• And the Oscar goes to...

25 FEBBRAIO 2019
Cose che penso

Sono troppo ignorante per parlare degli ultimi Oscar dal punto di vista tecnico: li ho inseriti comunque nel Checcalendario, perché è un evento in cui succedono cose ganze, e anche perché il cinema rappresenta una parte del mondo che esiste e una del mondo che vorremmo. Anche dal punto di vista dei diritti. A questo proposito, ecco i miei due centesimi: ci sono alcuni film che hanno ricevuto molte critiche perché non sono perfetti. Forse in questa edizione più che mai, quelli candidati sono ben lontani dall’essere dei bei film contemporanei da cui imparare qualcosa. Ci sono cose che non ci piacciono, visioni ancora troppo antiquate, ed è giusto che chi non è contento di come viene rappresentato faccia sentire la propria voce. Ma io penso che sia anche giusto registrare i passi in avanti che sono stati fatti.

Ad esempio, Green Book. È una storia sul razzismo scritta dai bianchi, peraltro modificando i fatti realmente accaduti per addolcire la morale allo spettatore e farlo sentire meglio una volta uscito dal cinema. La narrativa trita e ritrita dell’eroe bianco che salva il nero. L’utilizzo dell’omosessualità solo come pretesto per girare una scena. Il personaggio afroamericano funzionale solo all’evoluzione del bianco, e chissà se è un caso che la nomination per Mahershala Ali sia per gli attori non protagonisti, mentre Viggo Mortensen era candidato tra gli attori principali. Tuttavia rimane un film emozionante sul razzismo, in un momento in cui parlare di razzismo è doveroso.

Oppure: La Favorita, il film sulla lotta di potere tra le dame consigliere della regina Anna. È una storia (scritta bene, interpretata bene, girata bene, costumata bene, musicata bene, ma) abbastanza inutile. Ha qualcosa a che fare con l’attualità? Ci cambia le nostre vite? Forse sì, ma forse poco. Tuttavia è un film in cui le protagoniste sono tre donne, tre donne portano avanti la trama, tre donne non hanno bisogno di essere salvate da uomini. E poi è divertente.

E ancora Bohemian Rhapsody, che non ho visto e recupererò di certo, ma già il discorso di accettazione dell’Oscar di Rami Malek non faceva ben sperare. Evviva i Queen, ma far passare Freddy Mercury come il paladino dei diritti civili quando in vita ha fatto poco o niente per la comunità LGBTQ è un’operazione azzardata, e forse irrispettosa per chi ci ha messo la faccia e ha usato la propria immagine per portare avanti delle battaglie. Per carità: nessun artista è tenuto a muovere anche un solo muscolo per le cause gay, basta che poi non venga piazzato su un piedistallo su cui probabilmente non sarebbe nemmeno voluto salire. Tuttavia è bello che si celebri un personaggio in tutte le sue sfumature. In fondo, he wanted to break free.

Roba affine
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