La mia visione del mondo, raccontata tra parentesi.

I tre insegnamenti di oggi

Uno.

Il cane è davvero il migliore amico dell’uomo. Anche se tutte le attenzioni che ti dà sono causate dal fatto che sei l’unico che lo vuole coccolare mentre altre quindici persone guardano la partita.


Due.

I film sono profondamente irrealistici quando mostrano i personaggi che ascoltano la segreteria telefonica. Nessuno ha la segreteria telefonica. E nessuno la ascolta. Ci sono gli sms e sono molto più pratici.



Tre.

Sembra che sulla Terra non vincano i sensibili. Ma i duri non sanno cosa si perdono.





Di astucci e altre stronzate

Tanto da fare implica tanta assenza dal blog. Ho già chiesto scusa troppe volte per cui penso sia meglio passare direttamente alla ciccia. Se siete qui è perché siete desiderosi di leggermi. Oddio. Forse sono un po’ troppo ottimista. Rielaboro la frase. Se siete qui è perché siete i classici individui affetti da DDS. Dipendenza Da Stronzate. Quindi, prima che andiate a rota, eccole.

1) 
C’è una questione che mi tormenta da qualche tempo a questa parte. 
(Parentesi: la locuzione “da qualche tempo a questa parte” è pallosa e vagamente qualunquista, e soprattutto è sintatticamente indecifrabile, per cui mi vergogno di averla scritta. Ma ormai c’è, e mi ha dato lo spunto per scrivere questa geniale parentesi con cui inizialmente volevo solo chiedere perdono…)
Dicevo. La questione che mi tormenta da qualche tempo a questa parte (e adesso non starei a farci i poemi) è questa. Ora vado all’università. Magari anche voi ci andate. E siamo tutti andati alle elementari, alle medie e alle superiori (che poi ora si dovrebbero chiamare in un altro modo grazie all’indispensabile Riforma Moratti, ma tutti continuano a chiamarle elementari, medie e superiori). Bene. Abbiamo tutti avuto un astuccio. Qualche settimana fa ho realizzato che quando (e se) inizierò a lavorare, non avrò più un astuccio. Perché magari le penne e le gomme e le matite saranno in ufficio. Chiedo un minuto di raccoglimento, per favore. Pensiamoci. Non avremo più un astuccio. Non vi nascondo che ci sono rimasto parecchio male. Insomma, sono abituato a stare con l’astuccio con tutti i miei pennarellini e le dozzine di penne di riserva, e… No, non ne posso parlare, mi viene da piangere. Inizierò a lavorare, l’astuccio per qualche mese rimarrà sulla scrivania. Poi verrà spostato, da qualcuno. Forse da me. E dopo un anno, già mi immagino: “Dov’è finito l’astuccio?” “Mah, sarà insieme alle cianfrusaglie dell’università, o l’avrai tirato via, o…” e qui inizierò a tremare “…o forse è in soffitta“. NOOOOOOOOOO! IN SOFFITTA NOOOOOOOO!!! Tutto ciò che finisce in soffitta non viene più ritrovato. La mia soffitta è un ottimo nascondiglio per i cadaveri. E’ come avere un buco nero in casa. Addio, mio piccolo astuccio. Ricorderò con affetto le funzioni seno e coseno che avevo disegnato su di te. Addio.
2) 
Ho sviluppato una pessima abitudine, e vorrei confessarla qui, perché è come avere un peccato da espiare. Non vado dal prete per confessare i peccati. E il fatto che io sia non credente ha una rilevanza marginale in questa scelta. Non ho mai capito cosa gliene dovrebbe fregare al prete dei miei peccati. E’ una cosa molto stupida: se tanto Dio vede e sente tutto, perché non confessarsi da soli, pregando, senza passare da un intermediario che potrebbe essere indiscreto e soprattutto portare a quello che non è il meglio per una persona? Capisco solo l’intento di volersi sfogare, di condividere un peso con qualcuno. Ma ci sono gli amici per quello, o gli psicologi – che sono sicuramente più preparati in materia. Finita anche per oggi la digressione religiosa – qualche frecciatina ce la devo mettere ogni volta, ormai lo sapete. Il mio è odio profondo, non c’è niente da fare – posso tornare all’argomento iniziale: la mia pessima abitudine. Sì. Ho iniziato a dire
è chiaro

