La mia visione del mondo, raccontata tra parentesi.

Le scuole medie

Dei diversi gradi di istruzione, quello di cui ho il peggior ricordo sono senz’altro le scuole medie. Per quanto mi riguarda sono stati un’esperienza orribile che non tengo affatto nel cuore. È un ricordo a cui riservo un posto speciale della memoria, quello dove si mettono tutte le bruttezze che però servono a crescere.
Non sono un esperto di psicologia, ma non credo di scrivere grandi fesserie se dico che le medie sono il primo momento in cui un bambino si accorge che esistono queste cose poco piacevoli chiamate problemi. Si diventa adolescenti, i maschietti si allontanano da Action Man e le femminucce dalle Barbie, e entrambi scoprono nuovi entusiasmanti interessi, come… ehm, la Playstation. O Leonardo Di Caprio in Titanic.
Odio quel periodo. Stavo così bene alle elementari, dove anche i voti sembravano più simpatici, e io prendevo sempre Bravissimo con due righe e un punto esclamativo e mi sembrava che la vita non potesse essere più bella. E invece mi ritrovavo lì, a dovermi addirittura impegnare per guadagnare quelle valutazioni così fredde tipo Distinto, e c’era da dare del lei ai professori, e c’era da giocare a basket o pallavolo preoccupandosi di essere bravi, perché altrimenti gli altri ti prendevano in giro.
E poi c’erano i miei compagni di classe. Tolto quel gruppetto che ancora mi saluta e a cui voglio bene, il resto consisteva in ragazzini crudeli che si divertivano sulle mie paure e sulle mie patologiche incapacità di relazionarmi. Ragazzini che crescendo non hanno aggiunto niente all’involucro che erano allora. Vuoti erano e vuoti sono rimasti.
Non credo di essere il solo ad aver provato queste sensazioni, e non credo nemmeno che siano ciò che di peggio si può provare: di certo ci sono esperienze ancora più brutte. Come ho detto, si tratta della prima volta in cui ti viene il dubbio che la vita non sarà facile e sarà piena di cose che fanno schifo e anche di cose per cui nessuno riuscirà a farti trattenere le lacrime, ed è lì che inizi a maturare la convinzione che non hai alternative a quella di andare avanti senza farsi uccidere. 
E rimani con una manciata di motivi per cui vale la pena, e con una consolazione: ciò che non uccide ti rende più forte. Io, per esempio, non sono ancora morto. E infatti sono forte, da morire.

Seguire l’istinto

On air: Oh Land, Wolf and I
Seguire l’istinto è una di quelle cose che vanno fatte senza dirlo ad alta voce. Un po’ come la beneficenza, che va fatta senza dirlo – e va pure scritta senza i, questo lo aggiungo io per conferire al post un delizioso elemento didattico.
Mi hanno sempre fatto un po’ ridere quelli che affermano di seguire l’istinto sempre e comunque. Non so come mai, immagino perché sia una di quelle frasi che si sentono sempre dire ad Amici di Maria De Filippi, insieme a Fai quello che ti dice il cuore, e Ho la musica nel sangue, e Maria, la Celentano è una zoccola. Non so, trovo queste frasi un po’ false, un po’ esageratamente melodrammatiche, ma forse è un problema mio.
Ma poi è proprio vero che bisogna seguire l’istinto sempre? Non capita mai a nessuno di seguire l’istinto e di rimanerci fregati? Proprio mai mai? Sicuri? Vorrei portare come argomentazione un pratico aneddoto che ho vissuto in prima persona.
Giocavo a Lupus in tabula con i miei amici. Se non sapete cos’è Lupus in tabula, vi basti sapere che è uno di quei giochi che rovinano le amicizie, tipo Monopoli o lo strip poker. Praticamente si gioca in tanti, ognuno pesca una carta che tiene solo per sé, e sulla carta c’è scritto se sei un contadino o un lupo, e i contadini devono scoprire chi sono i lupi prima che i lupi li uccidano tutti.
Succede che io ero un contadino, ed era l’ultimo turno. C’erano due sospettati di essere lupi: Michele e Matteo. Il mio voto era l’ultimo, ed era decisivo: potevo scegliere di impiccare uno dei due, e se avessi fatto la scelta giusta avrebbero vinto i contadini, ma se avessi sbagliato avrei perso. 
Avevo fatto un po’ di conti, e secondo i miei calcoli Matteo doveva essere il lupo. Eppure c’era una vocina che mi suggeriva che il lupo era Michele, non Matteo. Senza un motivo razionale, eh. Così, una sensazione. Mi trovavo a dover decidere. Dissi:
“La logica mi dice Matteo, ma l’istinto mi dice Michele”

