Lettera aperta a Mart. Giulia

Non riesco a trovare una ragione per la quale vorrei fare il chirurgo. Riesco a trovarne migliaia per cui dovrei smettere. Rendono apposta le cose difficili. Abbiamo delle vite nelle nostre mani. Arriva un momento in cui diventa più che un semplice gioco. E puoi fare quel passo in avanti, oppure voltarti e andare via. Potrei mollare, ma c’è un problema: mi piace troppo l’arena.

[ Meredith Grey – Grey’s Anatomy ]

Oh, sì. Temo proprio che tu abbia letto bene. E mi sa proprio che quella Mart. Giulia del titolo sia tu. Ecco. Già ti immagino. A questo punto dovresti essere di un colorito avorio tendente al cenceo, causato dall’asia oddio-ora-cosa-scriverà-è-pazzo. Ora invece stai ripassando mentalmente la mappa di casa tua per individuare la posizione del coltello più vicino, quindi il tuo volto ha assunto una tonalità verde violastra. Adesso invece… No, non ancora. Giuli, no, non hai coltelli nello studio, rinuncia! Ecco! Adesso – a regola – starai respirando lentamente e ti starai dicendo che bisogna perlomeno arrivare in fondo al post prima di scegliere la maniera più crudele per uccidermi.

E, in effetti, questo è proprio quello che spero. Non il progettare la mia morte, ovvio. Intendo il proposito di arrivare in fondo alla lettera. Quindi direi che questo è il momento buono per cominciare a scrivere qualcosa di sensato, perché se continuo a tergiversare tu torni alla tua ricerca della lama più affilata.

Dunque. Sai bene quanto io sia ansioso prima delle prove importanti. Era così al Liceo e non sono cambiato poi molto all’Università. Per la Maturità quasi svenivo, dovresti ricordare. Di solito, però, quando sono gli altri a dover sostenere una prova, riesco a mantenere una certa lucidità. Ecco. Stavolta no! Sono stato in “ansia che non hai idea” quando tu eri a Pisa o a Milano o chissà dove per svolgere quel caspita di test di ammissione. Per questo quando mi hai detto che eri entrata ho esultato come se fossi entrato io. Che poi per carità: che tu sia una ragazza intelligente, e brava, e che tu avessi studiato un mucchio quest’estate era sottinteso. Non è mancanza di fiducia, ma quest’anno ero piuttosto negativo riguardo al tuo ingresso. Forse perché mi ricordavo della tua delusione dell’anno scorso, o forse perché mi preparavo psicologicamente all’idea che mi potessero chiudere la porta in faccia. Ops, pardon, che TI potessero chiudere la porta in faccia. E invece no, eccoti qua, a scintillare tra Alessio Luchetta e Roberta Iozzo.

La mia amica ha superato questo test di ammissione, in barba a tutto e a tutti, in barba alla Gelmini che aumenta il numero di domande di cultura generale, come se la prova non fosse già basata per selezionare i superdotati del fattore C; in barba alle delusioni e alla gente insignificante; in barba alle vacanze e al sole e alla montagna; in barba a me, perché ovviamente quando non voglio sono bravissimo a combinare qualche casino, come infavolarmi per esempio; in barba a Ivana Raffa e al suo stupido oroscopo cattivo con i nati sotto il segno della Bilancia.

Forse è un po’ presto per parlare di specializzazione, ma invece vorrei cominciare ad analizzare le branche della medicina a cui potresti essere più portata. Vediamo…
Chirurgia. Oh, beh. Un’inclinazione non indifferente, direi. Quando sono disperato, il mio cuore lo aggiusti benissimo. E questi sono gli interventi più difficili da fare; gli altri… bazzecole.
Psichiatria. In questo mondo? Una psichiatra perfetta. Come dice tuo babbo, c’è una tale concentrazione di soggetti clinicamente interessanti non indifferenti!, specie in una facoltà di nostra conoscenza. E poi quando sarò completamente pazzo (quando, insomma, vivrò su una mela) un’amica psichiatra può sempre far comodo.
Pediatria. Ohhh. Perché siamo tutti in fondo un po’ bambini.
Medicina legale. Molto molto molto affascinante. Serve sempre un medico legale sulla scena del crimine. A Distretto di Polizia, per esempio, o a CSI. Peccato che non mi potrai essere d’aiuto. Come sai, io non morirò. (Nota dell’Autore: qui me la sono un po’ gufata, ma come frase è molto teatrale!)

