Quanto non fa zero al quadrato?

Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno.
Zero al quadrato non fa uno, idiota.

Fa zero. Proprio come i miei neuroni.

Domani mando il curriculum allo Stefan. Speriamo mi prendano.

On air: Yeah yeah yeahs, Heads will roll

That’s amore (trash version) – Dean Martin feat. me

When the moon hits your eye
like a big pizza pie
That’s CHE HAI FAME…

When the world seems to shine
like you’ve had too much wine
That’s ACTUALLY THE WINE…

Bells will ring
ting-a-ling-a-ling,
ting-a-ling-a-ling
And you’ll sing “CHE CORBELLO”

Hearts will play
tippy-tippy-tay,
tippy-tippy-tay
Like YOU MADE A SPINELLO…

When the stars make you drool
just like a pasta fazool
That’s CHE HAI ANCORA FAME…

When you dance down the street
with a cloud at your feet
You’re REALLY DOPED

When you walk down in a dream
but you know you’re not dreaming, signore
Scuzza me, but you see, I LOVE LSD
That’s amore!

E se la vuoi cantare, ecco la base musicale!

Foto reportage di Mr Sporco 2011

Esclusivo, solo per Zucchero Sintattico, abbiamo le foto del protagonista del mio post di cui vi metto il link. È stata un’impresa ardua, un’operazione di spionaggio riuscita neanche poi così bene. Ma ecco qui la foto che testimonia l’esistenza di Mr Sporco 2011. Non si vede, ma vi garantisco che c’è scritto Lucca Comics 2011 e la data 30/11.

Giornate moccaccino

È giunto il momento di dare un’utilità sociale a questo blog.

Bene, ora che avete finito di ridere, vorrei continuare.
Vorrei parlare delle macchinette del caffè, e spiegarvi le varie diciture che vi compaiono. Ebbene sì, quella che state per leggere è una mini guida sull’incredibile mondo della caffeina delle macchinette. Ora, forse sto esagerando un po’, ma vi garantisco che chiuderete questa pagina molto più istruiti.
Mi sono sempre domandato quale fosse la differenza tra
1) cappuccino
2) cappuccino dolce con cioccolato
3) moccaccino.
Bene, dopo mesi di esperimenti, posso dire che la differenza è… NESSUNA! 
La quantità è la stessa, il costo è lo stesso. E, soprattutto, il sapore è lo stesso. Cambia solo il tasto da premere.
Questo l’ho preso ieri.
Lo riconoscete?

Sia chiaro che sto parlando di queste tre bevande riferendomi esclusivamente a quelle erogate (si dice “erogate” per il caffè?) dalla macchinetta. Perché se volessimo andare a vedere la definizione precisa, Wikipedia è molto chiara: A differenza del semplice cappuccino al cioccolato, il moccaccino ha una maggiore panna di latte e l’aggiunta del cacao.

Ora, poiché questa è una guida seria, vi do anche dei consigli. Secondo me potreste dividere le tre bevande a seconda di un fattore psicologico. Io, per esempio, quando sono abbastanza sereno prendo il cappuccino normale. Invece quando sono un po’ in ansia prendo quello con l’aggiunta del cioccolato. Ma quando sono sul depresso andante, ecco che premo con fierezza il tasto corrispondente al moccaccino. E andrà tutto molto meglio!
Per me è il moccaccebo: il moccaccino placebo.
On air: Tricarico, Il caffè

Pocket Cocaine

Probabilmente quella che vi sto per proporre è un tipo di ironia molto facile, però in questo momento è più forte di me. Per favore, guardate questa pubblicità. Sempre che non l’abbiate già vista: perfino io che la televisione la utilizzo più per ricordarmi che siamo in una società lobotomizzata dalle immagini che per personale intrattenimento, questa pubblicità l’avrò vista un sacco di volte.

Ora, sarà che Irene Grandi mi ha sempre fatto pensare ad una drogata (chi sa come mai ho questa idea così astrusa, pofferbacco!), o sarà che la canzone della pubblicità è esattamente la versione in strofe di ciò che dice un eroinomane al proprio spacciatore, o sarà che il camper del video è il classico luogo dove si radunano i trentenni il sabato sera a farsi di crack, fatto sta che tutte le volte che guardo questo spot ho l’impressione che al posto del Pocket Coffee la cara Irene tiri fuori dalla borsetta un bel sacchettino di polvere bianca. La carica e l’energia, sempre con te, insomma.

