Dio 2.0: eccezionalmente metafisico

Quando Simone Lippi mi ha telefonato per propormi una parte nella commedia che avrebbe diretto qualche mese dopo, io non ero molto convinto di accettare. Ero interessato a imparare a recitare, non ad andare in scena davvero! Rimanemmo d’accordo che mi avrebbe mandato il copione, e quando lo lessi me ne innamorai. E così ho iniziato le prove: il mio personaggio si chiama Cìrrosi (sì, come la malattia, ma con l’accento sulla i) ed è un informatico mezzo incapace che s’ingallisce quando vede una donna.

Inizialmente mi sentivo proprio negato. Al di là della memoria per le battute, che comunque sapevo che sarebbe stata un problema, non credevo di essere capace a livello interpretativo. Fa molta soddisfazione, adesso, vedere come io sia migliorato. Certo, niente di straordinario: nessuno mi darà l’Oscar – per fortuna, perché non ho pronto nessun discorsino – ma il mio personaggio era credibile, e questo è tantissimo!

Se si esclude la recita di quinta elementare, per me era la prima volta su un palco. Il che significa che un momento prima di entrare in scena stavo per disgregarmi dalla realtà e lasciare solo una vaga scia di ansia. Fortuna che tutto il gel che avevo nei capelli (e la lacca, e la schiuma, e un sacco di altre robe schifose) mi ha tenuto allo stato solido. Così ho fatto la mia parte e quando tutto è finito non potevo sentirmi più soddisfatto.

Domenica pomeriggio mi dispiaceva dover smontare tutto. In particolare, l’immagine del teatro deserto è una delle più desolanti che abbia mai visto. Su quelle poltroncine qualche ora prima c’erano tanti spettatori divertiti da una commedia brillante ed imprevedibile, di cui ogni personaggio diceva non possedere un finale. Ma si sa: il trucco per scrivere una buona commedia è cominciare dal finale. Basta trovare un finale ad effetto e poi si torna indietro, e si scrive il resto.





Playback Theatre

Uno spettacolo di playback theatre vede in scena diversi elementi: un conduttore, un musicista, qualche attore, e soprattutto il pubblico. E’ una forma di teatro sociale basata sull’improvvisazione, ma per le spiegazioni tecniche vi ho già segnalato il link di wikipedia dove potrete capire di che si tratta ed avere una visione sommaria di questo tipo di arte: in sostanza, gli spettatori che desiderano condividere una propria storia si fanno avanti e la raccontano; pochi secondi dopo, senza che nessuno si sia messo d’accordo, senza che nessuno abbia stilato nemmeno una riga di canovaccio, quella storia appena espressa viene rappresentata. 
Bene. Adesso so per certo che sarete tutti delusi e convintissimi che questo tipo di teatro non fa per voi, non vi piace, non lo trovate così emozionante e – anzi – pensate che la pubblicità che in questo momento io sto facendo sia immotivata e banale.
Bene. Sbagliate. Semplicemente perché è impossibile scrivere quello che è davvero il playback theatre senza averlo visto. Nessuno ci riuscirebbe, figuriamoci io (che per giunta ho il mal di schiena e stanotte ho dormito poco!).

Ho frequentato un corso di playback theatre organizzato dalla Compagnia degli Empatheatre, ed è una delle più belle esperienze che mi sia mai capitato di fare. Essere lì, essere te, ed essere chi ti senti di essere: è una piccola bolla di libertà che per diversi mesi mi sono ritagliato ogni Lunedì sera. Stabilire un contatto con gli altri attori, ricercarne l’appoggio senza mettersi d’accordo a voce: basta uno sguardo, anzi, no!, basta essere accanto, anzi, no!, basta sentirsi, sentire che ci siamo. Non è possibile sbagliare, se ti fidi di te stesso e degli altri. E quello che ricevi è mostruosamente toccante. Non posso parlarne con troppa cognizione di causa: in fondo io ho solo partecipato ad un corso, ho dato il mio contributo a quello che al massimo può essere lo scheletro di uno spettacolo, ma non ho mai realmente partecipato a una vera e propria performance. Ma se rappresentare le storie dei miei compagni di corso è stato così emozionante, chissà quanto potrebbe esserlo interpretare le storie di persone sconosciute che ti vengono a vedere!