Ho scritto anche troppo. Ehi, non tirare un sospiro di sollievo solo perché hai capito che sto concludendo! Scusami, ma dovevo scriverti questa cosa. Figuriamoci se un evento così importante non merita una nota nel blog dei ricordi. Anche Morgan se ti conoscesse ti farebbe un sorriso (e allora tu cadresti svenuta perchè Morgan ti ha sorriso!). Tivvubbì.

Ale

P.S. So perfettamente che nonostante tu sia arrivata fino in fondo alla lettera, il desiderio di ammazzarmi non sia scemato minimamente. Però mi sovviene che mi devi una coca cola (le labbra di Dorian Gray, ricordi?). Beh, te la abbuono. E siamo pari così, no?

Ode a Will & Grace

Un anno fa pensavo che niente e nessuno potesse battere la comicità di Friends. Era in assoluto il più bel telefilm di tutti i tempi, quello di cui credevo che non mi sarei mai stancato. E su dieci stagioni ne ho viste la bellezza di 7. Nelle prime due stagioni non smettevo di ridere dall’inizio alla fine della puntata. E i personaggi, le trame, gli intrecci, sono davvero ben sviluppati.

Poi, una notte d’estate, per caso, ho acceso Sky e davano una puntata di Will & Grace. “Proviamo!” ho detto. Solitamente mi piacciono i telefilm con le risatine di sottofondo, e non avevo niente da fare. Quindi perché no? Una puntata fantastica. Ho subito capito che Karen sarebbe stato il mio personaggio preferito. Non avevo ancora capito che tutto il telefilm avrebbe pian piano scalato la classifica dei miei serial preferiti. Col passare del tempo avrebbe debellato il Dr House, sorpassato Heroes e addirittura detronato Friends. Ohhh myyy Goood (come direbbe la ricorrente ragazza di Chandler).

E così, due giorni fa, col classico sacchetto di biscotti e un’inusuale Fanta che sostituiva momentaneamente il succo alla pera (ecco come mai poi mi gonfia la pancetta! colpa dei telefilm…) ho visto l’ultimo episodio dell’ultima serie di Will & Grace. Otto stagioni, più o meno centosettanta episodi. Mi hanno fatto ridere, commuovere, ingrassare, ma soprattutto mi hanno insegnato tante tante tante cose, alcune di queste fondamentali. Per questo lo consiglio a tutti!

E adesso… il toto-telefilm. In cosa consiste?
Beh. Adesso sono sprovvisto di un telefilm da guardare. Quindi, poiché ne esistono tantissimi in circolazione, la scelta è difficile. Mi consigliate?
Vi do alcune dritte.

1) Preferirei non teen drama, grazie. Roba tipo Beverly Hills, Dawson Creek, OC, Gossip Girl, Summerland, One Tree Hill… No, no. Non finiscono mai e nessuno si mette mai con quello che vorresti tu. E poi sono totalmente inverosimili! Nessuna ragazza va a scuola con gli stivali e non esiste che tutti i ragazzi della città siano dei fenomeni a surfare. Quando avevo sei anni guardavo Beverly Hills con mio papà – era un appuntamento fisso – e probabilmente ne sono rimasto scioccato.

2) Non Lost. Sì, lo so, è bello, etc etc. Ma ci ho provato. E arrivato alla tredicesima puntata, ho detto basta. Il meccanismo di Lost è semplice: ad ogni puntata creare un mistero nuovo e non risolvere quello precedente. Certo, può essere accattivante all’inizio, ma dopo tredici puntate comincia a stuccare. E quando oltre ai segnali radio, oltre al mostro, oltre ai furti, oltre ai cinesi, oltre alle premonizioni, oltre all’assassino, oltre agli abitanti, oltre a tutto questo si è aggiunta UNA BOTOLA… no, basta, basta, grazie.

