• Oggi, e l’importanza di una serie come Queer Eye

9 MARZO 2018
Roba tipo recensioni

Da qualche giorno sono un po’ preoccupato per il futuro della compassione.

Aperta parentesi

Non vorrei fare polemica, ma il vento che qualcuno recentemente ha definito inarrestabile non è esattamente benaugurante. Per esempio, è il vento che nelle ultime elezioni politiche in Italia ha portato alla vittoria di fazioni che forse faranno anche delle cose positive per l’economia (non credo, ma non sono un esperto a riguardo e preferirei non esprimermi), ma sicuramente, a quanto hanno dichiarato, non hanno tra le loro priorità quelli che sono i miei valori. Ma temo sia lo stesso vento che ha spinto molti elettori della Regno Unito a preferire un allontanamento dall’Europa, quel vento che negli USA ha portato al potere un megalomane che ha fatto una campagna d’odio contro i diversi e gli esperti, quel vento che in generale sta spingendo il mondo a isolarsi sempre di più, a erigere barriere, a preferire il silenzio al dialogo.

Chiusa parentesi.

Le prospettive che si aprono oggi non sono un granché, per la tolleranza, per l’equità, per i diritti, per l’accettazione, per la solidarietà, per l’essere umani.

Ma è esattamente in uno scenario come questo che una serie come Queer Eye può scaldarti il cuore. Faccio subito una precisazione: non sarà una serie, o un film, o un libro, o un videogioco, a cambiare il mondo. Ma può servire per cambiare il tuo modo di vederlo.

La nuova edizione (quella originale è degli Anni Duemila) la potete trovare su Netflix. Queer Eye è il titolo originale: in italiano si intitola I fantastici cinque, che non la mia traduzione preferita, dal momento che perde tutti i riferimenti queer. Ed è molto importante che si capisca che questa è una serie ad alto contenuto gay.

Come funziona: ci sono cinque ragazzi che cercano di cambiare in positivo la vita di una persona. In ogni puntata c’è qualcuno da aiutare: i Fab Five (così vengono chiamati, per citare i Beatles, certo, ma sopratutto per usare un aggettivo, “fabulous”, che è molto più queer di “fantastic”) gli insegnano a prendersi cura del proprio corpo, a cucinare qualcosa, gli sistemano la casa e il guardaroba, e soprattutto cercano di dargli un obiettivo che ha molto più a che fare con la personalità che con l’aspetto esteriore.

  • C’è Bobby Berk, che è il guru del design. È un tipo abbastanza silenzioso, e il suo compito è quello di trasformare le case dei concorrenti, cambiando praticamente tutto. Consiglia sempre di posizionare in alto i mobili scuri, così che la stanza sembri più grande. O il contrario, non mi ricordo.
  • C’è Tan France, l’affabile esperto di moda, musulmano e col ciuffo argentato. Lui è quello che si sbatte più di tutti, perché porta personalmente il concorrente nei negozi di abbigliamento e gli inculca a forza lo stile. O almeno ci prova.
  • C’è Jonathan Van Ness, il mio preferito. Il suo settore è il grooming, che in italiano hanno tradotto con “cura della persona”. Sostanzialmente taglia i capelli e insegna a utilizzare le creme idratanti. Ma il suo vero scopo è essere la regina del gruppo, logorroico, frizzante ed effeminato all’ennesima potenza.
  • C’è Karamo Brown, che non si capisce bene cosa cavolo faccia. A parte essere uno gnocco cosmico afroamericano, il settore che gli è stato dato è quello della cultura: significa che ogni tanto porta i concorrenti a fare sport, a ballare o a rischiare la vita nei parchi avventura.
  • E infine c’è Antoni Porowski, esperto di food and wine. Lui ha il ruolo di gridare quando la cucina non è funzionale, ma anche quello di essere il figo maschile sempre in forma e tenero nei modi. Il web è molto diviso riguardo a lui: c’è chi pensa che sappia soltanto tagliare gli avocado, e chi è troppo affascinato dalla sua bellezza per notarlo.

The original show was fighting for tolerance. Our fight is for acceptance.

I cinque ragazzi sono tutti favolosamente gay, e rappresentano in maniera molto genuina tutte le sfumature che l’essere omosessuale può assumere. Una delle puntate più interessanti è stata quella in cui si sono presi cura di un gay non ancora dichiarato con difficoltà ad accettare i ragazzi troppo effeminati. Avete presente, quando su Grindr trovate la richiesta Masc for Masc? Ecco, chi lo scrive ha probabilmente un problema di omofobia interiorizzata. La cosa stupenda è che i Fab Five, per fargli superare la sua autorepressione, gli creano un armadio senza ante. Aperto. Da cui si può solo uscire. Non lo trovate geniale?

C’è poi un’altra puntata in cui il concorrente è un poliziotto, con cui dovrà confrontarsi soprattutto Karamo, che ha a cuore la situazione statunitense in cui la popolazione nera è spesso presa di mira dalle forze dell’ordine. Nel secondo episodio, invece, è un imprenditore musulmano che non riesce ad aprirsi alla sua famiglia e agli amici.

Insomma, Queer Eye può essere vista come uno di quei tanti programmi tv in cui un life coach insegna qualcosa a dei concorrenti sfigati, ma nel profondo è una bellissima serie sull’accettazione: l’accettazione di sé stessi e degli altri. Di cui al giorno d’oggi abbiamo un gran bisogno, a quanto pare.

Roba affine
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