Faccio una pausa tattica. Tutti pendevano dalle mie labbra. Un bel momento, devo dire, mi sentivo molto protagonista.
“Seguo l’istinto. Per me il lupo è Michele”

Ed è così che ho perso. Il lupo era davvero Matteo. Sequela abbastanza movimentata di moccoli e ingiurie. I miei calcoli erano esatti. Istinto una sega.

Del mio pregiudizio sui calciatori

Riassunto. 
Ieri quell’idiota di Alessandro Cecchi Paone ha affermato che nella Nazionale di calcio ci sono due omosessuali, un bisessuale, tre metrosessuali e a questo punto aggiungerei anche un marziano, una dozzina di ramarri e un uovo.
Ora, un branco di giornalisti dementi, a cui evidentemente non basta triturarci i coglioni parlandoci solo di calcio per tutto Giugno, ha la sfavillante idea di chiedere un parere a Gennaro Cassan… No, com’è che si chiama? Salvator… No, Rosario? Ah, Antonio! Dicevo, chiedere un parere ad Antonio Cassano, e permettersi pure di ridere sguaiatamente quando lui va ad esternare il proprio, illuminante, pensiero:
“Froci in Nazionale? Speriamo di no!”
Grandioso, no? Ora, non vorrei fare un post su Cassano e su cosa penso di questo fatto perché sarebbe veramente una perdita di tempo e poi nelle ultime ore chiunque ha espresso la propria opinione in merito. Credo che due stronzate di Cassano abbiano fatto parlare di gay più di quanto ha fatto il Pride di Sabato scorso – tanto per capire come funziona il giornalismo italiano. Mi chiedo solo se qualcuno l’abbia mai chiamato terrone e se questo gli abbia fatto piacere.
Comunque, questa vicenda mi ha fatto pensare che io sono un po’ come Cassano. Anche io ho i miei pregiudizi contro alcune categorie di persone. Per quanto sappia che esistono le eccezioni, pure io ho dei pregiudizi. I politici, ad esempio. Quelli che scrivono con la k. Quelli che hanno il SUV. E poi i calciatori.
Sì, non ci posso fare niente. Sono una persona che odia generalizzare, ma quando si tratta di calciatori lo faccio. Penso che siano del tutto stupidi. Ignoranti. Idolatrati ingiustamente. Straricchi immeritatamente, perché hanno la fortuna di vivere in un Paese che pende dalle labbra di uno sport. Buzzurri. Privi di qualsiasi abilità intellettuale. Ignoranti. Ah, l’avevo già detto “ignoranti”? Incapaci. Inetti. Col culo di sapere dare due calcetti a un pallone e basta. Cretini. Cerebralmente sottosviluppati. Stronzi e disonesti, perché fanno pure le scommesse. Ignoran… Okay, l’ho già detto, lo so.
Ed è per questo che, se qualcuno mi chiedesse qualcosa riguardo alle persone che frequento, probabilmente esibirei uno sguardo da spaccone e direi:
“Calciatori tra i miei amici? Speriamo di no!”