On air: Oh Land, Voodoo

Scala della bellezza

On air: Sound of arrows, Magic
Stavo osservando la mia scrivania nella vana attesa che si rimettesse in ordine da sola. Come si arguisce facilmente dal tattico accostamento dell’aggettivo “vana” alla parola “attesa”, la scrivania non si è messa in ordine da sola, ma durante la mia osservazione ho potuto scorgere un tovagliolo rosso.
Un tovagliolo molto importante, perché era pieno di scritte, la maggior parte delle quali non si possono riportare, dato che diverse persone perderebbero la loro credibilità già di per sé irrisoria. Diciamo che la scritta più grossa e centrale del tovagliolo è TAVOLO DEGENERO. 
Ad ogni modo, una cosa abbastanza carina – e riportabile senza troppe conseguenze – è la Scala della Bellezza. Ovverosia la classificazione dei termini con cui definire la bellezza di una persona. Se aveste per caso qualche dubbio, preciso subito che si tratta di bellezza prettamente fisica. Sia mai che voglia esprimere un concetto profondo, io. 
1. Fabile. Letteralmente “che si può fare”. Scopabile, diciamo. Ma carinega ( = “carino/a, ma da ‘na sega”). Cioè, proprio se sei disperato. O ubriaco. O entrambe, che è una cosa molto comune. 
2. Carino/carina. Possiede il minimo indispensabile per essere ritenuto classificabile. Che ne so: un bel colore degli occhi. Delle belle mani. A volte mi sono ritrovato a dire “beh, ha un bel collo”. Ecco.
3. Carino carino/carina carina. Nel complesso ha un aspetto gradevole. Una bella acconciatura, un bel viso, un bel fisico. Serve per definire quelli individui che… beh, non è proprio possibile definire belli, ma solo carini non basta. Allora sono carini carini.
4. Mooolto carino/carina. Notare le tre o, che sono fondamentali. Deve essere pronunciato come una specie di muggito. Provate. Il muggito serve per sottolineare come ci sia una certa differenza con il carino carino nell’ambito dell’attrazione fisica.
5. Figo/figa. È il ragazzo che se entra in una stanza non sei il solo che si gira a guardarlo. È la ragazza che se ti siede accanto a mensa c’è il rischio che tu ti sbrodoli la minestra addosso.

6. Bono/bona. No, rinunciaci: non lo avrai mai.

7. Bello/bella. La perfezione. Sia il suo viso che il suo corpo sono così belli che staresti un’ora a guardarli e non ti stancheresti. È assimilabile a una divinità. È una di quelle cose che vedi al cinema, o sui giornali, e quando le vedi pensi che non esistono. Effettivamente, nessuno sa se esistono o no.

Sul tovagliolo sono anche presenti delle bozze delle Scale del Fascino (che è una cosa ben diversa dalla bellezza!) e della Bruttezza, ma devo perfezionarle prima di poterle pubblicare. So che adesso manifesterete il vostro dissenso nei confronti della terminologia sopra espressa, ma datevi pace: il Tavolo Degenero non sbaglia. Soprattutto dopo svariati bicchieri di prosecco.

Qualunque cosa pur di non fare esercizi di calcolo combinatorio

On air: Killers, All these things that I’ve done 




Qualunque cosa pur di non fare esercizi di calcolo combinatorio. Che poi quando sono lì che li faccio mi piacciono. Sapete quella sensazione di soddisfazione che avete quando vi riesce matematica? Ecco, è quella che ho anch’io quando faccio questi esercizi. Cioè, non sempre. Spesso. Oddio, diciamo a volte. Qualche volta. Beh, insomma, è capitato. Credo.
Qualunque cosa pur di non fare esercizi di calcolo combinatorio. Però per non sentirmi troppo in colpa ho aperto gli appunti e ho disposto tutti i fogli e i formulari sulla scrivania. Sono un tipo molto pratico, e mi sono detto che adesso scrivo qualche cazzatina sul blog, e poi giro la sedia verso destra e ho già tutto pronto per cominciare a studiare. Un genio. Se poi togliessi anche i biscotti e la spremuta, e spegnessi il cellulare, e il computer, e la musica, magari riuscirei davvero.
Qualunque cosa pur di non fare gli esercizi di calcolo combinatorio. Ma alcune cose sono davvero necessarie. Per dire: quale giorno migliore di questo, e quale orario migliore di questo, per farmi una cultura sull’indie rock? Probabilmente qualsiasi giorno eccetto oggi. Ma mi sentivo molto british oggi, quindi ho attaccato ad ascoltare i Killers. Che sono di Las Vegas. Che non è in Inghilterra.
Qualunque cosa pur di non fare gli esercizi di calcolo combinatorio. Perché oggi è domenica, e la domenica per me è un giorno che uff. Non riesco mai a studiare. Mi dico sempre che di domenica dovrei prendere e andare a fare una girata, perché tanto lo so che non concluderò niente. Invece mi ostino a credermi un tipo determinato, e quindi sto qualche ora a fissare gli appunti. Poi oggi è proprio un giorno particolare e oltre al Sunday Sfaving c’è pure quella malinconia, quella che voi persone felici non potete capire e se la capite non è quella che intendo io, la mia è diversa, ecco.
Qualunque cosa pur di non fare gli esercizi di calcolo combinatorio. Scrivere, per esempio. Perché anche se stai giù scrivere ti fa tornare il sorriso, specie se scrivi cavolatine. Solitamente devo essere nel mood giusto per poter enucleare le mie cavolatine, ma oggi ho provato a costringermi a farlo, e credo di aver fatto bene perché un pochino (pochino, eh) sto meglio. Sì, dai. Sono pronto per un mucchio di esercizi di calcolo combinatorio. Oh, no, cazzo.

