Promemoria.

Vivo tutti i miei giorni aspettando Godot,
dormo tutte le notti aspettando Godot.
Ho passato la vita ad aspettare Godot.

Nacqui un giorno di marzo o d’aprile non so
mia madre che mi allatta è un ricordo che ho
ma credo che già in quel giorno però
invece di poppare io aspettassi Godot.
Nei prati verdi della mia infanzia
nei luoghi azzurri di cieli e aquiloni,
nei giorni sereni che non rivedrò
io stavo già aspettando Godot.
L’adolescenza mi strappò di là,
e mi portò ad un tavolo grigio,
dove fra tanti libri però,
invece di leggere aspettavo Godot.
Giorni e giorni a quei tavolini,
gli amici e le donne vedevo vicini,
io mi mangiavo le mani però,
non mi muovevo e aspettavo Godot.

Ma se i sensi comandano l’uomo obbedisce,
così sposai la prima che incontrai,
ma anche la notte di nozze però,
non feci nulla aspettando Godot.
Poi lei mi costrinse ed un figlio arrivò,
piccolo e tondo urlava ogni sera,
ma invece di farlo giocare un po’,
io uscivo fuori ad aspettare Godot.
E dopo questo un altro arrivò,
e dopo il secondo un altro però,
per esser del tutto sincero dirò,
che avrei preferito arrivasse Godot.
Sono invecchiato aspettando Godot,
ho sepolto mio padre aspettando Godot,
ho cresciuto i miei figli aspettando Godot.
Sono andato in pensione dieci anni fa,
ed ho perso la moglie acquistando in età,
i miei figli son grandi e lontani però,
io sto ancora aspettando Godot.

Questa sera sono un vecchio di settantanni,
solo e malato in mezzo a una strada,
dopo tanta vita più pazienza non ho,
non posso più aspettare Godot.
Ma questa strada mi porta fortuna,
c’è un pozzo laggiù che specchia la luna,
è buio profondo e mi ci butterò,
senza aspettare che arrivi Godot.
In pochi passi ci sono davanti,
ho il viso sudato e le mani tremanti,
è la prima volta che sto per agire,
senza aspettare che arrivi Godot.
Ma l’abitudine di tutta una vita,
ha fatto si che ancora una volta,
per un momento io mi sia girato,
a veder se per caso Godot era arrivato.
La morte mi ha preso le mani e la vita,
l’oblio mi ha coperto di luce infinita,
e ho capito che non si può,
coprirsi le spalle aspettando Godot.

Non ho mai agito aspettando Godot,
per tutti i miei giorni aspettando Godot,
e ho incominciato a vivere forte,
proprio andando incontro alla morte,
ho incominciato a vivere forte,
proprio andando incontro alla morte.

Claudio Lolli – Aspettando Godot



Sei strano…

Sono stato a vedere Il curioso caso di Benjamin Button.
Delle due ore e mezzo di film (eccessive, cacchio!) la scena che più mi ha colpito dura sì e no trenta secondi, e secondo me merita di andare al cinema solo per quei trenta secondi.

C’è la bimba che sveglia Benjamin nel cuore della notte. Lui a fatica si alza e insieme vanno sotto il tavolo, dove lei ha allestito una specie di casetta. Lì accendono una candela, e parlano. Poche battute.
E a un certo punto lei dice “Sei strano…“.
Lo dice e mostra un sorriso sincero, come se davvero una persona potesse essere felice all’idea di qualcuno che è… strano.
L’ingenuità nei lineamenti, la purezza negli occhi, l’innocenza su
lle labbra sorridenti.
Sei strano… Sei diverso da tutti gli altri che ho incontrato.
Dice. Poi la scena prosegue, ma non ricordo i dettagli esatti.

No, niente, è che mi ricordo questa scena, e volevo scriverla qui.


Ivan

E’ la legge più antica del mondo.
Homo homini lupus, diceva Hobbes. Selezione naturale, la chiamava Darwin. Lotta per la sopravvivenza, menzionava Verga.
E’ la legge del più forte, la legge più antica del mondo.