Ieri sera sono stato per la prima volta a una performance degli Empatheatre. Ero attentissimo a quello che facevano, perché per la prima volta li vedevo come artisti e non come insegnanti. E’ stato divertente, mi sono sentito bene.
E anche se lo scopo di questo post è quello di aumentare la frequenza di pagine web che parlano di playback (purtroppo è una forma di teatro poco praticata in Italia), colgo l’occasione per ringraziare tutti gli Empateatranti!

Vi lascio con l’immagine della Serenità, rappresentata ieri sera tramite una scultura fissa (metto anche la terminologia così faccio un po’ il figo).




R come repulsione. R come Rihanna!

Caso di studio numero 1: G.

Io: “Ciao G! Che ascoltavi?”
G: (con palese sarcasmo) “Prima alla radio hanno dato Rihanna. Mi sono commossa in macchina.”

Caso di studio numero 2: F.

Io: “Sai, ho notato che non solo Lady Gaga balbetta, ma anche Rihanna!”
F: “Si vede che il decolorante dei capelli le è filtrato nel cervello.”

Caso di studio numero 3: I.

Io: “Ciao I! Che ne pensi di Rihanna?”
I: “Assoluta indifferenza.”

Caso di studio numero 4: H.

Io: “Se ti dico Rihanna, qual è la prima cosa che ti viene in mente?”
H: “Variabile binomiale!”

Doyouwannadiehappy?

Stamattina ho inaugurato la trash week 2010. Anche l’anno scorso era più o meno questo periodo quando ne ho avuto bisogno. Ho chiesto a tutti di consigliarmi delle canzoni completamente idiote per rendere più allegri i miei viaggi in auto. Tra parentesi, fra cose come Britney Spears e Vengaboys, tra Buddha’s Delight e Levas Polka, non so come ma nel disco c’è finito anche Charlie fa surf, e da lì mi sono appassionato al Baumondo. 
Quest’anno il tema della settimana è lo sconfinato universo della trash music. Tanto per cominciare, un brano che non è propriamente trash, ma dà un bel sottofondo a questa nuova, solare, venefica giornata. 

Cara Aurora

Primo tentativo: vari pezzi di carta sparsi per la stanza. Alcuni appallottolati, altri semplicemente gettati per terra. Diverse cancellature condannano le poche parole impresse su di essi.

Secondo tentativo: un foglio bianco accartocciato che troneggia sulla sommità del cestino, come se si volesse imporre sull’altra immondizia. Mostra alcune parole trapassate da righe severe che ne sottolineano l’inadeguatezza.

Cara Aurora,
non ci crederai, ma non trovo le parole. Proprio io, il ragazzo forte e determinato. Quello che non indugia mai, che sa sempre cosa fare, e che quando si impegna riesce a trovare una soluzione che metta d’accordo tutti. Io, Filippo. Mi trovo in imbarazzo e pure un po’ spaesato, perché ciò che dovrei scriverti non riesce a trovare una collocazione su questo pezzo di carta. Tu diresti che è colpa della penna, ma io non credo sia così. Ho provato a sostituirla, e non è cambiato nulla. Forse in questi casi le parole giuste sono quelle più dirette. Forse tutti i tentativi di rendere dolce ciò che è inevitabilmente amaro sono vani, e allora è inutile anche solo perderci del tempo. Aurora, tra noi non può continuare. All’inizio è stato bello, fantastico, meraviglioso, ma adesso sono stanco, veramente molto stanco, e sarebbe scorretto e vile da parte mia non dirti che la colpa di tutto questo sia tua. Tutta.

Terzo tentativo: un file di testo lampeggia sul monitor del computer.

