Tra venire e partire

Piccola (paracula) premessa. Metto le mani avanti. Ho avuto il mio periodo-Liguabue, in cui ascoltavo praticamente solo lui. Sapevo a memoria le canzoni e trovavo che le parole fossero particolarmente adatte per la mia sensibilità, nonostante già allora riconoscessi una noiosa ripetitività nelle melodie. Ed è proprio questo che mi ha fatto allontanare da lui: il fatto che tutte le canzoni – le ultime specialmente – mi sembrassero uguali. Ed è innegabile che lo fossero. Credo che sia naturale che dopo tanti anni di carriera un artista consumi la propria ispirazione. Penso che a un certo punto uno si debba chiedere se continuare a produrre, sfruttando gli stessi passaggi e i trucchetti che piacciono al pubblico, oppure se farsi da parte. Io stimo il cantante che si fa da parte. O per lo meno: li stimerei, se ce ne fossero.
Invece, pare proprio che l’unico modo per un cantante di finire la sua carriera in bellezza sia la morte. Gli autori che sono morti precocemente hanno lasciato un repertorio di canzoni in cui non si trova un periodo finale mediocre. 
Per questo invito Vasco Rossi ad uccidersi.
No, sto scherzando. Anche se sono serio quando dico che lui è uno di quelli che dovrebbe veramente togliersi dai piedi: lasciarci un bel ricordo delle sue canzoni, invece di continuare a girare per radio proponendo pezzi insulsi.
E Max Pezzali, e Jovanotti, e Ligabue.
Ecco, torniamo a Ligabue, appunto. Dopo la sua ultima raccolta (dai terribili inediti quali Niente paura e Buonanotte all’Italia) mi ero definitivamente convinto che avesse esaurito l’ispirazione. Ho dovuto procurarmi il suo ultimo album, Arrivederci, mostro! perché voleva ascoltarlo mio padre. E, visto che la mia fornitrice ufficiale di musica al momento mi passa solo elettronica, ho pensato di ascoltarmi questo nuovo album. 
“Robe” già sentite, sicuramente. Sono canzoni molto molto studiate e molto poco ispirate. Specialmente dal punto di vista musicale percepisco un rock un po’ troppo calcato, volutamente aggressivo. Invece mi hanno fatto una buona impressione i testi: non contengono le solite parole (sole cuore amore) ma riescono comunque ad essere naturali, non eccessivamente ricercati. 
Propongo questa canzone. Si chiama La linea sottile.




fortune cookie

” Abbi pazienza. Ne varrà la pena “

Non ti preoccupi mai della fine del mondo, Charlie Brown?

Dipende. Che giorno è oggi?

Martedì.

Beh, il Martedì mi preoccupo dei problemi della personalità.
Giovedì è il giorno in cui mi preoccupo della fine del mondo.

Lavitava

La vita va
E’ perpetuo il moto
Lo scienziato sa come prenderla 

Felicità: ci si arriva a nuoto
Ci si spoglia
Si leva l’ancora 

Quando lei lo baciò, disse:
Amore, non farmi male
Non farmi soffrire
Ho fatto un sogno: tu c’eri 

Vivo così
Tra il sociale e il vuoto
Guarda gli alberi come crescono 

Felicità: ci vorrebbe un prete
o un Mondo delle Idee comprensibile 

Quando lui la baciò, si sbagliava
Forse mentiva, piangeva di gioia
Ha dèi crudeli, la vita 

Quando lei se ne andò,
mi ricordo bene il suo sguardo
Lasciò qui la giacca. Il mio amore è freddo. 