La parabola del finto divaricatore

On air: Donna Summer, Last Dance
Ci sono dei giorni in cui ti svegli triste. Può capitare, se sei affetto da disturbo bipolare, ma soprattutto può capitare se sogni cose brutte come che ti si cancellano tutte le foto dell’account di Instagram o che affoghi in un mare di yogurt alla banana.
Il fatto è che quando succede non mi piace. Perché quando sono triste si avviano dentro me una serie di meccanismi i quali probabilmente costituiscono gli estremi per un trattamento sanitario obbligatorio. Tipo che all’inizio penso che mi siano dovute più attenzioni (trip chiamato tu sei felice e io no), e poi penso che sono un bimbo grande e i bimbi grandi se la devono cavare da soli (trip chiamato sarò un vero uomo prima o poi), e poi penso che chiedere aiuto è umano (trip chiamato ora scrivo alla De Filippi), e poi finalmente arrivo alla sensazionale conclusione che da una parte devo un po’ forzarmi e dall’altra posso contare sull’appoggio di chi mi sta vicino (trip chiamato muovo il culo ma magari chiedo in prestito una chiappa).
Ma cosa significa forzarsi? Proverò a spiegarvelo con una storiellina. 
Il mio amico U. – sì, quello di Fiocco di Neve, bravi – ha una visione della vita che distingue le persone in due categorie: quelli col divaricatore vero e quelli col divaricatore finto. So che avete già pensato male, comunque non intendiamo quel divaricatore, bensì quello che si mette all’orecchio:
( nemmeno io sapevo che si chiamasse così. Non mi 
sono mai interessato ai piercing, perché i miei hanno 
più volte minacciato di togliermi gli alimenti se fossi 
rincasato con – cito testualmente – del ferro sul viso )
Ora, questo divaricatore può essere permanente e si fa dilatando il buco nel lobo con un’operazione dolorosa e quasi irreversibile e che al solo pensiero mia madre ingoia di getto due flaconi di Prozac; oppure può essere finto, per cui non patisci le pene dell’inferno e hai lo stesso risultato, perchè appari agli altri nel solito modo, e cioè con un aggeggio all’orecchio.
Al mondo esistono le persone col divaricatore e le persone senza divaricatore, così come esistono le persone felici e quelle tristi. Quello che so è che se mi sono svegliato senza divaricatore, non posso starmene con le mani in mano, aspettando che qualcuno me ne procuri uno. Sapete, ci sono persone che non riescono a chiedere un divaricatore a qualcuno. Semplicemente, sanno che il loro ruolo è quello di averlo e, intanto che lo cercano, ne indossano uno finto. Appaiono agli altri nel solito modo, e cioè con un aggeggio all’orecchio. Solo se ti avvicini abbastanza riesci a notare che è un finto divaricatore.
No, mamma, non me lo metto l’orecchino! Dio, devo smetterla di fare metafore.

Come mai la gente finisce sul mio blog

On air: Carpenters, Top of the world
È quando mi schiaccio i punti neri che faccio le riflessioni più profonde. Ieri sera, per esempio, ero alle prese con uno particolarmente impegnativo, di quelli che bisogna usare almeno due dita e posizionarle tatticamente in modo da accerchiare il comedone e fare pressione da due fronti opposti. Che il punto nero esce per sfinimento. Si arrende.
Comunque, pensavo che sono un blogger (o meglio, sono uno che ha un blog). Questo implica che le persone mi leggono. Non avevo mai pensato a questa eventualità. Le mie elucubrazioni mi hanno portato – oltre che all’estrazione di una notevole quantità di pus – a suddividere i miei lettori in tre categorie.
Categoria n.1 – Gli amici, i lettori fissi e quelli impietositi dalla mia vita
Sono i miei fan più fedeli, le mie groupie più audaci e ovviamente tutti coloro che ho obbligato a inserire Zucchero Sintattico tra i preferiti.
Categoria n.2 – I neofiti
Arrivano al mio blog da facebook, e ogni tanto fa loro piacere leggermi perché inspiegabilmente mi credono figo. O ridicolo, non ho ancora capito bene. Per esempio, una ragazza ieri in aula studio si è avvicinata e mi ha chiesto come va, perché aveva letto dei miei ultimi sviluppi emotivi. Oppure, un collega a mensa mi ha parlato di Fiocco di Neve. Ho molto apprezzato, in entrambi i casi. E poi fa sempre piacere parlare di Fiocco di Neve a mensa.
Categoria n.3 – I poveri sciagurati
Semplicemente cercano su google qualcosa, e in qualche modo arrivano a Zucchero Sintattico. Ora, c’è un praticissimo servizio che io posso consultare per vedere cosa la gente scrive per arrivare al mio blog. E vorrei riproporvelo, perché alcune parole cercate danno una precisa indicazione di quanto gli utenti di Internet possano essere… curiosi.
Vi metto qui sotto un’accurata selezione delle parole chiave cercate, e tra parentesi il numero di persone che sono arrivate al mio blog googlandole.
Zoofilia (121)
Elenco di insulti (39) 
Neve del cazzo (16)
Indice di forza zucchero (7)
Quanto vale un rene (7)
Capelli caduti (2) 
Mia sorella fa la doccia (8) 
Teletubbies di zucchero (3)
Chi c’è dentro i teletubbies? (2)
Teletubbies alti tre metri (2)
Teletubbies da stampare (2)
Quanto fa zero al quadrato (2)
Puttana (2)
Come chiamare per telefono una puttana a salerno (1)
Alessandro bianchi calciatore che fine ha fatto (1)
Blblbl (1)
Calze che nascondono cellulite (1)
Foto dell’aspirapolvere dei teletubbies? (1)
Per il mal di gola va bene l’oki? (1)
Donne non possiamo stare senza le vostre gonne (1)
Chi fa muovere i teletubbies (1)
Teletubbies, antenne, simbolismo (1)
Quanto costa uno scoiattolo (1)
Cazzo che schifo (1)
Insomma. Senza offesa, carissimi lettori miei, sapete che vi amo tutti, ma… siete un branco di pervertiti! Col fetish dei Teletubbies, per giunta.

