Lui e lui ridono

Tre Luglio Duemiladieci. Sesto Fiorentino. Festa della Musica. 
C’era una piazza, c’era un grande prato, c’erano delle gradinate. 
E c’erano i Baustelle, di nuovo sul palco a suonare per me.
E basta, sono proprio poco ispirato questa mattina. Capacità sintatticolessicografica (termine chiaramente inesistente) pari a zero. Butto giù un po’ di impressioni.

E’ strano l’effetto che ti fa vedere il tuo gruppo preferito salire sul palco. Fino a un momento prima erano come entità astratte, imprigionate nelle casse dello stereo o nel lettore mp3. E invece… esistono. Per forza: sono lì, stanno salendo sul palco, stanno accordando le chitarre. E suonano, cantano davvero. 

Francesco Bianconi aveva la stessa camicia del concerto al Saschall. E anche l’atteggiamento era il classico Bianconi: tranquillo, sereno, motivato. Rachele Bastreghi era di una bellezza e di un’eleganza paurose. Una voce così non può che uscire da una donna così. 

A parte i problemi tecnici, le imperfezioni vocali, il pubblico un po’ troppo spento e la sequenza finale di canzoni (non si può concludere con “Beethoven o Chopin”!) mi sono divertito. Emozionato, di nuovo.




Parte finale de La canzone del Parco,
che ho filmato ieri sera.
Spero funzioni, ma qualcosa mi dice che non caricherà.

Lettera al mese di Luglio

Caro Luglio,
ciao. Chi ti scrive è un ragazzo che è sempre stato più o meno educato. Rispettoso, come scrivevano sulle pagelle alle elementari. Non ce l’ho mai avuta con i mesi dell’anno. Forse con Novembre, ma solo dopo il bombardamento mediatico di Giusy Ferreri. Ma sicuramente mai con te, Luglio. Anzi: da piccolo io e i miei genitori andavamo sempre in vacanza a Luglio, perché era l’unico mese in cui potevano prendere le ferie. Ecco, vedi?

Caro Luglio,
voglio impegnarmi seriamente nella promessa che ti faccio. Io ti adoro, Luglio mio, e ti prometto che farò il bravo. Studierò e darò gli esami; dopo cena mi occuperò di sparecchiare; darò anche l’aspirapolvere, pensa. Cercherò di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, di pensare a oggi come se non ci fosse un domani, e tutte le altre frasine che si trovano dentro i cioccolatini (o su facebook, che più o meno ha lo stesso potere di banalizzare ogni cosa, ma non ha il cioccolatino da mangiare, quindi è ancora peggio).

Caro Luglio,
dopo questa sentita premessa, non posso evitare di dirti che sarebbe cosa estremamente apprezzata se tu fossi almeno un pelino ino ino più gradevole del mese precedente. 

Con tanto affetto,

tuo Ale


P.S. Allego una fotografia con delle albicocche. Non si sa mai.



“Mio zio”

Prendiamo il potere evocativo della musica. Ovvero, la capacità delle canzoni di far riaffiorare i ricordi sopiti, o di risvegliare completamente quelli adagiati in dormiveglia. Ecco, prendiamo questo potere e buttiamolo nel water, preoccupandoci di tirare lo sciacquone più e più volte.
Adesso che siamo liberi, pensiamo a una canzone che ci fa paura, indipendentemente dalle associazioni che ci colleghiamo. Sì, insomma: una canzone che ci turba, che ci spaventa.
Io ne ho una, almeno. Mio zio, di Carmen Consoli.

Ora, quelli tra di voi che fanno finta di intendersi di musica storceranno il naso. “Buuuh, Carmen Consoli”. Io – mi è già capitato di scriverlo proprio su questo blog – la trovo un’artista ricca e piacevole. Dotata di una grande sensibilità, soprattutto quando si tratta di descrivere la Sicilia e la figura della donna. 

Questa canzone parla di un uomo e di sua nipote. L’uomo è morto, e sua nipote va al suo funerale. L’uomo ha abusato di lei, e sua nipote lo ricorda. Spaventoso.

( P.S. Se avete delle canzoni che vi turbano, sarei curiosissimo di ascoltarle! )

Versi d’autunno

Mi manchi tu
la fantasia
il cinema
l’estate indiana
Mi servi tu
un brivido
il ghiaccio nel
Campari Soda
Mentre Francesco Bianconi e Valeria Golino cantavano io trascrivevo le loro parole. Un diversivo per pensare a come organizzare le mie, e a quali dire. Mentre cantavano, pensavo che in realtà non c’era bisogno di aggiungere altro: la canzone esprime già nel migliore dei modi ciò che voglio dire.

Fumo un’altra sigaretta
perché è facile buttarsi via
respiro e scrivo
tutto quello che mi manca
è un’assurda specie di preghiera
che sembra quasi amore

Stamani pensavo ai poeti, e ai cantautori – che poi sono poeti, in un certo senso. Hanno una capacità che io non avrò mai. Posso essere bravino con la prosa, ma il dono della poesia non lo possiedo, e penso che non l’avrò mai. Invidio i poeti. Imprimere un’emozione in un verso; sintetizzare uno stato d’animo in poche parole precise, scelte, quelle, loro.

Mi manchi tu
la libertà
tanti lp
Battisti e Mina
Mi servi tu
la malattia
che spazza via
la razza umana
Il fratello di mia nonna era un poeta. Era un poeta vero, perché riusciva a comporre pur non avendo studiato. Credo di ricordare che mia nonna mi disse che lui aveva la terza elementare, quindi giusto la formazione essenziale per poter scrivere. Ho letto qualcosa di suo, e non posso dire di aver apprezzato; forse a causa dei continui riferimenti alla campagna, o per l’ingenuità delle strofe infantili. Però vi ho letto anche delle metafore che una mente contadina non avrebbe potuto trascrivere. E forse nemmeno la mia. 