in ogni discorso. Il che è orribile, perché mi fa passare per il saputello arrogante e precisino, quando magari voglio semplicemente utilizzare un intercalare diverso dai soliti tipo, cioè, in realtà, tuttavia (per questi ultimi due la colpa è del mio guru…). Certo, meglio dire
è chiaro

che dire è logico, o è scontato, ma mi dà quest’aria presuntuosa che forse non avrei se non dicessi così tanto spesso
è chiaro

, capite? Questa cosa mi turba.
3)
Sarò breve, una volta tanto: ‘sto tempo ha rotto. E’ Maggio, NON Novembre.


4)
E anche l’ultima replica di Dio è andata. Con alti e bassi. Durante le prime tre performance mi ero chiesto come avrei potuto non ammalarmi con la testa umida (avevo due tipi diversi di gel e due tipi diversi di schiuma sul capo…). E, puntualmente, la febbre è arrivata il giorno dopo l’ultimo spettacolo. Ho ancora un pesante raffreddore che combatto con ogni rimedio naturale possibile (non posso aggiungere altre medicine a quelle che già prendo!). Per esempio, il latte e miele è portentoso contro la tosse. E le sciarpine – che comunque non tolgo mai anche quando sono sano come un pesce – mi tengono il collo bene al caldo! E ovviamente la frutta. A pranzo ho mangiato un arancio (anche se ho fatto fatica a sbucciarlo, tra un po’ mi rovesciavo tutto addosso) e stasera ho concluso la cena con due mele. Se una al giorno toglie il medico di torno, mangiandone due ho praticamente un check up giornaliero.


Cose, caso, caos

La vita è tale per cui a noi che ne usufruiamo succedono cose. Più precisamente: a me succede una cosa, a te ne succede un’altra, a lui un’altra ancora. A tutti succedono cose. La cosa straordinaria è quando le cose che succedono a uno sono causa od effetto delle cose che succedono a un altro. Le cose succedono, si incrociano, e così causano altre cose, che sarebbero state diverse se ad incrociarsi fossero state altre cose ancora.

Probabilmente, dopo questo preambolo ingarbugliato, l’unica cosa ad essere incrociata sarà la vostra mente. Non avevo intenzione di causarvi questi scompensi logici (o forse un po’ sì…), ma solo di arrivare alla domanda: chi decide le combinazioni e gli incroci che causano le cose che succedono?

E’ fortuna e sfortuna?

E’ il karma?

E’ un’entità superiore universalmente conociuta sotto il nome di Dio?

E’ semplicemente il caso?

Ma soprattutto: perché mi faccio queste domande dopo una giornata uggiosa passata a studiare? Miei cari lettori, vi lascio con un sorriso. E poiché ho idea che di un mio sorriso ve ne facciate poco, vi lascio anche con un video che riguarda ciò che ho appena scritto.


A volte a nostra insaputa ci troviamo diretti verso un precipizio.
Sia che ciò avvenga per caso o intenzionalmente non possiamo fare niente per evitarlo.

Una donna a Parigi stava uscendo a fare compere, ma aveva dimenticato il soprabito e tornò indietro a prenderlo. Mentre era lì squillò il telefono e lei rispose e parlò per un paio di minuti.

Mentre la donna era al telefono, Daisy stava provando lo spettacolo all’ Opèra de Paris. E mentre lei provava, la donna, finito di parlare a telefono, era uscita per prendere un taxi.

Un tassista poco prima aveva scaricato un cliente e si era fermato a prendere un caffè… e intanto Daisy continuava a provare. E questo tassista, che si era fermato per un caffè, prese a bordo la donna che andava a fare compere e che aveva perso l’altro taxi.

Il taxi dovette fermarsi per un uomo che stava andando a lavoro in ritardo di 5 minuti perché si era dimenticato di mettere la sveglia.

Mentre quell’uomo in ritardo attraversava la strada, Daisy aveva finito le prove e si stava facendo la doccia.