E’ sempre piacevole sapere di non essere un problema. Forse è per sentirmelo dire che lo chiedo, anche quando ho studiato una persona talmente a fondo che sono sicuro che la sua risposta sarebbe positiva. Sapere di non essere un problema è piacevole, sopratutto se hai mangiato una focaccina dal gusto discutibile, e se sei seduto su un pavimento duro e scomodo (che poi, in realtà, è la posizione ad essere scomoda e a farti percepire il pavimento come duro).
E’ piacevole, a volte, lasciarsi andare come fa la vita nelle canzoni dei Baustelle, e dire quel che si vuole dire, e fare quel che si vuole fare, e non preoccuparsi se il tuo stupido cappellino darà noia a quello dietro di te, perché al massimo sarà lui a chiederti di toglierlo. E’ piacevole, ma è anche difficile, dire la verità, e promettere di tenere duro anche se si sa che quella promessa si sfalderà come vernice arrugginita.
E’ piacevole non pensare, è piacevole essere al concerto di uno dei tuoi gruppi preferiti e non pensare, è piacevole avere tanto sonno da non pensare. Ed è piacevole sapere che anche se più o meno nessuno dei tuoi lettori potrà capire un emerito tubo di quello che hai scritto, tu lo pubblicherai lo stesso, perché ti va di farlo e alla fine chissenefrega. Ma magari lo metto in bianco, che si confonda con lo sfondo.

R come repulsione. R come Rihanna!

Caso di studio numero 1: G.

Io: “Ciao G! Che ascoltavi?”
G: (con palese sarcasmo) “Prima alla radio hanno dato Rihanna. Mi sono commossa in macchina.”

Caso di studio numero 2: F.

Io: “Sai, ho notato che non solo Lady Gaga balbetta, ma anche Rihanna!”
F: “Si vede che il decolorante dei capelli le è filtrato nel cervello.”

Caso di studio numero 3: I.

Io: “Ciao I! Che ne pensi di Rihanna?”
I: “Assoluta indifferenza.”

Caso di studio numero 4: H.

Io: “Se ti dico Rihanna, qual è la prima cosa che ti viene in mente?”
H: “Variabile binomiale!”

Doyouwannadiehappy?

Stamattina ho inaugurato la trash week 2010. Anche l’anno scorso era più o meno questo periodo quando ne ho avuto bisogno. Ho chiesto a tutti di consigliarmi delle canzoni completamente idiote per rendere più allegri i miei viaggi in auto. Tra parentesi, fra cose come Britney Spears e Vengaboys, tra Buddha’s Delight e Levas Polka, non so come ma nel disco c’è finito anche Charlie fa surf, e da lì mi sono appassionato al Baumondo. 
Quest’anno il tema della settimana è lo sconfinato universo della trash music. Tanto per cominciare, un brano che non è propriamente trash, ma dà un bel sottofondo a questa nuova, solare, venefica giornata. 

Cara Aurora

Primo tentativo: vari pezzi di carta sparsi per la stanza. Alcuni appallottolati, altri semplicemente gettati per terra. Diverse cancellature condannano le poche parole impresse su di essi.

Secondo tentativo: un foglio bianco accartocciato che troneggia sulla sommità del cestino, come se si volesse imporre sull’altra immondizia. Mostra alcune parole trapassate da righe severe che ne sottolineano l’inadeguatezza.

Cara Aurora,
non ci crederai, ma non trovo le parole. Proprio io, il ragazzo forte e determinato. Quello che non indugia mai, che sa sempre cosa fare, e che quando si impegna riesce a trovare una soluzione che metta d’accordo tutti. Io, Filippo. Mi trovo in imbarazzo e pure un po’ spaesato, perché ciò che dovrei scriverti non riesce a trovare una collocazione su questo pezzo di carta. Tu diresti che è colpa della penna, ma io non credo sia così. Ho provato a sostituirla, e non è cambiato nulla. Forse in questi casi le parole giuste sono quelle più dirette. Forse tutti i tentativi di rendere dolce ciò che è inevitabilmente amaro sono vani, e allora è inutile anche solo perderci del tempo. Aurora, tra noi non può continuare. All’inizio è stato bello, fantastico, meraviglioso, ma adesso sono stanco, veramente molto stanco, e sarebbe scorretto e vile da parte mia non dirti che la colpa di tutto questo sia tua. Tutta.

Terzo tentativo: un file di testo lampeggia sul monitor del computer.