Cara Aurora,
sono circa cinque notti che mi siedo davanti alla scrivania con la stessa intenzione, e sono cinque notti che non riesco a realizzarla. Si tratta di scriverti. Questa sera la penna ha sputato alcune parole. Tutte sbagliate. Dovresti vedere la mia stanza ricoperta da pallottole di carta per capire. Tu non saresti molto contenta. Mi diresti che gli alberi piangono quando si spreca la carta (e magari useresti quella che ho qui per costruire un castello). Così ho deciso di scrivere al computer: almeno non danneggerò la natura.
Cinque giorni fa tornai a casa che ero veramente incazzato. Scusami, lo so che non ti piace quando uso queste parole. Ti avevo portata fuori a cena. Ero anche stato attento a non scegliere un ristorante troppo elegante né troppo frequentato, perché so che li odi. C’era anche la luna piena, e dici sempre che la luna è contenta quando è piena, e che quando la luna è contenta sei contenta anche tu. Per tre ore sono stato completamente tuo, e contemporaneamente ero rapito dal pensiero di quello che sarebbe successo dopo. A mezzanotte, quasi mi tradii quando mi sono voltato per cercare un cameriere che stava puntualmente arrivando. Ci servì due biscotti. Non ti lamentasti nemmeno del fatto che avevi ordinato la torta alle mele: sapevo che non l’avresti fatto. Iniziai a mordere il mio biscotto che già tradivo un sorriso, ma mi sforzai di guardare il mio piatto ostentando un’indifferenza che mi è costata tanta concentrazione. Per forza: non sono mai stato così in ansia. “Uh!” La tua esclamazione di sorpresa interruppe il mio cuore. Non pensavo che potesse smettere di battere per così tanto tempo. Sollevai lo sguardo giusto in tempo per vederti estrarre il biglietto dal biscotto. Avevi nel volto la solita espressione bambina di sempre, curiosa e trasognata. Potevo seguire i tuoi occhi azzurri mentre scorrevano sulle parole del biglietto. Vuoi sposarmi? c’era scritto. Hai cominciato a ridere, e quando mi hai guardato i tuoi occhi brillavano felici. E così mi sono unito a te, a ridere con te, e forse anche i miei occhi hanno brillato felici come i tuoi. E poi, sempre col sorriso sulle labbra, mi hai detto… “No”. Non ho capito subito ciò che avevi detto. Probabilmente non avevo ancora la capacità di connettere una parola tanto malvagia alla reazione gioiosa di un momento prima. Eppure me lo hai ripetuto: “No”. “No? In che senso?” Lentamente il mondo si stava distruggendo: vedevo i camerieri sprofondare nelle crepe del terreno, e i tavoli cadere, e le luci crollare dal soffitto, e la terra e l’aria scuotersi. Ma doveva succedere nella mia testa, perché tu non battevi ciglio e continuavi a fissarmi, intanto che giocherellavi con la treccia bionda dei tuoi capelli. “Non voglio sposarti, Fil. Ci sono tante altre persone al mondo che voglio amare. Questa cosa che voi fate, il matrimonio… Funziona tra due persone, e esclude i cinque miliardi e novecentonovantanove milioni e novecentonovantanove mila novecento novantotto che restano. No, Fil, non possiamo permetterci di lasciarli tutti fuori”. Ad ogni tua parola che ascoltavo ero sempre più basito. Ti conosco bene, e non avrebbe dovuto sorprendermi una filosofia del genere. Ma proprio perché ti conosco bene so che non avresti mai cambiato idea. “Ma tu… mi ami!” provai a ribattere, conscio che ogni confutazione razionale sarebbe stata vana con le tue strambe idee sull’amore. “Certo che ti amo… Tu?” E già sorridevi, come se tutte le parole che avevi appena pronunciato fossero evaporate, e per questo non più degne di essere considerate. Invece no. Io ero rimasto ferito dalla tua sentenza. Non ti risposi. Lasciai dei soldi sul tavolo, poi mi alzai e me ne andai via.
Forse ti starai chiedendo come mai ti abbia ripetuto tutto questo. Ebbene, non sono così sicuro che tu abbia realizzato di avermi fatto molto male, e non escludo che tu abbia già dimenticato quel che mi hai detto. Invece devi sapere come mai ti sto per lasciare.
Così finisce quel che chiamavamo la nostra fiaba. Senza un E vissero felici e contenti. Ti ricordi il nostro C’era una volta? Come tutto è iniziato? In libreria, un inverno di sette anni fa. Stavo cercando una copia de La Sirenetta da regalare a mia nipote, ricordi? Quando finalmente la trovo, mi compari davanti, strappandomi il libro dalle mani. Sembravi disperata, ma l’unica cosa che notai fu la luce azzurrina dei tuoi occhi. “Non è come pensi: è una storia triste! Non comprarla, non comprarla, ti prego…”. Eri abbattuta, mentre cercavi con tutte le tue forze di convincermi a cambiare libro, a scegliere i fratelli Grimm, o Collodi, o Edipo. Solo adesso, in questo preciso istante, capisco che in quella libreria, in quel Dicembre freddo di sette anni fa, tu già mi amavi. E che in quel ristorante di cinque giorni fa, tu ancora mi amavi. E che nel frattempo tu hai avuto modo di raccontarmi tutte le tue fiabe preferite, centinaia e centinaia di volte.