3) Ho visto il Smallville fino alla quinta stagione (sapete, la stagione dove la kriptonite la trovavi anche nelle barrette di cioccolata) e il Dr House fino alla quinta stagione (ehi, ora che ci penso mi fermo sempre alla quinta!). Quindi quelli no, li conosco. Ho visto anche Heroes fino alla terza stagione, e i primi quattro episodi di Supernatural. E quattro episodi bastano per afferrare questo semplice concetto: Supernatural è prevedibile e completamente privo di trama. Credo che sia stato creato per far sfilare i due protagonisti. Dicono che sono attori ma più che altro sono modelli.

Ecco, non dovrebbero esserci altre indicazioni da dare.
Mi raccomando, conto sul vostro aiuto!


P.S. Domattina ho un esame. E non sono agitato. O sto guarendo, o ho una malattia ben più grave.

Acquario superstar

Sì, lo ammetto: leggo l’oroscopo tutti i giorni. Non perché ci creda, figuriamoci. Ma la mia astrologa di fiducia – che si chiama Ivana Raffa e se la conoscete di persona vi prego di darmi il suo indirizzo così una volta o l’altra vado a casa sua e la gonfio come un tamburo – è probabilmente del mio stesso segno, così mette tutte le previsioni a mio favore.

Ora, tutto ciò è da un lato positivo. E’ per questo che leggo l’oroscopo quotidianamente. Non ci credo, ma almeno mi fa cominciare bene la giornata. Con tutti questi incontri che farò oggi; con lo charme che avrò oggi; con la spiccata simpatia e il brillante talento che proprio oggi manifesterò; e con tutta un’altra serie di stronzate che oggi farò e avrò.

Dov’è la fregatura? Che puntualmente niente di tutto ciò si avvera. Ed è per questo che, nonostante legga l’oroscopo tutti i giorni, non ci credo. Ogni giorno spero che qualcosa di straordinario accadrà sul serio, e poi è sempre il solito e grigissimo trantran (o tramtram?).

Un attimo, però. Io mi rispecchio nella descrizione del mio segno, cioè l’Acquario. Qui una digressione ci vuole. Dunque, io credo che i segni zodiacali siano studiati ad arte da una mente diabolicamente geniale che ha diviso le caratteristiche umane in dodici gruppi, e le ha divise in maniera tale che chiunque si possa rispecchiare almeno un pochino in ognuno di questi gruppi. Questa è la spiegazione razionale che la mia impostazione scientifico-tecnologica necessita per sopravvivere. Purtroppo il mio cervello pensa questo, e anche se a volte mi impongo la romantica accettazione dell’astrologia come materia verosimile e possibile, le mie sinapsi non riescono a sostenere il peso di questa visione trascendentale. Come diceva un filosofo dell’era moderna di cui non ricordo il nome (…Feyerabend? Esiste? Può darsi fosse lui?) viviamo in una società che rifiuta ogni forma di conoscenza che non sia la scienza. E questo è triste, in effetti, perché ci limita le nostre potenzialità in una maniera incredibile.

Dicevo, prima di questa riflessione psico-filosofica, che mi rispecchio, quantomento sommariamente, nella descrizione dell’Acquario. Mi riconosco abbastanza nei pregi e nei difetti. Però ogni oroscopo che leggo non ci azzecca mai! Anzi, a volte succede il contrario. E quando succede il contrario… beh, mi arrabbio! Mi sento un attimino preso in giro, e sentirsi presi in giro dalle stelle non è esattamente un divertimento. Comunque, l’oroscopo di oggi mi ha particolarmente colpito. Per cui lo riporto qui, perché magari un giorno ci riderò. Per adesso, riesco solo a produrre smorfie sbilenche, che solo a un visionario potrebbero apparire come sorrisi.

Ritmo intenso che rivela un bel fermento di idee e molta voglia di darsi da fare in campo esistenziale. Tutti sono ai tuoi piedi, anche quella persona che non ha mai osato rivolgerti la parola cadrà ben presto nella tua rete. Nuovi incontri? Con Gemelli, Leone e Bilancia possono nascere storie interessanti e con Sagittario e Capricorno ottime collaborazioni.