Maschi VS Femmine, secondo me

È giunto il momento che metta a disposizione del mondo tutto il sapere che in questi ventritre anni di vita ho accumulato. E mi riferisco al sapere più inutile di questo mondo: la conoscenza della razza umana – che appunto è la più inutile di questo mondo.
Vorrei cominciare con una cosa abbastanza semplice. La differenza tra maschi e femmine. In realtà tratterò l’argomento in maniera molto approssimativa. Il mio intento è dare una spiegazione di carattere generale della questione, servendomi di stereotipi preconfezionati che l’America ha consolidato grazie a Beverly Hills 90210 e Lizzie McGuire che sembrano telefilm spensierati ma che in realtà sono potenti mezzi di lavaggio del cervello.

(Ma la cosa importante su cui riflettere è che esistono tante eccezioni agli stereotipi, in tutti i campi, e per fortuna)

Dunque, dicevamo della differenza tra maschi e femmine. Bene. Se permettete vorrei servirmi di una perla della cinematografia. Uno dei musical più famosi del mondo che è particolarmente esemplificativo.

Summer nights, da Grease


Gli amori estivi mi hanno fatto esplodere!
Gli amori estivi sono avvenuti così velocemente!

[ Sì, vabbè, questo è irrilevante.
Proseguiamo ]

 
Ho incontrato una ragazza pazza di me
Ho incontrato un ragazzo davvero molto carino

[ Nel secondo pezzettino capiamo già subito tutto.
I ragazzi si pavoneggiano, si vantano, si gonfiano.
Le ragazze mitizzano, esaltano, idealizzano.
Potremmo già fermarci qui, ma proseguiamo con l’ascolto,
perché ormai ho colorato di blu e rosa tutta la canzone ]

I giorni d’estate svaniscono lentamente
ma oh, quelle notti d’estate!!!

dimmi di più, dimmi di più
Sei arrivato molto lontano?
dimmi di più, dimmi di più
come ad esempio: ha una macchina?

[ Ecco fatto. Da questi versi corali possiamo facilmente arguire
una certa natura venale insita nelle ragazze e la classica tendenza
dei ragazzi a credersi tanto fighi quanto più sono andati in profondità
nella vagina di lei. Una curiosa proporzionalità, direi ]


Lei era in piedi vicino a me,
le é venuto un crampo
lui é venuto da me, avevo i vestiti bagnati
le ho salvato la vita, stava per affogare
Si é messo in mostra, nuotando qua e la

 [ Non si fa fatica a capire che il ragazzo esagera uno zinzino
cercando di passare da campione quando, a detta di lei, stava solo
cercando di attirare la sua attenzione. Comportamento che 
lei, andando contro ad ogni logica, sembra apprezzare ] 

 
Sole estivo, qualcosa é iniziato
ma oh, quelle notti d’estate!!!