Cara Aurora,
sono circa cinque notti che mi siedo davanti alla scrivania con la stessa intenzione, e sono cinque notti che non riesco a realizzarla. Si tratta di scriverti. Questa sera la penna ha sputato alcune parole. Tutte sbagliate. Dovresti vedere la mia stanza ricoperta da pallottole di carta per capire. Tu non saresti molto contenta. Mi diresti che gli alberi piangono quando si spreca la carta (e magari useresti quella che ho qui per costruire un castello). Così ho deciso di scrivere al computer: almeno non danneggerò la natura.
Cinque giorni fa tornai a casa che ero veramente incazzato. Scusami, lo so che non ti piace quando uso queste parole. Ti avevo portata fuori a cena. Ero anche stato attento a non scegliere un ristorante troppo elegante né troppo frequentato, perché so che li odi. C’era anche la luna piena, e dici sempre che la luna è contenta quando è piena, e che quando la luna è contenta sei contenta anche tu. Per tre ore sono stato completamente tuo, e contemporaneamente ero rapito dal pensiero di quello che sarebbe successo dopo. A mezzanotte, quasi mi tradii quando mi sono voltato per cercare un cameriere che stava puntualmente arrivando. Ci servì due biscotti. Non ti lamentasti nemmeno del fatto che avevi ordinato la torta alle mele: sapevo che non l’avresti fatto. Iniziai a mordere il mio biscotto che già tradivo un sorriso, ma mi sforzai di guardare il mio piatto ostentando un’indifferenza che mi è costata tanta concentrazione. Per forza: non sono mai stato così in ansia. “Uh!” La tua esclamazione di sorpresa interruppe il mio cuore. Non pensavo che potesse smettere di battere per così tanto tempo. Sollevai lo sguardo giusto in tempo per vederti estrarre il biglietto dal biscotto. Avevi nel volto la solita espressione bambina di sempre, curiosa e trasognata. Potevo seguire i tuoi occhi azzurri mentre scorrevano sulle parole del biglietto. Vuoi sposarmi? c’era scritto. Hai cominciato a ridere, e quando mi hai guardato i tuoi occhi brillavano felici. E così mi sono unito a te, a ridere con te, e forse anche i miei occhi hanno brillato felici come i tuoi. E poi, sempre col sorriso sulle labbra, mi hai detto… “No”. Non ho capito subito ciò che avevi detto. Probabilmente non avevo ancora la capacità di connettere una parola tanto malvagia alla reazione gioiosa di un momento prima. Eppure me lo hai ripetuto: “No”. “No? In che senso?” Lentamente il mondo si stava distruggendo: vedevo i camerieri sprofondare nelle crepe del terreno, e i tavoli cadere, e le luci crollare dal soffitto, e la terra e l’aria scuotersi. Ma doveva succedere nella mia testa, perché tu non battevi ciglio e continuavi a fissarmi, intanto che giocherellavi con la treccia bionda dei tuoi capelli. “Non voglio sposarti, Fil. Ci sono tante altre persone al mondo che voglio amare. Questa cosa che voi fate, il matrimonio… Funziona tra due persone, e esclude i cinque miliardi e novecentonovantanove milioni e novecentonovantanove mila novecento novantotto che restano. No, Fil, non possiamo permetterci di lasciarli tutti fuori”. Ad ogni tua parola che ascoltavo ero sempre più basito. Ti conosco bene, e non avrebbe dovuto sorprendermi una filosofia del genere. Ma proprio perché ti conosco bene so che non avresti mai cambiato idea. “Ma tu… mi ami!” provai a ribattere, conscio che ogni confutazione razionale sarebbe stata vana con le tue strambe idee sull’amore. “Certo che ti amo… Tu?” E già sorridevi, come se tutte le parole che avevi appena pronunciato fossero evaporate, e per questo non più degne di essere considerate. Invece no. Io ero rimasto ferito dalla tua sentenza. Non ti risposi. Lasciai dei soldi sul tavolo, poi mi alzai e me ne andai via.
Forse ti starai chiedendo come mai ti abbia ripetuto tutto questo. Ebbene, non sono così sicuro che tu abbia realizzato di avermi fatto molto male, e non escludo che tu abbia già dimenticato quel che mi hai detto. Invece devi sapere come mai ti sto per lasciare.
Così finisce quel che chiamavamo la nostra fiaba. Senza un E vissero felici e contenti. Ti ricordi il nostro C’era una volta? Come tutto è iniziato? In libreria, un inverno di sette anni fa. Stavo cercando una copia de La Sirenetta da regalare a mia nipote, ricordi? Quando finalmente la trovo, mi compari davanti, strappandomi il libro dalle mani. Sembravi disperata, ma l’unica cosa che notai fu la luce azzurrina dei tuoi occhi. “Non è come pensi: è una storia triste! Non comprarla, non comprarla, ti prego…”. Eri abbattuta, mentre cercavi con tutte le tue forze di convincermi a cambiare libro, a scegliere i fratelli Grimm, o Collodi, o Edipo. Solo adesso, in questo preciso istante, capisco che in quella libreria, in quel Dicembre freddo di sette anni fa, tu già mi amavi. E che in quel ristorante di cinque giorni fa, tu ancora mi amavi. E che nel frattempo tu hai avuto modo di raccontarmi tutte le tue fiabe preferite, centinaia e centinaia di volte.