Olidei

Inizio questo post per due motivi: il primo è che devo farlo per essere in pace con la mia coscienza. Avevo detto che avrei scritto sulle vacanze e… sì, scriverò sulle vacanze. Il secondo, ovviamente, naturalmente, altro-avverbio-che-non-mi-viene-ma-che-finisce-con-mente, è che oggi dovrei iniziare a studiare per l’esame di Fisica che ho agli inizi di Settembre, ma non ho voglia. Che poi tutto mi è contro: so che a casa non mi riesce studiare, mi gingillo troppo. E allora prendo e vado in biblioteca. Ta-daaaan! Chiusa. Dal 17 (oggi) al 24. Bon, proviamo all’Agorà (che sarebbe un’altra biblioteca). E… chiusa, sbarrata, fino al 21. Torno a casa, e come previsto inizio a distrarmi con messenger e musica. E ora che stavo per mettermi a pensare se fosse il caso di aprire il libro… ho concluso che invece sarebbe stato meglio scrivere sul blog. E infatti eccomi qua.

Dunque, Olidei. Vacanze. L’idea originale di questo post prevedeva una bella foto di gruppo finale, ma adesso dovrei stare a cercarle e non ho voglia. Per cui opto per i soliti appuntini sparsi di tutta la vacanza, senza un ordine preciso. Siccome ho cuore (e che cuore…) avrò la premura di scrivere a quale città mi riferisco.

Tri, ciù, uan… Go!


1 – Berlino – Se soffrite di vertigini…
…datevi al mare. Che non vi salti in mente di andare nella capitale tedesca se, come il sottoscritto, avete paura delle altezze. Specie se avete due amici con l’ossessione compulsiva di salire le scale. Appena vedevano un qualcosa di… “montabile” lo indicavano saltellando eccitati come marmocchi al circo. Ci si vaaa, ci si vaaaaa? Con quelle faccine lì non puoi rifiutarti. E allora via a pagare il biglietto. E per la torre della Vittoria, e per il palazzo di Renzo Piano, e per il Duomo, e per il Parlamento, e per questo, e per quello. Ogni vago sentore di verticalità doveva essere percorso. Quindi tutto. Perché a Berlino tutto è sviluppato in altezza. Hanno torri, obelischi, palazzoni. Ora, capisco che non vi stiano più simpatici i Muri, quei fantastici muri orizzontalissimi, ma andateci piano con le scale! (e anche con gli ascensori, dannazione! non crediate di essere tanto ganzi a fare 100 metri in 6 secondi…) Uff. Io ho paura!

2 – Monaco – Droga e affini (1)
Avevamo appena superato un qualche confine, mi pare quello tedesco. Ci fermiamo a una stazione di servizio perché la macchina degli altri aveva bisogno di carburante. Vi dico già adesso, poi capirete il motivo, che probabilmente per arrivare alla suddetta stazione la placida guida di Nicola effettua una manovra strana e – ipotizzo, sia chiaro – poco lecita. Fatto sta che mentre aspettiamo gli altri, due tizi in macchina ci fanno cenno di accostare. “Ora che vorranno questi?! Ma che hanno? Eppure sono scemi…” Mh. Scende il tizio che stava sul sedile del passeggero, e in mano ha una pericolosissima paletta da vigile. L’altro parcheggia, raggiunge l’altro e ci mostra il distintivo. Perfetto, polizia! Ora che ci ripenso, devo dire che la scena ricordava molto quei telefilm americani in cui si mostra il distintivo. In Italia non lo fanno. Siamo poco stilosi qua. Comunque, il tizio che era al volante (parlerà sempre lui, l’altro si limiterà al ruolo di agente-statuina) ci sbrodola qualcosa in tedesco, dopodiché, davanti alle nostre facce attonite, aggiunge: “Speak English?”. Nicola risponde prontamente: “Sì, lui!” e indica me. Io perdo un istante a meditare se è il caso o no di soffocare Nicola con un pacchetto di fazzoletti davanti alla polizia tedesca, poi eseguo gli ordini degli agenti, consegnando loro la carta d’identità. Il poliziotto poi ci chiede se abbiamo marjuana (o come si scrive) con noi. Ehm… no. Poi ci chiede se abbiamo dell’hashish (o come si scrive) con noi. No, non ce l’abbiamo. Ciliegina sulla torta, ci chiede se abbiamo dei kalashnikov (o come si scrive) con noi. Qui non siamo riusciti a trattenere le risa. Nemmeno il poliziotto è riuscito. Bastava guardarci in faccia. Ma l’intuito delle forze dell’ordine dov’è finito?!