Yes we can

( Il titolo di questo post è dedicato a Barack Obama, nella speranza che anche il mio piccolo contributo possa cambiare le sorti economiche degli Stati Uniti. Ma avete notato che i mercati si alzano e s’abbassano anche in base alle cazzate che dicono i politici? Se Obama fa il discorso alle sette e mezzo invece che alle otto New York perde meno punti, roba da matti! )
( Ricordo che gli Stati Uniti d’America hanno perso il grado di AAA. Sigla che io pensavo fosse usata solo per le pile mini stilo )
( Ora inizia il post, giuro eh )
Un mesetto fa si laureava il mio amico Lore, che poi è anche un mio collega e ovviamente il mio guru (non posso spiegarvi perché è il mio guru, perché non ricordo come mai avevo iniziato a chiamarlo così. Forse al tempo mi piaceva la parola). 
Oltre alle congratulazioni già espresse direttamente al bastardo in questione posso offenderlo quanto voglio tanto secondo i miei calcoli adesso è in vacanza in America e non mi leggerà, e se anche per caso venisse a scoprire di queste righe a lui dedicate penserà che le dico bonariamente, perché quel lurido stronzino sa che io sotto sotto gli voglio bene è stata un’occasione per riflettere sul mio futuro accademico.
Tutto è partito da una domanda estremamente fondamentale: come mi vestirò il giorno della mia laurea? Prima di poter pensare a una risposta, mi sono venute in mente diverse cose, che vado a riportare:
1) Perché preoccuparsi di come mi vestirò? In fondo, quando mi laureerò io, potrà benissimo esserci una cultura diversa, e magari la moda del tempo sarà andare a giro nudi.
2) Quando mi laureerò io, potrà essersi già spento il sole, e gli esseri umani superstiti per poter sopravvivere potranno essere costretti a vivere sottoterra, vicino al nucleo, e i vestiti non saranno molto importanti allora.
3) Quando mi laureerò io, non è impensabile che ogni forma di energia si sarà ormai estinta, quindi i computer non avranno più senso di esistere, quindi nemmeno l’Informatica avrà molto senso, e magari io sarò passato a studiare Scienze della Pace (molto più utile), o avrò lasciato l’università dedicandomi ad altro, come cucire palloni da calcio. Perché si sa che può succedere di tutto nel mondo, ma il calcio sarà sempre ottusamente seguito.
Ecco, ho passato tutto Luglio ad enucleare considerazioni di questo tipo. Tuttavia, poco fa mi sono trovato a fare la conta degli esami. Ebbene, è con sommo gaudio che annuncio che mi mancano sei esami alla laurea. 
Sei esami.
(minuto di silenzio, grazie)
Per carità, esami difficili, ma… sono sei!
Sei, six, seis, sechs, 六個!
Avete idea della forza psicologica di questo numero?! Voglio dire: sei esami! 
Meno dei sette nani!
Meno delle dieci ballerine del saloon!
Meno degli anni di Ruby! (credo)
Sono gasato a bestia. Sono avanti bao necci. Spacco tutto. Yo yo a bombazza fratello. Vedo la luce.
Spero solo che non siano gli abbaglianti di un tir contromano.

Maiuscole

Le persone mi chiedono come mai in chat, su facebook, ovunque, metto sempre le maiuscole all’inizio del discorso – infatti l’abitudine della gente è quella di non preoccuparsene.

Ebbene: metto sempre le maiuscole perché voglio che un giorno, quando non ci sarò più, dicano di me: “Era un bravo ragazzo… Metteva sempre le maiuscole”

Blow, di Ke-simbolodeldollaro-ha

Carissimi amici. Mi trovo ad avere un’oretta di tempo e quale modo migliore di impiegarla se non commentando l’ultimo video della popstar del momento? Beh, ci sarebbero infinite altre possibilità, ma naturalmente io scelgo la peggiore: Blow, di Ke$ha.
Vorrei evitare di parlare del livello musicale: sicuramente ci saranno gli espertoni dell’elettropop che avranno trovato decine di migliaia di somiglianze con questa o quest’altra canzone. Invece, vorrei concentrarmi sul video.