Ema si passa una mano tra i capelli scuri, sospira e afferra la valigia. Si dirige verso la stazione. Sognando.
Si blocca, infila le dita nella tasca del giaccone. Okay, non l’ha dimenticato. Prosegue, verso la stazione.
Lo vede vicino all’ingresso. Lo degna dello stesso sguardo che concede ai passanti: mezzo secondo, quanto basta.
Il passante si chiama Ivan. Quando vede Ema gli si avvicina. No, anzi, gli si mette davanti.
“Ciao io sono Ivan piacere di conoscerti bomber tu sei”
Ema sente alcune parole pronunciate d’un fiato, vede una mano di fronte a sé e scende dal mondo dei sogni. Stringe la mano e si presenta.
“Grande bomber posso chiederti se tu hai genitori io purtroppo non ho avuto questa fortuna mi guardi con un altro occhio adesso vero”
Ema intanto lo osserva. Capisce a malapena cosa dice Ivan, sia perché nelle veloci parole dell’altro non ci sono pause, sia perché per lui è più interessante osservare la gente. Risponde, mantenendosi sul vago.
“Lo sapevo bomber allora ascolta io qui ho alcune cartoline che le signore del nostro centro dipingono per noi tutto quello che ti chiediamo bomber è una mano ma non in faccia ahahah semplicemente si tratta di rinunciare a una pizza e a una cocacola no bomber ti chiediamo di darci una mano”
Parole, parole, parole. Ema lo osserva, ne delinea la personalità: Ivan non legge mai il giornale, tifa una squadra di calcio che potrebbe essere il Pisa, il sabato sera esce e fa tardi, non vorrebbe svegliarsi presto la mattina, usa il rasoio per farsi la barba ma solo di martedì. Pensieri, pensieri, pensieri.
Cinque minuti dopo Ema ha lasciato dei soldi a Ivan. “Ciao bomber” “Ciao, Ivan.”
Cinque minuti dopo ancora Ema comincia a farsi un’idea ancora più precisa di Ivan. E’ furbo, uno scansafatiche, uno che ha capito la vita quel tanto che gli serve per poter sfruttare le debolezze umane. Peccato – pensa.

E’ la legge del più forte, la legge più antica del mondo.
Sarebbe tanto bello se vincesse il più giusto, anziché il più forte.
Non è così – pensa Ema – vince il più forte. Solo nei miei sogni vince il più giusto.
Ma Ema non ha intenzione di adattarsi. Rimarrà fedele alla sua onestà.
Ma, a scanso di equivoci, diventerà più forte.

Venti

E’ tutta questione di e. Con l’accento acuto lascia l’odore della tempesta. Con quello grave diventa una parola pesante, un tonfo sordo che rimbomba. Vènti. Vénti. Che disperazione, e non è un gioco.

Mi sono semi-depresso. La giovinezza è l’unica cosa che merita di essere posseduta – dice Sir Henry Wotton – e io mi sto allontanando dalla mia.

E’ quel due che dà fastidio. Quel due prima dello zero.
E’ una cifra che apre i cancelli di nuove prospettive, che segna i confini di due mondi distinti. Ora c’è il nuovo da esplorare, quello degli Enti.
Qualcuno mi ha detto che passerà in fretta, qualcun’altro mi ha rassicurato che è il migliore. Ne ho concluso che dipende da come lo si vive.

Quindi, con un milione di buoni propositi nel cuore, e altrettanti cattivi propositi nei denti, sono pronto ad affrontare gli Enti. Che lo spettacolo cominci!


Una vera Lezione di vita


Randy Pausch, docente presso la Carnegie Mellon University, consapevole di vivere i suoi ultimi mesi in quanto condannato alla morte da un cancro al pancreas, nel settembre `07 tiene la sua ultima lezione insegnando a tutti il valore della vita. Il prof. Pausch muore a Chesapeake (Virginia) il 25 luglio 2008.

Poche battute in fila

Nonna: “Hai sentito, bisogna stare attenti a fuco!

Mamma: “A che?

Nonna: “L’ha detto la televisione, c’era uno della finanza finanza che…

Mamma: “Sì, sì, ma a che?

Nonna: “A fuco.

Mamma: “A fuco?

Nonna: “Fuco, fubo…

Mamma: “Football?

Nonna: “Sì forse… E’ quella cosa che ora dicono sempre…

Mamma: “Ahh, facebook!

Io: faccina sarcastica. Come sempre.

