinquilini di merda mi hanno fornito alcune dritte per identificare la fauna umana migliore. Hanno cominciato a snocciolarmi informazioni che riporto:
– no più di cinque per casa
– no musicisti
– no coppie
– no disoccupati
– no matricole
– no over 30
– no americani
– no prostitute ucraine
– no mammoni
– no cagacazzi
Praticamente devo rivolgermi a un’agenzia di casting.
ZONA DELLA CITTÀ
Attualmente sto dando la priorità alla zona della città in cui abitare. Ci sono zone più o meno care, zone più o meno tranquille, zone più o meno pericolose, come in ogni città. Inizialmente un parametro di scelta era quello della distanza, ma poi ho scoperto che la mia scuola si trova nel baricentro preciso dei nuclei criminali di Torino, come possiamo vedere dalla seguente mappina.
Ora, i vantaggi di abitare in quella zona sono molteplici: sarei vicinissimo alla scuola e le case costano di meno. D’altra parte, c’è da tenere presente l’importantissimo coefficiente PARA. Vedete, ogni essere umano ha dentro di sé un valore variabile che misura la sua tendenza ad essere paranoico. Per esempio, uno può sbattersene altamente se sotto casa due rumeni si stanno accoltellando oppure può trovare la cosa più preoccupante. 
Vediamo dove mi colloco io nella scala di paranoia:

Come potete vedere, per quanto mi piacciano gli scambi culturali, le esperienze adrenaliniche e i rischi del mestiere, tendo ad una certa prudenza. Per cui sto optando per un alloggio un po’ più lontano dalla scuola ma che non mi faccia impazzire.

Questo è quanto. Se avete consigli, suggerimenti, contatti, sono tutti ben accetti.

Russian roulette

È strano come passino mesi senza che tu senta parlare di una certa cosa, e poi in un solo giorno ti capita di averci a che fare diverse volte. Non vi è mai capitato? A me sì, ieri. L’ultima volta che avevo sentito parlare della Russia era quando mi sono informato sulla nazionalità delle Serebro, che sarebbero quelle graziose signorine che cantano Mama lover.
Nella foto, le Serebro mentre si allenano in macchina:
ogni occasione è buona per esercitarsi.
Invece, ieri ho avuto a che fare con la Russia per tre volte.
#1, Anna Karenina
Nella foto, Belen dove
si meriterebbe di stare

Sono andato al cinema all’aperto a vedere Anna Karenina, che praticamente è la storia di una donna che diventa molto libertina e per questo viene denigrata dall’alta società. Un po’ come Belen Rodriguez, se solo Belen Rodriguez non parlasse come un tricheco ferito, e se solo Belen Rodriguez fosse bella almeno un briciolo di quanto è bella Keira Knightley, e insomma non so se si è capito ma Belen Rodriguez non mi sta tanto simpatica.
Andare a vedere Anna Karenina si è rivelata una bella esperienza per vari motivi, che vado ad elencare: il conte Vronskij; il film che tutto sommato ha delle trovate interessanti; i baffi del conte Vronskij; la fauna umana presente in sala, costituita dal 95% da donne sulla cinquantina; gli occhi del conte Vronskij; nei momenti di più alta drammaticità, percepire gli eterosessuali maschi che se li dormivano sonoramente; le mani del conte Vronskij, sì, anche le mani.
#2, il tizio di Grindr che parla solo russo
Le premesse non erano delle migliori, insomma. Ma se c’è una cosa che ho imparato dalla Bibbia, è che quando sei curioso non è un reato così grave affidarsi a Satana. Che in questo caso è Google Translate. È iniziata una simpatica conversazione sull’Italia e sulla Russia, che è stata curiosamente interrotta quando mi ha chiesto se io avessi un’attività o una passività.
Tornato dal cinema, mi dispiaceva averlo abbandonato lì e allora gli ho chiesto quando sarebbe partito, e lui ha risposto che il giorno successivo sarebbe tornato a Mosca, e io mi sono tanto sentito Anna Karenina quando il conte Vronskij le dice che l’esercito lo convocava in quella fredda città del nord dove lui sarebbe morto pensando a lei e tutte le donnette in sala piangevano tranne quella che se ne è uscita con una considerazione piuttosto fuori luogo sulla collana di Keira Knightley. 
#3, Putin approva la legge anti-gay
Già. In questi giorni in Russia ci sono degli scontri perché è stata appena approvata la legge che vieta la propaganda omosessuale. È una cosa che fa rabbrividire. In Russia non si può parlare bene di omosessualità, non si può parlare di gay ai minori, non si può far parte di associazioni che difendono i diritti lgbt, non si può essere pubblicamente omosessuali. Putin minaccia anche di sospendere i rapporti con i Paesi che permettono ai gay di sposarsi. Non è niente, se si pensa che in alcuni Stati l’omosessualità è punibile con la condanna a morte, ma a me fa strano pensare a questa situazione quando qui litighiamo su quanto sia o non sia esagerato un Gay Pride.