3 – Berlino – Droga e affini (2)
Premessa: Luca non era a conoscenza di “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, libro che mi ha insegnato molte cose sul mondo della droga e che consiglio a tutti, non solo a chi si vuole fare di ero (nel caso ci fosse qualcuno interessato, comunque, qui dentro troverà tutte le istruzioni per calarsi una dose). In breve, questi “ragazzi dello Zoo di Berlino” erano dei tossicodipendenti che si trovavano, tra le altre cose, anche allo Zoo di Berlino.
Quindi, una delle tappe più importanti del nostro soggiorno a Berlino fu appunto lo Zoologiscen Garten (o come cacchio si scrive). La parte divertente di questa tappa fu un dialogo tra Luca e uno sconosciuto, dialogo che vi riporto per come lo ricordo, anche se presumo che le parole non furono esattamente queste, e Luca avrà l’onore di correggermi.
Luca: (a noi) Bla bla bla…
Sconosciuto: Ehi, marjuana?
Luca: Uh?! No, no, grazie!
Passati dieci minuti, Luca mi guarda con la tipica espressione di chi ha le rotelline del cervello in azione, e mi fa: “Sai, forse è vero quel che si dice sullo zoo di Berlino allora!”
Io rispondo dicendo che avrei messo questa conversazione sul blog. Ed eccola.

4 – Monaco/Praga – Carillon
Sia quello in Marien Platz a Monaco che l’orologio astronomico di Praga: delusioni totali. Che non vi venga in mente di aspettare mezzogiorno apposta per vederli suonare.

5 – Salisburgo – Nove cuori e tre “capanne”
Prima di partire, adoravamo scherzare sull’alloggio che ci avrebbe aspettato a Salisburgo. Non un hotel, non un residence, non una pensione. Bensì un camping, che noi chiamavamo simpaticamente “tendopoli”. Ahahahaha dormiamo in una tendopoli! Ahahahaha si va in una tendopoli! Ahahahaha a Salisburgo siamo in una tendopoli! Bene. “Ahahahaha” un emerito tubo! Era VERAMENTE una tendopoli, altro che “Ahahahah”! Quando siamo arrivati m’è salito direttamente dalle viscere il tiepido desiderio di impiccarmi. Poi però ho pensato che sarebbe stato per una sola notte, e magari avrebbe anche potuto essere divertente (così è stato, infatti!). E insomma ce la siamo cavata. Ma non mi scorderò mai la gelida sensazione di morte che mi ha provocato la semplice visuale di un luogo completamente privo di comfort.

6 – Berlino – Incrociando per strada un gruppo di giovani straniere
Straniera nel mezzo: “Halo! What do you fiunt glu jamb your fents celling your bredgth?” (In realtà hanno sbrodolato qualcosa in inglese e ho inventato delle parole a caso)
Vezio: “…” (Aveva capito la domanda e stava macchinando una probabile risposta)
Luca: “…what?! I don’t under”
Io: “Ciaooooo!” (E così ho consacrato la prima figura del menga a Berlino)