Mia sorella fa la doccia…

…e io devo assolutamente andare in bagno! E c’è lei che è chiusa dentro. E siccome devo dimenticarmi dell’impulso che freme, scrivo. Mi spiace.

Domani ho un esame, e mi sento preparato. Quindi andrà male. Funziona così, con me. E’ come una formula chimica o un teorema matematico. Se la scienza non l’ha ancora dimostrato, è perché probabilmente ha cose più importanti di cui occuparsi, come inventare l’aceto spray (non sto scherzando, esiste!), studiare i tentacoli del polipo (pare che pensino da soli…), analizzare le proporzioni tra le dita delle mani e il cervello (questa è falsa. Credo).
Esame di logica. Se non avessi paura di gufarmela direi che è una materia piuttosto inutile. A che mi serve saper trascrivere in linguaggio matematico frasi di senso compiuto? Per adesso non ci vedo utilità, ma se passo l’esame garantisco che lo riterrò un insegnamento fondamentale.

Dopo mesi di sofferenza ho finito di leggere Breaking Dawn. (Piccola parentesi. Su Famiglia Cristiana, alla classifica delle vendite dei libri, è già qualche settimana che è scritto Down, con la O. Così l’Arrivo dell’Alba è diventato l’Arrivo del Basso. Uno si aspetta la Parietti e gli arriva Berlusconi. Mi domando come mai io abbia la tendenza a scrivere questi poemi dentro le parentesi). Bah, l’ho finito giusto per sapere se in fondo riusciva a diventare meno scontato. E invece no. Deludente, devo dire, tranne in alcuni punti semi-geniali. Il primo della saga era un signor libro, gli altri… sempre più banalotti.

Non vedo l’ora che arrivi Sanremo. Perché così poi finisce. Non se ne può già più! Ecco, io mi chiedo come mai ogni anno si ostinino a farlo. Non lo guarda più nessuno, e i pochi che lo guardano non lo dicono perché si vergognano… “Usciamo stasera?” “Eh no guarda c’ho il gatto malato…” Febbraio per i gatti è come la luna per i licantropi. Perché anche loro guardano Sanremo (intendo i gatti, non i licantropi. Forse anche i licantropi). La televisione ci spende soldi, quei soldi che forniamo noi col canone, sperando tutte le volte che inizino a dare una programmazione decente. E invece no: Sanremo e Affari tuoi. A proposito di tv, mi sto facendo una cultura culinaria a causa (= per colpa) della Prova del Cuoco, che i miei nonni tengono accesa tutti i giorni a pranzo. Mi sembrano sempre le stesse ricette, ma evidentemente io non ho occhio per queste cose.

E’ uscita, è uscita mia sorella dal bagno!

Il mio primo esame orale

Ipotizzo due motivi per i quali il professore non mi ha scambiato per un cadavere: uno, che forse non sono il primo ragazzo che si presenta all’orale colorato di un bianco cencio, e due, che il battito frenetico delle ciglia causato dalle lenti a contatto secche mi davano il movimento sufficiente per non farmi scambiare per un morto. Per il resto, ero proprio tale e quale a un cadavere. Mancava giusto il rigor mortis, ecco.

Vabbè. Quando il terzo ragazzo si alza, io faccio appena in tempo a capire che tocca a me che il professore chiama il mio nome. Non ho tempo di sprofondare, perché mi devo alzare. Non ho tempo di spiegare che io in realtà non volevo iscrivermi all’università, che forse è meglio se ritorno la prossima volta, che io avrei tanto voluto fare il fruttivendolo.

Insomma vado lì, il professore mi guarda con fare orgoglioso.
Sai, anche un grande giocatore dell’Inter si chiamava Alessandro Bianchi.
Sta per l’Inter. Finalmente la passione (ossessione psicopatica, per dirla in termini clinicamente corretti) di mio padre torna utile a qualcosa.
Sì, ha giocato anche nel Cesena” faccio io soddisfatto. Tra papà, Luca e Federico Bertini conosco a memoria la biografia di ‘sto Alessandro Bianchi. Lo sapevo che un giorno sarebbe stata significativa per la mia crescita.