E mentre Daisy si faceva la doccia, il taxi aspettava la donna che era entrata in una pasticceria a ritirare un pacchetto che però non era pronto perché la commessa si era lasciata col fidanzato la sera prima e se n’ era dimenticata.

Ritirato il pacchetto, la donna era rientrata nel taxi, che rimase bloccato da un furgone. E intanto Daisy si stava vestendo.

Il furgone si spostò e il taxi poté ripartire, mentre Daisy, ultima a vestirsi, si fermò ad aspettare un amica alla quale si era rotto un laccio.

Mentre il taxi era fermo ad un semaforo, Daisy e la sua amica uscirono dal retro del teatro.

Se solo una cosa fosse andata diversamente… Se quel laccio non si fosse rotto o se quel furgone si fosse spostato un momento prima o se quel pacchetto fosse stato pronto perché la commessa non si era lasciata col fidanzato o quell’ uomo avesse messo la sveglia e si fosse alzato 5 minuti prima o se quel tassista non si fosse fermato a prendere il caffè o se quella donna si fosse ricordata del soprabito e avesse preso un taxi prima…

Daisy e la sua amica avrebbero attraversato la strada e il taxi sarebbe sfilato via.

Ma la vita, essendo quella che è, aveva creato una serie di circostanze incrociate e incontrollabili, per cui quel taxi non sfilò via… E quel tassista si distrasse un momento… E così il taxi investì Daisy… e la sua gamba fu spezzata…

Post serio. No, no, scherzo!

La missione è scrivere un intervento in un quarto d’ora. Perché alle due e mezzo devo n-e-c-e-s-s-a-r-i-a-m-e-n-t-e cominciare a studiare. Ci sono i compitini tra una settimana, e il solo pensarlo mi fa venire l’ansia. Non per niente sono un prode membro del “trio dell’ansia” (che poi in realtà è un quartetto, ma ormai il termine è stato così coniato). 
Beh, oggi è il primo Aprile. E i miei cuginetti hanno pensato bene di inaugurare i loro scherzi su di me. Niente di troppo traumatico: mi hanno indicato una cosa alla parete che poi non c’era e quando mi sono girato (ci casco sempre in queste cose…) mi hanno urlato “Pesce d’Aprileeeee!”. Che carini! Poi io ho fatto finta di dormire e sono saltato su, gridando d’improvviso. Uno a uno, pari. Ma il pomeriggio è ancora lungo…
(A proposito, fatemi controllare la schiena
Nessun foglietto. Posso continuare)

Ho ancora sei minuti. Devo concentrare nelle prossime righe tutte le cretinate possibili. Stamani pensavo. Il che significa che non facevo niente di importante. Comunque, l’oggetto del mio pensiero era l’incredibile versatilità di utilizzi che può avere il primo Aprile.
Punto numero uno: scherzare è sempre divertente. Non solo per mettere paura ai cuginetti, ovviamente. 
Punto numero due: dire la verità. Quale giorno migliore per farlo, se non quello in cui puoi sempre giustificarti con un Pesce d’Aprile se vedi che l’altro non la prende bene. Quindi, faccio un esempio puramente casuale: i traditori potrebbero approfittare di oggi per confessare la loro debolezza; se non altro per insinuare il dubbio.
Punto numero tre, decisamente il più importante: dichiararsi! Ma certo. Poi se vedi che la persona del desiderio assume una faccia tra il nauseato e il preoccupato, basterà buttarla sullo scherzo, e poi congedarsi un attimo per andare a deprimersi in compagnia di tre litri e mezzo di vodka (ma in realtà la giustificazione dell’allontanamento sarà… il bagno, ovviamente). 

Ho esaurito il mio tempo. Per vostra fortuna, in effetti.

Beh, vado a fare qualche esercizio.
E vado a dichiararmi a un po’ di gente.




Dai, scherzavo!




Per quanto riguarda gli esercizi, chiaramente.