7 – Praga – Ladri cechi poco ciechi
Biribip biribip. Il cellulare multifunzionale del De Santi (conosciuto anche come Pelato) suona. E’ un messaggio. Sono il Puccetti e il Bistru che lo avvertono che hanno rubato la sua valigia dalla camera dell’albergo. Seeee, sarà uno scherzo! E’ tutta la settimana che ti prendono per il culo, vuoi che sia vero? Beh. Era vero. Tornati all’albergo, scopriamo che la borsa del Desa non si trovava più in camera. Dentro c’erano tutti i suoi vestiti, il pc portatile del Bistru e un qualcos’altro di indefinito del Puccetti (credo 50 euro e un paio di occhiali, ma non ricordo).
Quello che scriverò adesso va preso con le pinzette con cui solitamente vi strappate i peli del naso (sempre che abbiate l’usanza di strapparvi i peli del naso con le pinzette. Nel caso ditemelo che quando verrò a casa vostra starò alla larga da ogni pinzetta). Per riassumervi, vi dico che quella mattina il Puccio e il Bistru avevano lasciato la camera con all’interno la donna delle pulizie che stava lavorando (che quindi aveva il dovere di chiudere la porta una volta finito il lavoro) e il pomeriggio, quando i ragazzi sono tornati, hanno trovato la porta chiusa ma non a chiave (“closed, but not locked”). Altro fatto curioso è che le ambasciate ricevono solo su appuntamento (Bistru: “Ma che cavolata è!? Uno come fa a sapere se gli rubano la roba?! Che faccio, chiamo la mattina e dico Oh prendo un appuntamento non si sa mai mi rubino qualcosa, casomai disdico!?”), e altro fatto ancora più curioso è che nell’albergo non parlavano il ceco (Mirko: “Ma siamo in Repubblica Ceca! Come possono non parlare il ceco?!”). Ma da ogni esperienza deriva un insegnamento. E l’insegnamento che deriva da questa esperienza è che se si subisce un furto in albergo, la prima cosa da fare è scassinare la porta della camera. Perché si sa: gli alberghi sono assicurati solo contro i furti con scasso.


[ Tu bi continued. Forse ]

Il cercatore di fortuna

La fortuna non può essere imbottigliata in una fialetta. Può accadere nel mondo dei maghi, forse, ma nel mondo dei maghi ci sono anche i draghi, e gli elfi domestici e le fotografie si muovono. Nel nostro mondo – asfalto, cotone sintetico, crociere e televisioni – non si può.

Però pensavo che si potesse… cercare, quantomeno. Perché se una cosa esiste davvero, da qualche parte deve trovarsi. Così mi sono deciso. Volevo andare a caccia di fortuna. Sì. Da dove cominciare? Non in casa di certo. In casa non succede niente. La casa è un posto bellissimo perché ti protegge ti culla ti fa sognare, ma sicuramente la fortuna non si trova lì. Allora ho preso la bici, mi sono infilato le cuffie alle orecchie, e sono andato a cercare a Lucca. A Lucca, perché una mia cara amica mi aveva detto che l’aveva vista spesso girare a Lucca. Magari l’avrei vista anch’io.

Quindi, dicevo: bici, mp3 e via verso la città. L’ho setacciata. Ho percorso stradine che non sapevo nemmeno esistessero. Ho vagato per viottoli, vie, viali. La cercavo, speravo che potesse essere da qualche parte, immersa tra i turisti e il caldo. Sono stato nei parchi giochi, in tutti: magari la fortuna porta i cuginetti o i nipotini a divertirsi sull’altalena. Ho fatto un giro di mura, perché c’era la possibilità che facesse footing. Velocemente (per assicurarmi di visitare ogni angolo della città ero in bici, infatti) analizzavo ogni faccia: quelle intente a scegliere i vestiti nei negozi, quelle sdraiate ai baluardi, quelle sedute sui gradini di un ingresso…

Mentre giravo, pensavo a cosa avrei potuto dirle se l’avessi trovata. Oh, ciao Ale, che giri qui in città? Ciao fortuna, cercavo… te. E magari a quel punto avrebbe sorriso. Perché io penso che faccia sempre piacere essere cercati, anche se magari quello che ti cerca non è il tuo tipo. E allora avrei detto: Sai, fortuna, io devo dirti una cosa. E’ tanto che ci penso e devo proprio parlarti. Hai cinque minuti, o magari venti, o anche un’oretta intera? E a quel punto mi avrebbe preso per mano e saremmo andati in un luogo dove poter parlare senza essere ascoltati, io le avrei detto la verità; e l’angoscia – quella sensazione di non finire mai di annegare – sarebbe finita una volta per tutte.

Niente, nessuna traccia di fortuna quel giorno.