Poi comincia l’orale. Mi impappino più o meno quaranta volte nella prima domanda. La seconda la dico perfetta: era il mio cavallo di battaglia. Ovviamente, la grammatica. Vado sempre forte nelle grammatiche, che siano linguistiche o informatiche. Terza domanda: faccio pena. Che poi sono un deficiente. Mi fa “Ma cosa hai sbagliato nel primo compitino?” e io, ingenuo e innocente come un candido bambino di cinque anni: “Credo di aver sbagliato a tipare una funzione…” e lui, malefico: “Ecco, volevo giusto chiederti i tipi…“. Faccina sarcastica.

Mi scrive il voto su un foglio, e per un secondo penso che si sia sbagliato. Per forza. Dico che va benissimo prima che abbia il tempo di accorgersene, e mi chiappo il mio numeretto. Mentre mi guarda il libretto per segnare tutti i codici, mormora “Sei di Lucca…” e io prontissimo e preparatissimo: “Alessandro Bianchi ha giocato anche nella Lucchese.” “Davvero?” “Sì.” “Era un giocatore bravissimo…
Tiè, questa non la sapeva. E ringraziando mentalmente i miei genitori per avermi dato il nome che porto, mi allontano dall’aula, decisamente più colorito.

Foglio bianco

No, non è una metafora. Mi rifiuto di scrivere elementi di retorica così banali come La mia mente è un foglio bianco. Non perché non sia vero, piuttosto perché io preferisco cose tipo La mia mente è piena quanto il flacone di ansiolitici di un debole di cuore, o anche La mia mente è ricca come il lessico di un calciatore (apriamo una parentesi: avete notato che la stupidità dei giocatori di pallone è direttamente proporzionale al livello della squadra? Nel senso che una squadra di Serie A ha anche idioti di Serie A. Oddio finiamo ‘sta parentesi perché è lunghissima).

Ad ogni modo, foglio bianco significa che ho un foglio bianco davanti, e dovrei riempirlo con qualcosa. Preferibilmente parole, e non scarabocchi di cubi e stelline – io scarabocchio sempre cubi e stelline, e il mio nome. La cosa mi turba. Una delle qualità di cui vado più orgoglioso è proprio la capacità inarrestabile di scrivere cretinate (vedi questo blog). E invece adesso non mi viene in mente niente. Ho la mente vuota come il mio frigorifero. E questa è una doppia fregatura, perché non possono nemmeno affogare le mie ansie strafogandomi di cibo.

Tragicamente me

Dunque, mi chiamo Alessandro. Il cognome non ve lo do perché altrimenti tentate di aggiungermi a Facebook (e io sto cercando di smettere), ma vi do qualche altra informazione tecnica, se volete.

Ho 19 anni, ma arrotondiamo a 20: ci siamo vicini ormai, e poi fa cifra tonda. Frequento il primo anno di informatica all’Università, nonostante non sia ancora in grado di fare niente di quello che un informatico farebbe: non capisco niente di accatiemmeelle (che è? è commestibile?) e se mi dite che avete un virus io vi passo un pacchetto di fazzoletti.
Non ho un cane e nemmeno un gatto, ma in compenso ho una sorella, che più o meno è la stessa cosa se si esclude il fatto che lei parla e deve essere portata in giro quando ha bisogno. Sono magro spietato, come dice mia nonna. Talmente magro che per me è stato coniato il termine “alessico”, però secondo me esagerano. Sono dipendente da cioccolata, succhi alla pera, pasta e telefilm, soprattutto quelli stupidi americani con le risatine sotto, tipo Friends e Will&Grace.
Sono un gran sognatore, ma dopo 19 anni di vita non sono più così sicuro che sia una cosa positiva: sognare apre la mente, ma al contempo la fa volare via, lontana, e quando ritorna a basse quote può non essere in grado di affrontare la differenza di pressione (scusate il gergo metereologico, quando parto con le metafore scazzo un po’).
La precisione quasi maniacale che ho nell’organizzazione delle cose materiali non si rispecchia affatto nel modo di ragionare, che invece potrebbe essere paragonato al moto di una trottola. Ho un’ossessione patologica per le parentesi: ne metto tante (troppe (ecco, vedete?, addirittura una parentesi nella parentesi!)) perché i commenti al loro interno sono brevi ma intensi.

