Ci sono alcune cose da dire per forza, su 120 battiti al minuto, quindi diciamole subito. Uno: parla di Act Up, un’associazione francese molto attiva negli anni Novanta per il suo impegno nella sensibilizzazione riguardo all’AIDS, specialmente nel mondo LGBT. E nel frattempo c’è il racconto di un amore e diverse amicizie. Due: di gay e AIDS si è già raccontato molto, anche in maniera meravigliosa. Qui c’è un altro punto di vista ancora. Tre: ha già vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes, ed è la scelta della Francia per l’Oscar al Miglior film straniero.
In Italia esce il 5 ottobre 2017, e mi sento di consigliarvelo. Siccome mi credono un blogger famoso (sono bravissimo a fingermi importante, deve essere per la grafica così professionale), io l’ho visto in anteprima. Così adesso posso raccontarvi quali sono le tre cose che più mi sono piaciute.
Uno. Il protagonista
Sto per sembrare molto superficiale, ve lo dico. Arnaud Valois è uno gnocco cosmico, e comunque è pure bravissimo. In generale il livello degli attori è molto alto, soprattutto nelle scene di gruppo dove riescono a rendere credibili e ben orchestrate le riunioni di attivisti. Per tornare al protagonista, ho pensato di riempire questo post con sue fotografie prese a caso da internet.
Due. La musica
Che poi è anche il titolo: 120 sono infatti i bpm associati alla musica house, che nel periodo storico raccontato dal film era il genere suonato principalmente nei locali gay. Che è il luogo dove i personaggi vanno per sfogare quella rabbia che nel resto del mondo non riescono a concentrare.
Tre. Una scena
Una manifestazione di die-in, in cui tutti si stendono a terra per simulare la morte. Una distesa di corpi in silenzio, le immagini della protesta, e nel frattempo una voce citava un discorso fatto in occasione della rivoluzione francese del 1848. È stato molto significativo. Quando scendiamo in piazza per i Pride, quando partecipiamo a una manifestazione, ho sempre la sensazione sotterranea che quello che sto facendo non porti davvero a qualcosa di concreto. Il fatto è che l’attivismo non dà risultati immediati: si vedono solo dopo tanti anni. Come adesso siamo in grado di leggere sui libri che le insurrezioni del 1848 hanno fatto la Storia, così vedremo solo tra qualche anno a cosa sono serviti politicamente e storicamente i nostri Pride. È importante che ogni attivista lo tenga bene a mente, anche nei momenti di sconforto. Per esempio, oggi l’AIDS non è sconfitto, ma lo si può tenere a bada molto di più rispetto agli Anni Novanta, è molto più conosciuto, e non è più considerato il fardello degli omosessuali. Questo grazie ad attivisti come quelli di Act Up.
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