Derby regionale

[…] La fiducia dell’Italia in Berlusconi è oltre il 60%. Non importa che la sua politica reazionaria e classista tagli i salari e gli investimenti, distrugga la scuola, la sanità, la ricerca, l’ambiente, metta la mordacchia alla giustizia, all’informazione libera, alla satira. Non importano le leggi ad personam, i conflitti di interesse, la gestione delle emergenze affidata a una cricca. Non importa il disprezzo della Costituzione, del Parlamento e della divisione dei poteri. Non importano gli attacchi al Presidente della Repubblica, all’unità sociale del Paese. Non importano lo sdoganamento del Fascismo, il razzismo di Stato, le guerre criminali, il ritorno al nucleare. Non importa che un affarista senza scrupoli metta al servizio della sua azienda e dei suoi problemi con la legge l’intera macchina dello Stato (una cosa che non c’era neanche all’epoca del Fascismo). Tutto questo non importa: la fiducia dell’Italia in Berlusconi secondo i sondaggi è oltre il 60%. Come si spiega tutto ciò? Io ho una mia teoria. […]

[ Daniele Luttazzi – intervento a Raiperunanotte ]
Beh. Che dire. Se proprio lo volete, votatevelo e prendetevelo. Io non riesco a spiegarmi con che logica qualcuno onesto o intelligente possa votarlo. Però la Legge italiana consente al popolo di votare qualsiasi persona, anche se poi la persona in questione non è in galera o in bancarotta solo perché è più volte intervenuto sulla Legge stessa.
Ad ogni modo, capisco che non ci siano grandi alternative. Ma tra due fette di carne, una scaduta da tre settimane e una scaduta da tre mesi, è proprio possibile che gli italiani preferiscano quella scaduta da tre mesi?! No. Non è possibile. E infatti gli italiani hanno chiaramente fatto capire di non voler più mangiare carne scaduta. Il 36 per cento di astenuti è un dato più che indicativo, di cui tuttavia i politici sembrano sbattersi altamente, molto più preoccupati dal pubblicizzare le loro vittorie. Ahhh, non che non l’abbiano notato, questo dato! Ve lo dico io: hanno una paura matta di dover ammettere che qualcosa non va. Perché farlo comporterebbe il necessario stravolgimento di tutto il sistema, a cominciare dall’espulsione dei parlamentari che da secoli sono radicati a quelle poltrone. E così i nostri orridi e “fondotinta-dipendenti” politici stanno lì a litigarsi un 7 a 6, 9 a 2, 4 a 3, esattamente come la Domenica dopo il derby. 
Tuttavia, nonostante le alternative di voto siano una peggio dell’altra, non credo che l’astensionismo possa essere una soluzione. A dir la verità in questo momento non vedo tante soluzioni geniali che non comprendano l’emigrazione di massa, ma sicuramente astenersi non risolve nulla. Come ho appena espresso, a loro non frega nulla, a loro basta tornare a sedersi lì e farsi vedere ad ogni programma televisivo esistente.
Per loro è tutta una partita di calcio. All’italiana. Sporca, truccata, corrotta, schifosa.
Per queste elezioni ho lavorato al seggio. Durante un momento morto in cui nessuno si presentava per votare, gli scrutatori parlavano tra loro di Juve e Milan e arbitri e pallone.
Notando il mio silenzio, uno di loro mi chiede per che squadra tifo.
Ho risposto che “ho una pessima opinione del calcio”.
Ci sono rimasti male.


Berlusconi indagato. Yawn.

Inizia così il nuovo post su Spinoza.it. Una battuta che riassume perfettamente il mio stato d’animo.
Per due motivi: il primo è che oggi è il mio terzo giorno consecutivo di OKi per cercare di curare il mio mal di gola, e l’OKi causa sonnolenza. E’ dalle due che sbadiglio. All’inizio pensavo che la causa fosse la spiegazione del Danelutto sulla memoria, poi mi è venuto in mente che questa polvere che prendo tre volte al giorno da tre giorni forse forse c’entra qualcosa. Beh, se serve a curarmi ben venga! Ieri mi sono bevuto circa due litri di latte e miele per calmare la tosse. Il latte e miele è miracoloso (anche se l’ottanta per cento del suo effetto è placebo) e per qualche ora riesce addirittura a rendermi meno acido, e ciò non è solo divino: è proprio trascendentale. 