Dimmi di più, dimmi di più
Fu amore a prima vista?
Dimmi di più, dimmi di più
Ha provocato litigi vari?

[ Mi sfugge il motivo per il quale lui dovrebbe esaltarsi
se lei avesse “provocato litigi vari” (traduzione trovata sul web,
abbiate pazienza), comunque è chiaro di come le bimbe
desiderino cose assurde e totalmente impossibili come
l’amore a prima vista o altre romanticherie tipiche degli Harmony ]


L’ho portata a giocare a bowling
Siamo andati a passeggiare,
abbiamo bevuto una limonata
Abbiamo limonato sotto il molo
Siamo rimasti alzati fino alle 10

[ Simpatico ed ambiguo uso dei termini limonare / limonata.
Metodo utilizzato anche recentemente da Berlusconi
coi termini burlesque / prostituzione, a dimostrazione del fatto
che Grease è un musical che ha fatto la storia ]

 
Gli amori estivi non significano nulla
ma oh, quelle notti d’estate!!!

dimmi di più, dimmi di più
mica l’hai messa incinta?!

[ Impossibile. John Travolta usa i preservativi.
In pelle ]

 
Dimmi di più, dimmi di più
perché lui ci sembra molto noioso!

È stato gentile, stringendo la mia mano
È stata gentile, in riva al mare
Era dolce, aveva appena compiuto 18 anni
Beh, è stata brava, sai cosa intendo?

[ Ancora una volta vediamo come i bimbi si vantino
delle proprie esperienze, facendo riferimento
a… ehm… argomenti… materiali. Invece le ragazze
si crogiolano nelle loro illusioni romantiche.
Roba da prendere a testate il muro ]

 
Calore estivo, ragazzo e ragazza si incontrano
ma oh, quelle notti d’estate!!!

dimmi di più, dimmi di più
Quanti soldi ha speso?
Dimmi di più, dimmi di più
può presentarmi un amica?

[ Arguiamo come per le ragazze valga il ragionamento
“più ha speso più è fantastico”. Arguiamo come i ragazzi non
ragionino e si preoccupino subito se c’è un’amica per loro ]


é arrivato il freddo, ecco com’é finita
così le ho detto che potevamo restare amici
poi ci siamo giurati vero amore
Mi chiedo cosa stia facendo lei ora

 
I sogni d’estate strappati sulla cucitura

[ ? ]

ma oh, quelle notti d’estate…

Ed eccoci in fondo alla canzone. Finalmente entrambi dicono ciò che pensano realmente. E badate bene: lo fanno quando sono lontani dai loro amichetti canterini. Potrebbe essere perché l’essere umano tende a tenere per sé i propri pensieri più intimi. Ma più probabilmente è perché certi acuti è meglio se non li sente nessuno.

Critica della ragion musica(le)

Siccome nell’ultimo post avevo parlato di un celebre social network che ha già spopolato nel mondo hipster e adesso sta prendendo piede anche nel mondo dei comuni sfigati, voglio fare un breve commento sul corrispettivo musicale. Shazam.
Shazam è un’applicazione molto utile che ascolta una canzone e ti dice il titolo e l’autore.
Capirete che è una genialata. Cioè: voi avete la radio accesa, o siete in un locale, e danno la-canzone -che-avete-sempre-voluto-nel-vostro-lettore-ma-di-cui-non-avete-mai-saputo-il-titolo. Quante volte vi è successo che avete chiesto ai vostri amici “Oh Ermenegilda, quale è il titolo di codesta canzone?” e quante volte vi è successo che vi hanno risposto “Oh Astolfo, mi duole dirlo ma non mi sovviene”. Ebbene, attivando questa applicazione partirà subito l’analisi delle frequenze (o quel che è) e il confronto con il database, e in pochi secondi vi sarà restituito il titolo della canzone.
Parentesi: Shazam non è l’unico software in grado di fare ciò. Ne esistono diversi altri. La differenza è che Shazam è mooolto famoso e figo e non può mancare nella libreria delle applicazioni di un indie inesperto che non conosce a memoria la discografia degli Arctic Monkeys.
Per esempio, ero in seconda liceo. La mia amica Giuli mi aveva fatto un disco che aveva simpaticamente chiamato Misto Rock, e non aveva messo i titoli delle canzoni. Per non far vedere a Giuli che sono un ignorante in musica, non le avevo mai chiesto qual era la canzone che mi piaceva tanto e di cui volevo tanto sapere il titolo. Una settimana fa, cioè otto anni dopo, ho finalmente risolto il mio dubbio: Shazam mi ha detto che si tratta di questa qua: link-a-youtube.
Ora, ci sono due problemi principali che riguardano Shazam. Il minore dei due è il fatto che se ci sono delle interferenze il programma ha qualche problema a identificare la canzone. Se state cercando il titolo della nuova canzone di Vasco Rossi e il vostro migliore amico rutta – forse stimolato dalla melodia – il software potrebbe non farcela a rispondere. Cosa che, nel caso di Vasco Rossi, potrebbe essere un bene.
Il secondo problema – di vitale importanza, direi – è che se siete in macchina e alla radio danno la canzone di cui avete sempre voluto sapere il titolo, prima di trovare il cellulare, attivare la connessione a Internet e far partire Shazam, voi siete già spiacciucati contro un palo.