Ci ritornai il giorno dopo, e il giorno dopo, e il giorno dopo ancora. Niente, niente e ancora niente. Solo ieri mi è sembrato di vederla dentro il Re-wine. Era di spalle, e non ero così sicuro che fosse lei, per cui dovetti controllare di nuovo. Passai cinque o sei volte davanti al pub, come un imbecille. Alla quinta volta era seduta con un uomo, sempre dandomi le spalle, coperte da una maglia verde. Mi sembravano i suoi occhiali, ma non ne ero certo. Alle orecchie non aveva accessori ed era strano perché mi avevano detto che ne porta sempre. Non potevo andare via: dovevo assicurarmi che fosse lei. Allora mi fermai vicino all’ingresso, e feci finta di controllare il cellulare. Dopo cinque minuti uscì la persona con la maglia verde, ma non era lei. Sono tornato a casa un po’ triste, ieri. Deluso, e con il tormento a fermentare sotto l’epidermide.

Morale della favola: non ve la dico. Bene bene, pappappero. Non ve la dico per due motivi. Il primo è che è la verità, e la verità fa male, e io non voglio fare del male ai miei pochi lettori – non direttamente, almeno. E il secondo è che è tremendamente più utile se ci arrivate da soli.

Tor. Men. To.

I’ve got a really bad disease
It’s got me begging
On my hands and knees
Take me to the emergency
‘Cause something seems to be missing

Somebody take the pain away
It’s like an ulcer bleeding in my brain
Send me to the pharmacy
So I can lose my memory
I’m elated
Medicated
Lord knows I tried to find a way to run away.

I think they found another cure
For broken hearts and feeling insecure
You’d be surprised what I endure
What make you feel so self-assured?

I need to find a place to hide
You never know what could be
Waiting outside
The accidents that you could find
It’s like some kind of suicide

So what ails you is what impales you
I feel like I’ve been crucified to be satisfied

I’m a victim of my symptom
I am my own worst enemy
You’re a victim of your symptom
You are your own worst enemy
Know your enemy

I’m elated
Medicated
I am my own worst enemy
So what ails you is what impales you
You are your own worst enemy
You’re a victim of the system
You are your own worst enemy
You’re a victim of the system
You are your own worst enemy


[ Green Day – Restless Heart Syndrome ]

Appunti sparsi

Okay. Vi sono mancato? Su, ditemi di sì.
Okay, okay: no. Non c’è bisogno di fare quelle facce imbarazzate, non occorre distogliere lo sguardo o cambiare argomento (e soprattutto, le proprietà mediche dell’eucalipto non sono abbastanza interessanti da attrarre la mia attenzione!). Non occorre, lo capisco anche da solo che non vi sono mancato, ecco!

A me siete mancati invece!
Però tra una cosa e quell’altra non mi è mai venuta l’ispirazione. In realtà nemmeno adesso mi sento molto motivato, però ho paura che blogspot mi esili se non metto qualcosa ogni tanto. E invece della solita canzone barra citazione barra fotografia, stavolta scrivo qualcosa di mio. Come dice il mio maestro, “Ricordati che sei uno scrittore. E ricordati che gli scrittori, ogni tanto, scrivono”. Per cui, eccomi qua. Forse potrebbe essere carino farvi un sunto. Le cose meno importanti, quelle più divertenti. In ordine sparso, da leggere così, quando si vuole, perché una tira l’altra (come le ciliegie. O gli esercizi di logica).

1.
Ieri ho avuto l’ultimo esame dell’estate. Non considero Fisica che lo lascio a settembre, e mi torna comodo considerare settembre come mese autunnale, almeno posso dire che per l’estate ho finito con gli esami, anche se tecnicamente il 9 settembre è ancora estate. Ma magari esiste qualche cultura subsaharianpolaraustroungaricaboreale che esclude il 9 settembre dai mesi estivi. Vabbè, quante cretinate che scrivo. Dicevamo: ieri, ultimo esame. E che esame! Do-di-ci crediti, una palla mostruosa, sicuramente il più difficile di tutto il primo anno. Mi è costato una quantità spropositata di brufoli e occhiaie. La mattina mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo. Forse perché ero talmente suonato che invece di specchiarmi osservavo un quadro credendo che mi riflettesse. Ecco perché non mi riconoscevo! Beh, comunque: arrivo a Pisa, solito colorito cenceo pre-esame, solita aria “mi-sono-appena-fatto-una-dose” e solita consapevolezza di bocciare. Per forza: stavolta non avevo studiato molto. Per un motivo o per un altro durante l’ultima settimana di studio non ero riuscito a concentrarmi molto, sicché delle cinquanta dimostrazioni da sapere sono riuscito a impararne una ventina. Poi l’esame è andato bene, dato che ho avuto una fortuna mostruosa. Non mi dilungo in dettagli (in questo momento potete immaginarmi con un’aureola che mi volteggia sulla testa e una faccia angelicamente angelica).