Il secondo motivo per cui apprezzo la battuta di Spinoza.it è: MABBASTA! Io mi sarei abbastanza rotto. E non ho la minima voglia di fare del qualunquismo: io so che non sono tutti uguali. Per quanto si impegnino tutti a fare del loro peggio, sia chiaro. Ma non fanno tutti schifo alla stessa maniera, e tra il peggio e il meno peggio a me non sembra così assurdo preferire il meno peggio. Basta, sfogo finito. Vado a cena. Il telegiornale mi aspetta per iniettarmi la dose di rabbia quotidiana: una sostanza che riuscirebbe a compensare un oceano di latte e miele.


Bye bye Tonio

Diciamo che è da Martedì della scorsa settimana che spendo gran parte del tempo che passo con i parenti in una sola maniera: dare la mia opinione sul “caso Morgan”. Ho raggiunto il record Domenica, con un’ora e mezzo ininterrotta su discorsi di droga, Italia, ipocrisie e moralismi. Si sa: è il giorno del Signore, e tutti siamo propensi a fare le nostre omelie. Ma – cielo santissimo – un’ora e mezzo è veramente troppo tempo. E infatti adesso non ne voglio più sapere. Devo tenermi in forze per la prossima discussione.

Il preambolo che avete appena letto serve per dire che tutta questa vicenda non ha fatto altro che aumentare il mio odio nei confronti di: 1) televisione in generale, 2) RAI.

Ma ho appena letto un altro articolo che mi ha veramente sconvolto.

Ebbene, la Melevisione chiude.

Sì, il noto programma per bambini di Rai3, fonte inesauribile di spunti e battute varie, sparirà dal palinsesto insieme a Trebisonda, GT Ragazzi, Videogiornale del Fantabosco (che a quanto c’è scritto su internet sono altri programmi per ragazzi). 

Inizialmente ne ero dispiaciuto. Avevo guardato le prime stagioni della melevisione e ci sono in qualche modo affezionato. Diversi anni fa avevo persino creato un mio giornale (fatto con un foglio protocollo e gli articoli ritagliati dai giornali veri… ‘na cazzata, insomma) che avevo chiamato, molto originalmente, “il Fantabosco”.

Andando avanti a leggere, ho scoperto che la ragione della chiusura della ghenga di Tonio Cartonio è la necessità, in tempo di crisi, di ottimizzare i costi e risparmiare un po’.

Bene. 

Invece di partire a risparmiare sui programmi che, oltre a essere destinati ai più piccoli e deboli, rappresentano quella esigua striscia di televisione sana, vi suggerisco io altre cose su cui è possibile ottimizzare:
  1. Festival di Sanremo. Io sarei proprio per abbatterlo, vista la sua recente conversione da “competizione canora” a “reality show”. Comunque, se proprio lo si vuole tenere, sono sicuro che qualche sforbiciata ci si può dare.
  2. Paris Hilton. Il suo invito a Miss Italia non mi pareva un’urgenza così impellente, e soprattutto ho l’impressione che i 500 mila euro che le sono stati dati non corrispondano proporzionalmente alla consistenza del suo personaggio. Voglio dire: ma chi è?
  3. Porta a Porta. Ah, no, già. Quella non si tocca. Chiamiamola volontà divina.
  4. Isola dei Famosi. Con la metà del guardaroba della Ventura si riuscirebbe a finanziare una missione su Marte.
  5. Partite dell’Italia. Beh, se perlomeno vincesse! 
  6. Domenica In. Più che in budget, io taglierei tutta la superficialità e tutto il qualunquismo con cui affrontano i temi importanti. Sarebbe un’ottimizzazione eccellente.

Mi fermo qua, ma sono sicurissimo che esiste una quantità enorme di altri esempi.
Tonio Cartonio for President!

L’idea


Grazie. No, sul serio: grazie. Se avete deciso di darmi una possibilità nonostante il titolo che rimanda a un iperuranio platonico e nonostante abbiate esperienza di cosa succede quando mi metto a parlare di filosofia (vedi ultimo post), significa che avete fegato e magnanimità. Oppure che siete semplicemente degli sprovveduti che amano il rischio. Un po’ come quelli che attraversano la strada a un metro da Porta sant’Anna. Vezio li chiama “idioti”; anch’io uso lo stesso epiteto, tranne quando sono in vena di carinerie come adesso, momenti in cui uso l’espressione “sprovveduti che amano il rischio”. Affettuosamente, sia chiaro.