Critica della ragion fotografica

On air: I cani, Hipsteria

La mia amica Laura studia Fotografia all’Accademia. Ora, va bene che io sono di parte, ma dovete credermi se vi dico che Laura è una fotografa coi controcoglioni. Anzi, con le controovaie – non capisco perché si debba usare un attributo maschile per denotare la determinazione femminile, soprattutto considerando il fatto che viviamo in una società dove sono sempre più le donne a dimostrare la grinta. Ho deciso, da oggi parlerò di controovaie anche quando si tratta di uomini.

Dicevo, prima di quest inutile parentesi non richiesta sulle pari opportunità, che la mia amica Laura è davvero brava. Nel senso che non ha bisogno di una macchina con risoluzione galattica per fare belle foto. Poi è chiaro che ce l’ha, con tutti i relativi strumentini tattici, però vi assicuro che anche con la fotocamera più misera ti fa degli scatti che hanno un senso. È una di quelle fotografe che pensa prima di scattare. Ragiona sulla luce, sull’inquadratura, e sicuramente su un milione di altri parametri di cui io potrei tranquillamente ignorare l’esistenza.
Ma c’è qualcosa che mina alla diffusione di questo modo di agire. Instagram.
Instagram in effetti scoraggia il pensiero che dovrebbe precedere lo scatto. È un social network che permette di modificare le foto mediante effettini già pronti. Nessuno si preoccupa del soggetto, o dell’inquadratura. Le foto vengono quasi per forza bene, col risultato che tutti si sentono fotografi. La realtà è che persino io che vomito sangue nel cesso di un autogrill verrei bene in una foto quadratina con la cornicina bianca e l’effettino vintage. E quindi tutti fotografano tutto. E tutti si sentono immensamente fighi. 
Ieri ho detto basta. 
Ho scaricato Instagram. Anche io voglio credere di avere una vita interessante. Voglio guardarmi filtrato dall’effetto vintage e pensare di essere incredibilmente figo. Voglio fotografare le forbicine con cui mi taglio le unghie, e fotografare anche le unghie tagliate, e farle vedere a tutti per dimostrare quanto siano poetiche le mie unghie in bianco e nero.
Sì, da ieri sono un instagramers o come cavolo si dice e avete quasi finito di leggere il mio post molto paraculo. Sì, lo ammetto: sotto questa epidermide di fintoradicalchic/nerdfallito/emulatoredihipster si nasconde uno come tutti voi. Uno che usa Instagram. E che adesso ha una voglia tremenda di chiamare Laura per farsi fotografare mentre vomita sangue nel cesso di un autogrill!

 

Mi scusi, quanto costa questo rene?