Il foglietto illustrativo

Siccome quella fastidiosa e invalidante malattia dell’omosessualità non era sufficiente, ho appena scoperto di essere anche affetto da una leggera anemia. Niente di grave, comunque: è tutta una scusa per mangiare più rosticciana. Ad ogni modo, il dottore mi ha prescritto degli integratori di ferro da unire alla mia dieta: sono pilloline rosa molto gay e si chiamano TardyFer (lo scrivo col solo scopo di attirare qua lo spam delle case farmaceutiche, perché sinceramente mi sono rotto di cancellare i commenti di queste fantomatiche tizie che pubblicizzano sul mio blog simpatiche performance erotiche: insomma, datemi dello spam normale, non so, pubblicizzatemi cose come la droga o Alemanno, ma basta sesso, basta, ve lo chiedo per favore).
Ora, apro la confezione degli integratori e sfilo il foglietto illustrativo. Innanzitutto diciamo che l’utilizzo del termine “foglietto”, come se si trattasse di uno strappo di carta igienica, è totalmente improprio. Mi sono trovato a srotolare un papiro che potrebbe tranquillamente contenere un bignami dei Promessi Sposi. 
In secondo luogo: che ansia. Assumendo un’innocente pasticchina rosa io potrei contrarre*: nausea, stanchezza, mal di stomaco, diarrea, feci di colore nero, reazioni allergiche della pelle come orticaria, eruzione cutanea, prurito, avvelenamento, improvvisa voglia di cantare come Vasco Rossi, ginocchio della lavandaia, colera, morte, piedi a papera, irritazione gastrointestinale, dondolamento, disperaptecsia, gomito del tennista, essere Giovanardi**, urina ballerina, desiderio di leggere Twilight al vicino sull’autobus, spoiler su Game of Thrones, coliche renali. Manca solo l’eterosessualità.
* alcuni dei seguenti effetti collaterali potrebbero non essere veri effetti collaterali
** nei casi più gravi

Istantanee riflessioni che meriterebbero dei post a parte se solo non fossi affetto da accidia intellettuale

#1
Per definire lo stato sociale di un individuo, più che compilare il RID, bisognerebbe analizzare i biglietti da visita dei propri barbieri. L’altro giorno stavo parlando col mio amico Lorenzo riguardo al fatto che avremmo dovuto andarci a tagliare i capelli, dato che lui sembra la versione cocainomane di James Blunt e io quella di Wolverine senza tutti quei muscoli né lo sguardo ammiccante né tutte le cose sexy di cui Hugh Jackman è invece fornito. Insomma è venuto fuori che il suo barbiere ha un biglietto da visita trasparente con epiche frasi in inglese tipo HAIR STYLIST e ti manda un sms automatico per ricordarti quando hai l’appuntamento, mentre il mio barbiere, che si chiama Paolo ed è sfatto dalla nicotina, ha un biglietto da visita su cui ti fa i timbrini, e se arrivi a dieci c’hai un taglio omaggio, che è una cosa utile ma fa un po’ reparto macelleria della Conad.

#2
Al mio corso di sceneggiatura c’è un ragazzo di sedici anni che dice di aver smesso di andare a scuola perché i giovani di oggi sono troppo superficiali. “Non è mica vero”, ho pensato io intanto che scribacchiavo una classifica di gradimento sui migliori remix delle Icona Pop. Comunque, al di là dei facili giudizi su questo ragazzo che comunque stimo anche perché è mio amico su facebook e c’è la possibilità che legga questo post per cui sono costretto a dire cose belle ora posso anche chiuderla questa parentesi priva di punteggiatura vi prego fatemi mettere una virgola, comunque, dicevo, c’è da dire che ha una cultura cinematografica immensa. Ha visto tutto Fellini, Antonioni, Kubrick, ha visto tutto ciò che c’è di importante. Ma ciò che non è importante? Non è altrettanto importante il cinema non importante? La prossima volta lo interrogo sulla filmografia di Lindsay Lohan, voglio vedere. E terminerò le domande dicendo “È tutto”, che è una chiara citazione di Meryl Streep ne Il diavolo veste Prada ma lui non potrà coglierla.
#3
Stanotte, invece del solito sogno sul mio ex che ormai so a memoria e tra l’altro approfitto per comunicare al mio inconscio che gradirei alquanto un leggero cambio di canovaccio se non proprio del finale ma insomma oggi m’è presa con questi periodi lunghi senza punteggiatura che neanche James Joyce, dicevo, stanotte ho sognato che ero in una taverna messicana con vari amici. A un certo punto arriva l’animazione del locale e mi mette davanti un boccale di roba grigia e una fetta di limone, e mi dice di bere. Io chiedo Is this a joke? perché evidentemente anche nei sogni e anche in inglese ho bisogno di essere preciso con la grammatica (una qualità che non serve a niente nella vita, ma ve ne parlerò poi) e questo tipo mi fa di sì con la testa e aggiunge che è una bevanda disgustosa fatta con latte e caffellatte. Così mi rifiuto di bere. E questo mi fa incazzare, innanzitutto perché latte + caffellatte = caffellatte, dove sta la disgustosità della cosa mi chiedo, e poi perché ho smesso di mettermi in gioco perfino nei sogni. E non va bene.