Ad ogni modo, qualsiasi sia il motivo che vi ha spinto a leggere queste prime righe, vi è andata bene. Non parlerò di filosofia. O meglio, non direttamente (perché si sa, la filosofia è ovunque!). Parlerò dell’idea, e dell’importanza di averla per primi. Perché è importante avere un’idea per primi, oppure averla nel momento giusto.

Esempio. John Cage era un musicista statunitense. Tra le sue opere, nel 1952 ne scrisse una, chiamata 4’33”, per qualsiasi strumento. Il pezzo consiste nel non suonare lo strumento per 4 minuti e 33 secondi. Questo brano in realtà ha profondi significati filosofici di cui io ho promesso di non parlare (comunque se siete curiosi potete leggerli su Wikipedia). Ma più che parlare dell’opera in sé, mi interessava dire che… se un qualsiasi cantante barra musicista barra deficiente, OGGI, pensasse di incidere un brano come questo, verrebbe altamente e immediatamente spernacchiato da tutti. Perché? Perché ci ha già pensato Cage! Se lo rifai tu non vale! E’ lui che ha avuto l’idea per primo. Lo stesso vale per ogni altra opera artistica del mondo, credo.

Al giorno d’oggi non è difficile procurarsi i mezzi per copiare un oggetto. Con un minimo di capacità, posso scrivere un libro copiandone un altro. Posso riprodurre fedelmente qualsiasi quadro del mondo. Posso fare la cover di qualsiasi canzone del mondo (beh, non io io, ma qualcuno dotato di una voce ascoltabile o cdell’abilità di suonare uno strumento potrebbe). Ma questo sarebbe – ovviamente, e per fortuna – plagio.

Ma se io – senza sapere di Cage – pensassi a una cosa analoga a 4’33”? Se io non conoscessi la trama dei Promessi Sposi e scrivessi una storia dagli stessi sviluppi? Se mi venisse in mente di scolpire qualcosa in grado di suscitare la stessa intensità emotiva della Pietà, pur non avendo mai visto l’originale e non avendo mai sentito parlare di Michelangelo? 

Beh, intanto rassicuro tutti che al massimo sarei in grado di costruire un pesce di pongo. Comunque, è chiaro che sarebbe plagio lo stesso. Ma con la differenza dell’assenza di malafede. Non che mi interessino le implicazioni legali del plagio, o la sua definizione in termini giuridici. Però la conclusione a cui umilmente riesco a giungere è che se vuoi far conoscere al mondo la tua arte, bisogna che ti sbrighi. Il successo è condizionato da due variabili: che tu sia il primo ad aver avuto quell’idea; e che quell’idea ti sia venuta nel momento giusto (ce lo volevo vedere un Cage nel Medioevo a proporre un pezzo muto. Sarebbe stato BRUCIATO in 4 minuti e 33 secondi, altro che…).

Tutto questo per dire che adesso siete qui a leggere le mie cazzate. Invece dovreste impiegare il vostro tempo per pensare e produrre la vostra idea. Prima che sia il vostro vicino di casa ad averla. 

Sostanza inzuppata nella cioccolata

Non ricordo se alle elementari abbia mai avuto un insegnante poco competente. Le maestre erano tutte brave, oppure io ero troppo ingenuo e ancora troppo poco istruito per percepire una qualche loro mancanza. Comunque ringrazierò sempre le storielle di Leda (“le vocali litigano, una piange e va via e lascia una lacrima, che è l’apostrofo”) e l’abaco di Paola (“il pallino verde indica le centinaia, e va nel terzo stecchino”), e i buffi rimproveri di Luigina (“cosa ci fanno ancora là fuori, quelle befane?! la campanella è suonataaaa!”).