2.
Canzoni che mi hanno fatto compagnia in questo periodo. Dunque, dunque. Innanzitutto, la superficialità estrema. Ho chiesto a qualche amico e amica di mandarmi le canzoni più stupide che conosce. Devo dire che il primo posto se lo dividono Caramelldansen e Geri Halliwell, che sono diventati la mia musica idiota preferita. Poi una a caso mi ha fatto ascoltare Charlie fa surf (quanta roba si faaaaa emmediemmeaaaaa sfiguratelo in voltoooo con la mazza da golf) ed è stato amore. No, proprio amore amore no, via. Poi, poi, poi: mia sorella ha comprato il nuovo album dei greeeeeeeeen day, che è simpatico. E ora me lo sto ascoltando. E’ il solito punkino leggerino però è divertente. Poi due chicche: Roy Orbison (che mia sorella chiama Orvoloson, in onore di Voldemort) e Cesare Cremonini. Mi vergogno mucho di queste due new entry, ma quel che va detto va detto. E nelle classifiche di Giugno – ebbene sì – ci sono anche loro. Poi vediamo… Sto sicuramente dimenticando qualcosa. Dire Straits? Sì, sì, anche loro. Ma non con molta convinzione, devo dire. Mi ci devo impegnare di più. Anastacia? L’ho anche sentita dal vivo al Summer Festival (o meglio: dal bar vicino all’Astra, non ho pagato il biglietto :P). A proposito! Stasera c’è il concerto gratuito di Avitabile con Karima al Summer Festival. Ecco, andate lì per favore, invece di venire tutti a vedere Harry Potter!

3.
Ho da poco rivalutato Facebook. E’ UTILISSIMO! Si scoprono un sacco di cose interessanti. Fonte inesorabile di conoscenza, e si sa che la conoscenza è tutta linfa che può facilmente assumere la forma delle illusioni, e si sa che le illusioni sono molto più nutrienti della realtà, e… No, basta. Discorsi assurdi. Però ho scoperto nuovi giochini: innanzitutto quello che devi scrivere le lettere che ti cascano giù (sono un fenomeno!), poi quello che devi spostare le palline e fare i tris con i colori (è una droga, non provatelo mai), poi i test odiosi, che ti dicono come baci da uno a dieci, qual è la tua posizione preferita, sai far impazzire chi ti ama, con che lettera inizia il nome della persona che ami, chi ami, che ami, ma ami? Poi quelli che ti fanno scegliere se preferisci l’estathé al limone o alla pesca (al limone), Berlusconi o un water (il water), Lost o Will&Grace (Will&Grace!), la 500 o la Mini (la 500, mi sembra ovvio…).

Vi saluto, perché oggi ho mangiato la pasta a pranzo e non l’ho ancora scritto su Facebook. Alla prossima!

Una mattina all’IMT

Dal Vangelo secondo Leibniz:

  1. Non avrai altro Dio all’infuori di Taylor
  2. Non nominare il nome di Weierstrass invano
  3. Ricordati di santificare i punti di accumulazione
  4. Onora gli intervalli chiusi e limitati
  5. Non calcolare la tangente in pi greco mezzi
  6. Non derivare (se la funzione non è continua)
  7. Non commettere L’Hopital impuro
  8. Non pronunciare falsa dimostrazione
  9. Non desiderare la funzione d’altri
  10. Non desiderare il teorema d’altri

e per finire

  • Ama il numero di Nepero come te stesso


Felicità d’artificio

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Negalo.

Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino.
Noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana.
E la razza umana è piena di passione.
Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento.
Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore: sono queste le cose che ci tengono in vita.

[ L’Attimo Fuggente ]