Regina Padre

– Parigi duemilaTredici –
#7

Sì, questo è il post che parla di Queen Father, uno dei miei blogger preferiti.
Ora, tanto per fare un dispetto a tutte le sue fan psicopatiche che da due settimane mi assillano con richieste di narrar loro il nostro incontro, e tanto per fare un dispetto anche al mio amico che non vedevo da un mese che la prima cosa che mi chiede su Parigi è stata Ma davvero hai visto Queen Father?!, brutta troia guarda che esisto anch’io, ecco, tanto per fare un dispetto a tutte queste persone, adesso farò una piccola premessa. A Parigi non cercavo risposte, solo suggerimenti. Spero che quelli che ho riportato in questi post vi siano piaciuti: per me raccontarveli è stato strano, perché di solito sono molto meno intimo nello scrivere i post sul blog e filtro i pensieri con un po’ di fantasia.
Ma veniamo a Queen Father: non vi racconterò di quello di cui abbiamo parlato, perché insomma saranno anche cazzi nostri. Non era un’intervista ad una celebrità, era un incontro con una persona della blogosfera che stimo. Tra l’altro sono arrivato con svariati minuti di ritardo perché era il giorno del checkout e non si chiudeva il divano letto, tra l’altro poi la padrona di casa nippofrancese ha creduto che lo avessimo rotto, tra l’altro voleva farci pagare 85 euro per un divano letto non rotto che tra l’altro varrà 12 euro, brutta deficiente nippofrancese non ci torno più nel tuo appartamentino con le docce accanto al piano cottura.
Queen Father è una persona meravigliosa. Quando leggi il suo blog, hai l’impressione che sia simpaticissimo, affettuoso e che abbia uno spirito critico intelligente. E sì, è così davvero, ma c’è un’altra cosa che mi ha colpito, e cioè che è davvero un padre, che il suo sguardo giovane è lo sguardo di un padre. In uno Starbucks di Parigi abbiamo parlato di Londra (e di Italia, e di Real Time, e di zie squartate, e di amore, e di vita, e di priorità, e di altre scemate). Se davvero i gay, superati i Quaranta, li mettono tutti su un’isola a uccidersi l’un l’altro per il mascara, forse lui riuscirà a scampare da questa triste sorte.
Ah, ho il suo numero di telefono. Rosicate, fan psicopatiche, rosicate.

Post su Parigi duemilaTredici

Il posto più bello del mondo (dopo gli abbracci tuoi)

– Parigi duemilaTredici –
#6

So chi sei
vicino al mio cuor ognor sei tu
So chi sei
di tutti i miei sogni il dolce oggetto sei tu
Anche se nei sogni
è tutta illusione e nulla più
il mio cuore sa
che nella realtà
da me tu verrai
e che mi amerai
ancor di più


Ci sono alcuni desideri che nemmeno il genio della lampada può esaudire.
Uccidere qualcuno, resuscitare i morti, dare altri desideri, far innamorare.
Comunque può sempre fare questo. Ecco.  

A dream is a wish your heart makes 
When you’re fast asleep 
In dreams you lose your heartaches 
Whatever you wish for, you keep 

Have faith in your dreams and someday 
Your rainbow will come smiling thru 
No matter how your heart is grieving 
If you keep on believing 
the dream that you wish will come true

…e se il mondo coi suoi guai
alle spalle lascerai
le nubi puoi guardar:
puoi volar
puoi volar
puoi volar
puoi volar
puoi volar
puoi volar

Volerò,
volerò,
ed il cielo toccherò.
Volerò,
ed il cielo toccherò.
Post su Parigi duemilaTredici