Quarto tentativo: un bigliettino piegato in due, posato sul comodino. Pronto per essere infilato di nascosto nella borsa di una ragazza dagli occhi azzurri.

Cara Aurora,
a volte sono un po’ ottuso, e non arrivo a capire nemmeno ciò a cui un bambino arriverebbe con semplicità. Per questo ci sei tu con me.
Ti amo.
Tuo Fil


H.E.R.O.I.N. Non si parla di droga

…ma di creatività, che in effetti è come una droga. 

Motel Connection – H.E.R.O.I.N. 
They call you h.e.r.o.i.n.
I talk about you like it’s a drug
I call you h.e.r.o.i.n.
cause it will eases the pain till it’s numb

I got a taste, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the road

I got a date, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the world

I got a date, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the hope

I got a taste, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the road

You are my h.e.r.o.i.n.
Gonna breathe clean air tonight
You are my h.e.r.o.i.n.
wanna see blue skyes in the night
You are my h.e.r.o.i.n.
gotta play with the raw stuff it’s fun
You are my h.e.r.o.i.n.
Wanna feel your push in my run

I got a taste, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the road

I got a date, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the world

I got a date, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the hope

I got a taste, my love,
Feel the flow,
come on
till the end of the road

Petizione contro l’informatica insegnata da chi non è abilitato

La Riforma Gelmini per le Scuole Superiori assegna, nel primo biennio degli Istituti Tecnici e Professionali, l’Insegnamento di Informatica NON agli Informatici, Laureati ed Abilitati ma agli Stenografi, Dattilografi e agli insegnanti di Trattamento Testi, che sono solo Diplomati e privi di Abilitazione per Informatica .

L’assegnazione di Informatica a chi non ha il titolo per insegnarla tenta di risolvere il problema della soprannumerarietà creata dalla Riforma per questi insegnanti: moltissime ore di laboratorio sono state eliminate dalla Riforma e questo causerà la perdita di moltissimi posti di lavoro per Stenografi, Dattilografi e Trattamento Testi.

Ma invece di risolvere il problema, la Gelmini lo trasferisce alla classe di Informatica. E’ il buon vecchio problema della coperta corta: se copro la testa scopro i piedi. E oltre a essere inefficace questo provvedimento crea un orrore didattico: l’Informatica insegnata da chi non ha il titolo e la preparazione per insegnarla.

Se come me pensi che questo non sia il modo per risolvere i problemi creati e che TUTTE le materie devono essere insegnate da chi è preparato per farlo, senza trucchetti, pressapochismo e storture di comodo, firma per favore questa petizione:


PS: SCADE OGGI.