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    Le Cronache del Risotto e del Taaac – Capitolo II

19 NOVEMBRE 2017
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Cose che mi succedono

Torino e Milano hanno almeno una cosa in comune: non c’è l’acqua.

Non perché si beve solo bicerin e Negroni sbagliato, bensì nel senso che non sono bagnate dal mare, come invece tantissimi altri luoghi dove, forse, secondo me, è un’opinione personale, non mi uccidete, sto generalizzando ve lo giuro, dicevo, come invece tantissimi altri luoghi dove le persone sono tendenzialmente meno stressate a causa forse della presenza dell’aria di mare che, si sa, apre i pori e rilassa i nervi.

Di aprire un sacco di pori avrebbe proprio bisogno la commessa della piscina di Milano dove sono andato per ricominciare a fare un po’ di sport – tanto per evitare di rendere la mia vita sociale costituita solo da personaggi di serie tv. Voglio pensare che la donna avesse avuto una giornata particolarmente stressante, perché altrimenti non capisco le risposte tanto sbrigative e le occhiate tanto allucinate che ho ricevuto, colpevole di aver chiesto, all’ingresso di una piscina, quali sono gli orari, quanto costa il mensile e se serve altro oltre a costume, cuffia e ciabatte.

A parte il trattamento ricevuto da questa persona stressata (che non è da associare necessariamente a Milano, suppongo), l’esperienza in piscina è stata fantastica. Io non sono molto portato per lo sport, non mi piace, fatico, sudo, soffro, perdo tempo che potrei usare per guardare un altro episodio di qualcosa, ma quando mi viene questa stramba idea di praticarlo, scelgo sempre il nuoto. L’ho fatto a Lucca, l’ho fatto a Torino, e dovevo per forza provare anche le piscine di Milano. Che sono diversissime.

La differenza principale rispetto a Torino è che, tenetevi forte: QUI SONO TUTTI BONI.

A Torino erano vecchi e flaccidi, e nuotavano per dimagrire. Qui sono giovani e vigorosi, e nuotano per tonificarsi ancora di più. A Torino quando entrava qualcuno sotto i 45 anni sogghignavo sognante pensando Gnammi! Carne fresca!, qui devo solo scegliere se guardare verso quello che attende il proprio turno per partire, o quello che si issa sul bordo per risalire, o quello che controlla il cellulare seduto sulla panchina…

La seconda differenza riguarda gli specchi.

Nella piscina di Torino non c’erano specchi negli spogliatoi. Perché a Torino la bellezza è interiore, capito?

così uno tornava a casa con i capelli in uno stato pietoso, gonfi che nemmeno negli anni Ottanta. Nella piscina di Milano c’è uno specchio sotto ogni phon e poi anche altri disseminati in giro, tanto per non farti dimenticare che il modo in cui appari è l’unica cosa che conta.

La terza differenza è la tendenza milanese alla scalata sociale, che si riflette anche nell’organizzazione dei settori della frequenza libera. A Torino se volevi nuotare avevi a disposizione due corsie dedicate. Potevi scegliere una oppure l’altra, indifferentemente. Perché tutti sono uguali nella capitale sabauda, una concezione per anni promossa dalla giunta Chiamparino e da Fassino dopo di lui. A Milano tanti anni di governo di destra hanno portato alla fortificazione di una certa cultura classista, la cui eredità si ritrova, per esempio, nelle quattro corsie della frequenza libera, suddivise per velocità. Ovvero: se sei nuovo, anziano o impedito, devi obbligatoriamente nuotare nella prima vasca; se vai leggermente più veloce, ti è permesso entrare nella seconda, e così via fino all’ultima, dove è vietato perfino usare la tavoletta per non rallentare gli altri.

Poiché nessuno mi aveva avvertito di questa differenza e i cartelli che la segnalavano erano piccoli e discreti (forse li ha scritti una persona che ha vissuto qualche mese a Torino), io non ci ho fatto caso e mi sono infilato nell’ultima corsia, quella dei motoscafi umani, che per una curiosa coincidenza era anche quella con i ragazzi col costume più carino. Naturalmente ero la peggiore pippa dello stabilimento, ma per essere la prima volta dopo mesi in cui non mi allenavo, ho tenuto abbastanza botta.

Credo che qualcuno abbia sbuffato per la mia presenza nella vasca di quelli veloci. Ma sapete com’è: qua sbuffano tutti molto spesso, e uno inizia a non prestarci più attenzione. Mentre mi asciugavo i capelli, specchiandomi in uno dei tanti specchi a mia disposizione, l’avevo già dimenticato.

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