Alle medie ero già più perspicace, e posso tranquillamente affermare che il professor FR (musica) è stato il peggior elemento di quei tre anni, in cui è riuscito a insegnarci a suonare Venus al flauto dolce. E basta. Beh, cosa pretendete da uno che lascia una classe a guardare un film di Boldi e De Sica e se ne va a provarci con le bidelle?

Pensando al liceo, invece, posso ricordare alcuni casi di professori particolarmente incapaci o idioti. Ma il premio per l’incompetenza credo spetti all’insegnante di filosofia della terza. NC. A distanza di quattro anni, voglio sperare che la sua abilità abbia raggiunto un livello accettabile. In breve, sarebbe davvero carino se avesse capito la differenza tra “spiegare” e “far leggere il libro dagli alunni”. E sarebbe altrettanto carino se avesse cominciato – finalmente – a studiare la filosofia.

Ad ogni modo, il post di oggi nasce proprio da un concetto che la giovanissima signora NC conosceva in modo sbagliato. Esatto, avete capito bene: sto per parlare di filosofia (ta ta ta taaaaa, musichina thriller). Non vorrei essere troppo palloso, quindi mi aiuterò con Wikipedia per descrivere l’esatta concezione pensata da Aristotele. Poi una bozza di quello che aveva capito NC leggendo dal libro. E poi finalmente possiamo passare alla mia versione, che è necessariamente più umile e idiota di quella aristotelica (e questo è il principale motivo per cui non mi troverete mai in un libro di filosofia).

Quindi:
– Aristotele (link): la sostanza è la più importante tra le categorie (che sono le caratteristiche fondamentali dell’essere), su cui poggiano tutte le altre categorie, e per cui una cosa può venir detta esistente.
– NC (il link non c’è, grazie al Cielo, ne metto uno a caso): insieme alla forma (come una cosa si presenta ai sensi) costituisce l’essenza di una cosa [in realtà questo concetto è parzialmente corretto, se sostituiamo qualche termine].

Grazie alla sbagliata interpretazione di NC, io ho potuto sviluppare una teoria. Questo è un punto a favore di NC, che subito viene perso se si pensa che tale teoria è completamente inutile e che viene pubblicata su questo blog insulso – di cui io però vado fierissimo, sia chiaro. 
Ero lì che facevo merenda coi befanini inzuppati nella cioccolata, e pensavo a una conversazione avuta l’altro giorno con i parenti. Mia sorella aveva visto in un negozio un mobile fatto a cilindro che ha la caratteristica di ruotare su sé stesso. Ecco: mamma sosteneva che fosse molto carino; nonna, al contrario, pensava che si trattasse di uno spreco di soldi, in quanto avrebbe occupato solo spazio e non sarebbe stato utile.
Io, avendo da poco sviluppato una viscida tendenza al politically correct, ho concluso che preferisco un giusto compromesso tra l’estetica e la funzionalità, tra il bello e l’utile, tra la forma e la sostanza. La virtù sta nel mezzo.

Vi chiederete: cosa c’entrano i befanini inzuppati nella cioccolata? C’entrano eccome, perché proprio oggi ripensavo a quella conversazione. E pensavo – dimenticando completamente il proposito del politically correct – che non è vero che la virtù sta nel mezzo. Perché una cosa deve essere necessariamente un compromesso tra ciò che è utile e ciò che è bello? Non può essere una cosa bellissima e anche utilissima? Non si può tendere al massimo dell’estetica e al massimo della funzionalità?

E poi ho pensato che i befanini inzuppati nella cioccolata erano davvero eccellenti, così ho dedicato le mie elucubrazioni all’alta pasticceria, argomento che esula da questi appena trattati (anche se probabilmente più interessanti e appetitosi).

E adesso, poiché trovo questo post molto noioso, dirò qualcosa che vi farà dimenticare di averlo letto: lo sapete che Tonio Cartonio non è più alla melevisione? E’ stato sostituito da suo cugino, un tal Milo Cotogno. Secondo me non è davvero suo cugino. Ha un’aria molto meno cretina. Peccato.