Quarto tentativo: un bigliettino piegato in due, posato sul comodino. Pronto per essere infilato di nascosto nella borsa di una ragazza dagli occhi azzurri.

Cara Aurora,
a volte sono un po’ ottuso, e non arrivo a capire nemmeno ciò a cui un bambino arriverebbe con semplicità. Per questo ci sei tu con me.
Ti amo.
Tuo Fil


H.E.R.O.I.N. Non si parla di droga

…ma di creatività, che in effetti è come una droga. 

Motel Connection – H.E.R.O.I.N. 
They call you h.e.r.o.i.n.
I talk about you like it’s a drug
I call you h.e.r.o.i.n.
cause it will eases the pain till it’s numb

I got a taste, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the road

I got a date, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the world

I got a date, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the hope

I got a taste, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the road

You are my h.e.r.o.i.n.
Gonna breathe clean air tonight
You are my h.e.r.o.i.n.
wanna see blue skyes in the night
You are my h.e.r.o.i.n.
gotta play with the raw stuff it’s fun
You are my h.e.r.o.i.n.
Wanna feel your push in my run

I got a taste, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the road

I got a date, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the world

I got a date, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the hope

I got a taste, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the road

Post serio. No, no, scherzo!

La missione è scrivere un intervento in un quarto d’ora. Perché alle due e mezzo devo n-e-c-e-s-s-a-r-i-a-m-e-n-t-e cominciare a studiare. Ci sono i compitini tra una settimana, e il solo pensarlo mi fa venire l’ansia. Non per niente sono un prode membro del “trio dell’ansia” (che poi in realtà è un quartetto, ma ormai il termine è stato così coniato). 
Beh, oggi è il primo Aprile. E i miei cuginetti hanno pensato bene di inaugurare i loro scherzi su di me. Niente di troppo traumatico: mi hanno indicato una cosa alla parete che poi non c’era e quando mi sono girato (ci casco sempre in queste cose…) mi hanno urlato “Pesce d’Aprileeeee!”. Che carini! Poi io ho fatto finta di dormire e sono saltato su, gridando d’improvviso. Uno a uno, pari. Ma il pomeriggio è ancora lungo…
(A proposito, fatemi controllare la schiena
Nessun foglietto. Posso continuare)

Ho ancora sei minuti. Devo concentrare nelle prossime righe tutte le cretinate possibili. Stamani pensavo. Il che significa che non facevo niente di importante. Comunque, l’oggetto del mio pensiero era l’incredibile versatilità di utilizzi che può avere il primo Aprile.
Punto numero uno: scherzare è sempre divertente. Non solo per mettere paura ai cuginetti, ovviamente. 
Punto numero due: dire la verità. Quale giorno migliore per farlo, se non quello in cui puoi sempre giustificarti con un Pesce d’Aprile se vedi che l’altro non la prende bene. Quindi, faccio un esempio puramente casuale: i traditori potrebbero approfittare di oggi per confessare la loro debolezza; se non altro per insinuare il dubbio.
Punto numero tre, decisamente il più importante: dichiararsi! Ma certo. Poi se vedi che la persona del desiderio assume una faccia tra il nauseato e il preoccupato, basterà buttarla sullo scherzo, e poi congedarsi un attimo per andare a deprimersi in compagnia di tre litri e mezzo di vodka (ma in realtà la giustificazione dell’allontanamento sarà… il bagno, ovviamente). 

Ho esaurito il mio tempo. Per vostra fortuna, in effetti.

Beh, vado a fare qualche esercizio.
E vado a dichiararmi a un po’ di gente.




Dai, scherzavo!




Per quanto riguarda gli esercizi, chiaramente.


Petizione contro l’informatica insegnata da chi non è abilitato

La Riforma Gelmini per le Scuole Superiori assegna, nel primo biennio degli Istituti Tecnici e Professionali, l’Insegnamento di Informatica NON agli Informatici, Laureati ed Abilitati ma agli Stenografi, Dattilografi e agli insegnanti di Trattamento Testi, che sono solo Diplomati e privi di Abilitazione per Informatica .