On air: Renato Zero, Baratto
Devo sbrigarmi a scrivere un post, perché da domani si potrà scrivere unicamente del fatto che è Pasqua e che si è mangiata troppa cioccolata e l’agnello invece assolutamente no. Poi parlerò dell’agnello, magari, ho un’opinione tutta mia sulla faccenda che coinvolge mucche parlanti e che pertanto dovrò condividere prima o poi.
Invece, oggi lascerò spazio ad una importante inchiesta sul costo del rene.
Non so se avete sentito: un ragazzo cinese che chiameremo Wang – e lo chiameremo così perché 1) è il suo vero nome e 2) tutti i ragazzi in Cina si chiamano Wang, e forse anche qualche ragazza – ha venduto il proprio rene per comprarsi un iPhone e un iPad. 
Ora, è chiaro che Wang è un imbecille. Anche perché ha scelto la Apple, e i prodotti Apple non andrebbero comprati a prescindere, dato che hanno un prezzo spropositato non tanto per le funzionalità o l’efficienza quanto per il fatto che sono Apple. Per carità, carina la frase del Stay hungry, stay foolish, ma per quattrocento euro di differenza mi aspetto qualcosa di ancora più creativo. Piuttosto mi accontento di un semplice nokiesco Connecting people, che tuttavia è molto ostico da pronunciare.
Comunque, Wang ha ricevuto 3000 dollari che sono quasi 2300 euro. Ora, prendendo come costo medio di un iPhone 700 euro e di un iPad 500 euro (fonte: il sito di MediaWorld), che in totale fa 1200 euro, notiamo che Wang ha ancora ben 1100 euro. Che probabilmente spenderà in cure mediche, visto che questa aquila cinese soffre ora di gravi problemi renali. 
Ma quanto avrebbe dovuto farsi pagare il caro Wanghino per il suo prezioso rene? 
Ora, è chiaro a tutti che il valore del rene di Wang è maggiore di quello del suo cervello. Insomma, piuttosto di farmi trapiantare il cervello di Wang mi lascerei la scatola cranica vuota, che è senz’altro più intelligente. Tuttavia, quanto costa un rene?
Ne parlavo oggi a tavola. Secondo mia mamma vale molto più di tremila euro. “Perché poi quando cachi mica ci puoi mettere l’iPhone, sul water”. E lì arriva mia sorella: “forse esiste un’applicazione apposita”. 
Sì. L’iCag.

La parabola del parabrezza

On air: Regina Spektor, Raindrops

Piove. 

Un mio amico dice che devo scrivere. È arrivato alla conclusione che io sto meglio dopo che ho scritto qualcosa, anche se quel “qualcosa” è una delle mie solite riflessioni inutili e stupide del blog. Sì, una delle mie tante considerazioni che invece che tirarmi su il morale mi dovrebbero far preoccupare della mia salute mentale, che peggiora post dopo post. E invece mi fa sentire meglio, e pertanto il mio amico mi consiglia di farlo.
Ma non ho l’ispirazione
Beh” – fa lui – “Per esempio puoi scrivere che a me stamani irrita il parabrezza. Vedi?” e con fare pratico mi indica il vetro dell’automobile, dove sul parabrezza c’è una righina di goccioline effettivamente irritante. E sorride pure tutto convinto che io possa parlare anche di questo.
Ora, se fossi uno scrittore vero saprei tirare fuori da questa osservazione un’arguta metafora sull’esistenza. La questione problematica è che io non sono uno scrittore vero, e tutto ciò che posso fare è prendere gli spunti che le mie giornate mi offrono e riportarle, qui o altrove. 
Non importa quanto siano piovose queste giornate. Perché, per tutta la pioggia che può cadere, abbiamo sempre un tergicristallo che possa lavare via l’acqua e farci vedere la strada. È che a volte ci dimentichiamo di fare manutenzione, e il tergicristallo non funziona bene, e fa le righine che vediamo sul vetro. Ed è molto irritante questo, perché noi non vogliamo vedere quella righina. Vogliamo tirare diritti e convincerci che quella righina non esiste, e che siamo capaci di proseguire anche con la pioggia, perché siamo forti e sappiamo guidare bene e niente ci può fermare. Eppure per quanto ci sforziamo di guardare oltre e fare finta di nulla, l’occhio ci cade sempre su quella righina, e non possiamo farne a meno, perché probabilmente non siamo capaci di concentrarci solo sulla nostra strada, e…
No, no, vedete? La mia metafora fa schifo. Non farò mai una bella metafora!
Non sono uno scrittore vero. Scrittorega, ecco.