Bene. Il video inizia con la rassicurazione che nessun animale mitologico è stato ferito durante la sua realizzazione (del video, dico). Il che è una vera furbata, visto che gli animalisti attaccano chiunque – quando Obama scacciò una mosca durante un’intervista si scatenò il finimondo, ricordate?
Bene, parte il video vero e proprio.
Il primo frame riguarda un bicchiere che viene riempito di Champagne. STRANOOOOO! Per una cantante che ha incentrato metà del suo album su alcool e sballo, ciò è sorprendente. La cosa interessante è che comunque non si tratta del solito bicchiere tozzo e ripieno di vodka, ma di simil-Champagne. “Champagne”: una parola che Ke$ha non sa nemmeno pronunciare (al massimo riesce a starnazzare qualcosa come Cha – a – a – a – mpa – a – gne).
Una sequenza iniziale senza musica introduce il contesto. C’è la cantante che spiega a due unicorni in smocking come è stata eletta al parlamento dell’Uzbekistan. Da noi bisogna frequentare le ville del Premier, mentre in Uzbekistan bisogna evidentemente minacciare gli orsi. Lascio a ognuno di voi decidere quale sia la strada moralmente accettabile. 
Poi lei ride e fa “Deeeeenz!”, frame con il chiaro intento di mostrarci quanto Ke$ha è cool e ganza e figa e giusta. La cosa interessante è che finalmente parte la musica, in perfetto stile Ke$hano.
Un unicorno-cameriere porta alla cantante un triangolino di… a me sembra parmigiano. Comunque lei lo mangia, e nel farlo si preoccupa di far vedere quanto sia semplice lo smalto che ha messo sulle unghie (ma è argilla o cosa?!) e quanto non sia per niente volgare il suo anello, che vendono alla Mediaworld in quanto fa anche da lettore dvd.
Una cosa che non ho detto è che il triangolo di formaggio è stato regalato a Ke$ha da Dawson, proprio quello di Dawson’s Creek, che incredibilmente non sta piangendo – come invece ha fatto per reiterate puntate nella serie televisiva.
Qui ci sono alcune scene dove lei canta e ci mostra quanto in realtà abbia bisogno di una doccia – oltre che di una lavanda gastrica, vista la nonchalance con cui si mette a leccare unicorni – e finalmente la trama del filmato prosegue, mostrandoci Dawson che avanza serio (esatto, avete capito bene: ancora non ha pianto). 
Altri piccoli momenti di trash (lui che estrae un pettine dalla tasca di un unicorno, le particolari calzature di lei con le pistole, lei che si slingua un altro unicorno, …) introducono la scena in cui Dawson si toglie la giacca strappandosela direttamente da dosso. Se ti vedesse mia madre non avresti più giorni da vivere. Poi un momento di vera trasgressione: lei si infila la mano nei vestiti e si toglie il reggiseno. La trasgressione sta nel fatto che incredibilmente il reggiseno di Ke$ha non è ricoperto di glitter.
Poi anche Dawson si sfila il reggiseno e qui nessuno si scandalizza molto, ma la cantante storce la testa con la stessa espressione interrogativa che hanno i cani quando non capiscono quello che gli dici. Lui allarga la bocca in quello che dovrebbe essere un sorriso sexy. Mh, sì. 
I due si trovano finalmente faccia a faccia. Lei ringrazia del formaggio (lo chiama snack, impedendomi di capire di cosa si trattasse) e ci rivela finalmente il suo nome: James Van Der qualcosa (il vero cognome è Van Der Beek, ma lei lo storpia in un modo che il mio inglese non riesce a tradurre). Lui la chiama Ke – simbolo del dollaro – ha, rubando la battuta a Glee [ la puntata di Glee su Ke$ha ve la consiglio perché, oltre a essere un’apologia dell’alcool, si vede una tipa che vomita addosso a un’altra, regalando al pubblico uno dei momenti più orrifici della storia della fiction internazionale ].
Shall we dance?
Let’s.
E così comincia una lunga sequenza d’azione in cui non ci colpiscono tanto i proiettili color arcobaleno dei due litiganti, né la tragica morte di milioni di unicorni in smocking (una sottile frecciatina a Lady GaGa, ma non sto a spiegare come mai…). Invece, il pensiero che la Ke avrebbe bisogno di un po’ di cyclette risulta chiaro e inconfutabile.
La sequenza finale mostra la testa di Dawson appesa al muro sopra la targhetta “James Van Der Dead” e degli unicorni – quelli sopravvissuti – che ridono, insieme a una Ke$ha che nel ridere sembra che stia citando una gallina. Invece, molto probabilmente, è la sua risata.
Mi sono divertito a prenderlo in giro, ma tutto sommato è un buon video con l’enorme pregio di prendersi poco sul serio. Una caratteristica che ultimamente vedo sempre meno nelle popstar. L’unico problema è che, alla lunga, tutto quel glitter dà alla testa.