Difetti: ne sono un concentrato vivente. Mettetemi in una provetta, aggiungete due gocce di fenolftaleina, e otterrete una soluzione eterogenea di difetti, ossa, naso e (pochissima) ciccia. Vediamo, sono: lunatico, irrazionale, un “pochino” permaloso, problematico, tendenzialmente egocentrico, imbranato, codardo, oralmente incapace, intuitivamente antipatico e, soprattutto, mentalmente complicato.

Mi piace crogiolarmi nel letto, dormire e sognare. Mi piacciono i vestiti larghi e gli avverbi. Mi piacciono i pesci rossi, i cani (se non sono eccessivamente esuberanti e se non sono Cujo di Stephen King) e anche i gatti teneroni. Mi piace leggere, ma mi piace soprattutto scrivere. Mi piace la pasta alla carbonara/al salmone e panna/all’amatriciana/al pomodoro/al pesto/in bianco/al prosciutto cotto/eccetera eccetera. Mi piace mangiare il cioccolato, la carne, le mele cotte, le torte, le patate, le lasagne, la pizza (ai wurstel), i mandarini, il prosciutto, le carote (tanto per metterci qualcosa di vegetale…). Mi piace il mare, la sabbia e il sole. Mi piace viaggiare e osservare le piazze di giorno, e scarabocchiare. Mi piace il cielo di notte, e quando non piove.
Mi piacciono i gialli, le fiabe, i thriller, i romanzi. Mi piace ascoltare la musica, e il genere varia a seconda di come sto. Mi piace uscire con gli amici, scherzare con gli amici, parlare con gli amici. Mi piace non pensare. Mi piacciono i cartoni animati, i film coi supereroi, i thriller, i musical, le commedie (non demenziali), i film in cui c’è poco su cui riflettere ma tanto da divertirsi.
Mi piace la Disney in generale, e basterebbe mettere in naso in camera mia per accorgersene. Mi piacciono Topolino, Paperino, Zio Paperone, Pluto, Cip e Ciop, Paperinik e soprattutto Pippo, che è uno stile di vita ed un esempio da imitare. Mi piacciono i telefilm brillanti e non scontati.
Mi piacciono i jeans. Mi piace la punteggiatura corretta, i pennarelli grossi, i fogli a quadretti di mezzo centimetro, le trame semplici, internet, le Charlie’s Angels, le lingue straniere, i miei cuginetti, la formattazione. E probabilmente mi piacciono un sacco di altre cose che adesso non mi vengono in mente.

Non mi piace essere costretto. Non mi piace credere nel destino, pensare troppo, vivere coi piedi per terra (non mi riesce nemmeno, se è per quello). Non mi piacciono gli asparagi e non mi piace andare a tagliarmi i capelli. Non mi piacciono le americanate demenziali, le canzoni che fanno unz unz, le maglie con i pippolini che si attaccano alla camicia.
Non mi piace chi razionalizza sempre e comunque, chi non saluta, chi pensa per schemi. Non mi piace l’ipocrisia e la maleducazione fine a sé stessa. Non mi piace generalizzare e qualunquizzare (passatemi il termine), per il semplice motivo che è possibile evitare di farlo: basta specificare chi o cosa, ed è la cosa più facile del mondo.
Non mi piace Gigi D’Alessio, Paola Perego, il professor Meluzzi (che sarebbe quel deficiente che parla sempre all’Italia sul Due, facendosi passare per psicologo). Non mi piace per niente chi si lamenta ogni secondo, chi giudica dalle apparenze e chi critica senza competenza. Non mi piace l’italiano medio, la politica italiana, la corruzione italiana, la facilità italiana.
Non mi piace quando dico “Nel senso, voglio dire, cioè, ecco, sì sì no, no no sì, …” ma oramai sono intercalari radicati nei meandri della mia gola, ed escono quando vogliono. Non mi piacciono quelli tutti uguali, omologati a variabili standard. E probabilmente non mi piacciono nemmeno un sacco di altre cose che adesso non mi vengono in mente.

Ale

P.S. Il motivo per cui ho scritto questo post patetico è che voglio un intervento per dare un senso alla barra dei menù lassù in cima. Perciò, mi prendo la libertà di aggiornare questo scritto modificandolo a mia discrezione.