Chiudo con le sigarette
un ragazzo in strada scappa via
e metto in lista
tutto quello che mi manca
e mi sembra quasi una preghiera
oppure folle amore

Parlo di poesia per ingannare il tempo. Occupo la mente dando ordine alle dita di battere sulla tastiera. Non voglio che ci sia spazio per altro, per più tempo possibile. “Le stagioni cambiano”. Infatti fa strano vedere il sole fuori dalla finestra: tutta questa luce è la prova che distrugge ogni mia convinzione. E’ come se avessi sempre saputo che dopo la primavera viene l’autunno. Solo dopo l’autunno – forse – c’è l’estate. Dunque questo è il tempo dell’autunno? Allora mi ascolto una canzone d’autunno.



Piangi Roma muori amore splendi sole da far male ho già fatto le valigie ma rimango ad aspettare
Ridi Roma ridi amore dice il telegiornale che la fine si avvicina io m’invento un gran finale
Piangi Roma muori amore tutto il bene che so dare come il sasso e la fontana si consuma si consuma
Ridi Roma godi amore nonostante il temporale metto i panni ad asciugare piangi Roma ti fa bene

Ops

Dai. Ti amiamo lo stesso…

C’è confusione in Casa Bossi

“Ai mondiali non tiferò Italia” [ cit. Renzo Bossi, fonte ]

“Mi auguro che gli azzurri vincano il mondiale” [ cit. Umberto Bossi, fonte

“Ah. Grazie di avercelo detto. Quasi quasi non ci dormivo…” [ cit. ME ] 

I tre insegnamenti di oggi

Uno.

Il cane è davvero il migliore amico dell’uomo. Anche se tutte le attenzioni che ti dà sono causate dal fatto che sei l’unico che lo vuole coccolare mentre altre quindici persone guardano la partita.


Due.

I film sono profondamente irrealistici quando mostrano i personaggi che ascoltano la segreteria telefonica. Nessuno ha la segreteria telefonica. E nessuno la ascolta. Ci sono gli sms e sono molto più pratici.



Tre.

Sembra che sulla Terra non vincano i sensibili. Ma i duri non sanno cosa si perdono.





Elettroniche Emozioni

L’avevo già accennato nel post precedente: in questo periodo mi viene passata un sacco di musica elettronica. Che mi ha fatto realizzare che, in effetti, sballarsi mentre la si ascolta viene quasi naturale. Non avendo a disposizione acidi né polverine di nessuna forma, l’unica sostanza che mi è venuta da assumere è stata la cioccolata, con conseguente aumento dell’acne. Tutto sto discorsino per dire due cose.
Uno: che se ho i brufoli è tutta colpa della musica elettronica e delle sue proprietà che favoriscono l’assunzione di droghe.
Due: che vi consiglio tre chicchine. Tanto per mettere qualche video sul blog. Che fa colore.







Two – Motel Connection





Time to Pretend – MGMT



Calvin Harris – Flashback




Tra venire e partire

Piccola (paracula) premessa. Metto le mani avanti. Ho avuto il mio periodo-Liguabue, in cui ascoltavo praticamente solo lui. Sapevo a memoria le canzoni e trovavo che le parole fossero particolarmente adatte per la mia sensibilità, nonostante già allora riconoscessi una noiosa ripetitività nelle melodie. Ed è proprio questo che mi ha fatto allontanare da lui: il fatto che tutte le canzoni – le ultime specialmente – mi sembrassero uguali. Ed è innegabile che lo fossero. Credo che sia naturale che dopo tanti anni di carriera un artista consumi la propria ispirazione. Penso che a un certo punto uno si debba chiedere se continuare a produrre, sfruttando gli stessi passaggi e i trucchetti che piacciono al pubblico, oppure se farsi da parte. Io stimo il cantante che si fa da parte. O per lo meno: li stimerei, se ce ne fossero.
Invece, pare proprio che l’unico modo per un cantante di finire la sua carriera in bellezza sia la morte. Gli autori che sono morti precocemente hanno lasciato un repertorio di canzoni in cui non si trova un periodo finale mediocre. 
Per questo invito Vasco Rossi ad uccidersi.
No, sto scherzando. Anche se sono serio quando dico che lui è uno di quelli che dovrebbe veramente togliersi dai piedi: lasciarci un bel ricordo delle sue canzoni, invece di continuare a girare per radio proponendo pezzi insulsi.
E Max Pezzali, e Jovanotti, e Ligabue.
Ecco, torniamo a Ligabue, appunto. Dopo la sua ultima raccolta (dai terribili inediti quali Niente paura e Buonanotte all’Italia) mi ero definitivamente convinto che avesse esaurito l’ispirazione. Ho dovuto procurarmi il suo ultimo album, Arrivederci, mostro! perché voleva ascoltarlo mio padre. E, visto che la mia fornitrice ufficiale di musica al momento mi passa solo elettronica, ho pensato di ascoltarmi questo nuovo album. 
“Robe” già sentite, sicuramente. Sono canzoni molto molto studiate e molto poco ispirate. Specialmente dal punto di vista musicale percepisco un rock un po’ troppo calcato, volutamente aggressivo. Invece mi hanno fatto una buona impressione i testi: non contengono le solite parole (sole cuore amore) ma riescono comunque ad essere naturali, non eccessivamente ricercati. 
Propongo questa canzone. Si chiama La linea sottile.




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” Abbi pazienza. Ne varrà la pena “