Dipendenze

C’è un filo sottilissimo che sostiene tutto il mio peso e mi impedisce di cadere nell’intorpidito oblio amebico di chi sceglie di lasciarsi trasportare dalla marea. Una estremità è attaccata al cielo, l’altra mi punge il collo e mi tiene sospeso in uno stato di confusa e forzata attenzione. Questo filo ha la consistenza del nylon e la fragilità del burro, ma soprattutto ha la dolcezza dello zucchero. Questo filo si chiama caffè, costa 35 centesimi ed è il motivo per cui ancora riesco a sopravvivere. 

Nei giorni scorsi mi sono reso conto che ho diversi vizi da cui dipendo. Chiamarli vizi non mi spaventa; anzi, non nascondo che averne soddisfa la mia insaziabile sete estetica. Dipendere dagli psicoattivi è maledettamente decadente. Forse lo sarebbe anche la nicotina, ma – ahimé – non sopporto l’odore della sigaretta né quello del fumo, senza contare che ingiallisce la punta delle dita, e lascia un alone marcio nei denti e un alito che personalmente preferisco evitare. Invece il caffè se ne va liberando gustosissimi succhi dolciastri, e per una mezz’oretta la bocca si bea nel piacere.

E poi dipendo dalla musica. Non riesco a concludere la giornata senza essermi fatto la mia buona dose di musica. E’ proprio impossibile, provo dolore quasi fisico (e non sto scherzando!) se non soddisfo questo bisogno. E’ un rituale che prevede delle tappe precise. Innanzitutto devo essere da solo, per cui mi barrico nella mia stanza. Ma non basta, perché possibilmente devo esserne il solo fruitore, quindi faccio in modo che le persone con cui convivo (anche chiamate sorella, papà, mamma, nonni) siano nelle stanze più lontane dalla mia – e a questo proposito ho scoperto che Affari Tuoi è un ottimo strumento di distrazione. Dopodiché alzo il volume e entro nel mio trip. Non uso quest’ultima parola a caso, i miei sono veri e propri viaggi in altri mondi: per questo mi servo soprattutto di musica onirico-psichedelica (o almeno che sembri tale). Invece, ultimamente, grazie alla mia consulente musicale di cui esistono ben poche repliche al mondo, ho scoperto di adorare il modo sensualissimo con cui Carmen Consoli strascica le doppie come se fossero una lettera sola. Chiusa parentesi.

Inoltre, non posso fare a meno, ogni tanto, di scrivere. Scrivere scemenze, come questa, o come praticamente ogni altra cosa che sta sul presente blog. O inventare parole nuove e dall’aria intellettuale, vedi il sopracitato (e sicuramente inesistente) “amebico”.

Ci sono dipendenze che non credevo di avere, e da cui nei giorni scorsi mi sono dovuto staccare. Per esempio quella che durante il sonno stabilivo con il mio cuscino. Il nostro era un rapporto simbiotico. Beh, il mio cuscino era il migliore cuscino del mondo, se ne sarebbe innamorato anche un insonne. Però purtroppo è affogato, e il nostro matrimonio è stato spezzato. Ad ogni modo, sono contento che tal divorzio sia avvenuto per il suo annegamento, e non per il mio.


Poiché non vorrei che si dubitasse della mia umanità (di cui io stesso mi interrogo più volte della sua esistenza) taccio su altri vizi – di cui mi dimentico più o meno volutamente – e concludo dicendo che la mia forse più grande dipendenza è quella dell’amicizia. Ma non aggiungo altro, perché non vorrei scadere nella retorica, e soprattutto perché sto coltivando da mesi l’immagine del cattivo ragazzo, e ciò sarebbe controproducente ai miei scopi (e a quelli della polizia, che ormai gioca a freccette con la mia faccia affissa sulle bacheche di tutta la procura). 


P.S. Disclaimer: questo post è stato scritto a causa di un’altra dipendenza che si è sviluppata pochi giorni or sono. Quella della ricerca della normalità. Vengo da un periodo un pochino scombussolato (e umidiccio, aggiungerei con un sorriso) e solo oggi ho deciso di ricercare le situazioni che vivevo prima di Natale. E ho scoperto che forse non sarà così difficile, se mi impegno. Per cui non prendete questo post come l’apoteosi della solennità o della serietà. C’è tanta, nuova ironia, qui dentro. Besos!