L’assegnazione di Informatica a chi non ha il titolo per insegnarla tenta di risolvere il problema della soprannumerarietà creata dalla Riforma per questi insegnanti: moltissime ore di laboratorio sono state eliminate dalla Riforma e questo causerà la perdita di moltissimi posti di lavoro per Stenografi, Dattilografi e Trattamento Testi.

Ma invece di risolvere il problema, la Gelmini lo trasferisce alla classe di Informatica. E’ il buon vecchio problema della coperta corta: se copro la testa scopro i piedi. E oltre a essere inefficace questo provvedimento crea un orrore didattico: l’Informatica insegnata da chi non ha il titolo e la preparazione per insegnarla.

Se come me pensi che questo non sia il modo per risolvere i problemi creati e che TUTTE le materie devono essere insegnate da chi è preparato per farlo, senza trucchetti, pressapochismo e storture di comodo, firma per favore questa petizione:


PS: SCADE OGGI.

Derby regionale

[…] La fiducia dell’Italia in Berlusconi è oltre il 60%. Non importa che la sua politica reazionaria e classista tagli i salari e gli investimenti, distrugga la scuola, la sanità, la ricerca, l’ambiente, metta la mordacchia alla giustizia, all’informazione libera, alla satira. Non importano le leggi ad personam, i conflitti di interesse, la gestione delle emergenze affidata a una cricca. Non importa il disprezzo della Costituzione, del Parlamento e della divisione dei poteri. Non importano gli attacchi al Presidente della Repubblica, all’unità sociale del Paese. Non importano lo sdoganamento del Fascismo, il razzismo di Stato, le guerre criminali, il ritorno al nucleare. Non importa che un affarista senza scrupoli metta al servizio della sua azienda e dei suoi problemi con la legge l’intera macchina dello Stato (una cosa che non c’era neanche all’epoca del Fascismo). Tutto questo non importa: la fiducia dell’Italia in Berlusconi secondo i sondaggi è oltre il 60%. Come si spiega tutto ciò? Io ho una mia teoria. […]

[ Daniele Luttazzi – intervento a Raiperunanotte ]
Beh. Che dire. Se proprio lo volete, votatevelo e prendetevelo. Io non riesco a spiegarmi con che logica qualcuno onesto o intelligente possa votarlo. Però la Legge italiana consente al popolo di votare qualsiasi persona, anche se poi la persona in questione non è in galera o in bancarotta solo perché è più volte intervenuto sulla Legge stessa.
Ad ogni modo, capisco che non ci siano grandi alternative. Ma tra due fette di carne, una scaduta da tre settimane e una scaduta da tre mesi, è proprio possibile che gli italiani preferiscano quella scaduta da tre mesi?! No. Non è possibile. E infatti gli italiani hanno chiaramente fatto capire di non voler più mangiare carne scaduta. Il 36 per cento di astenuti è un dato più che indicativo, di cui tuttavia i politici sembrano sbattersi altamente, molto più preoccupati dal pubblicizzare le loro vittorie. Ahhh, non che non l’abbiano notato, questo dato! Ve lo dico io: hanno una paura matta di dover ammettere che qualcosa non va. Perché farlo comporterebbe il necessario stravolgimento di tutto il sistema, a cominciare dall’espulsione dei parlamentari che da secoli sono radicati a quelle poltrone. E così i nostri orridi e “fondotinta-dipendenti” politici stanno lì a litigarsi un 7 a 6, 9 a 2, 4 a 3, esattamente come la Domenica dopo il derby. 
Tuttavia, nonostante le alternative di voto siano una peggio dell’altra, non credo che l’astensionismo possa essere una soluzione. A dir la verità in questo momento non vedo tante soluzioni geniali che non comprendano l’emigrazione di massa, ma sicuramente astenersi non risolve nulla. Come ho appena espresso, a loro non frega nulla, a loro basta tornare a sedersi lì e farsi vedere ad ogni programma televisivo esistente.
Per loro è tutta una partita di calcio. All’italiana. Sporca, truccata, corrotta, schifosa.
Per queste elezioni ho lavorato al seggio. Durante un momento morto in cui nessuno si presentava per votare, gli scrutatori parlavano tra loro di Juve e Milan e arbitri e pallone.
Notando il mio silenzio, uno di loro mi chiede per che squadra tifo.
Ho risposto che “ho una pessima opinione del calcio”.
Ci sono rimasti male.