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Successo paranormale

Paranormal Activity è un film girato con undicimila dollari e ne ha già incassati più di 100 milioni. Paranormal Activity è un horror che, secondo il tagline, “non ci farà più dormire”. Paranormal Activity è “il film che ha terrorizzato l’America”.
Ma, sopratutto, Paranormal Activity è una grandissima buffonata.
Non ho problemi ad ammettere che i film di paura… mi fanno paura. Infatti li guardo raramente, perché so benissimo che poi avrò problemi a girare per casa di notte. Non è colpa mia se gli assassini si nascondono tra le ombre e sono pronti ad aggredirti quando meno te lo aspetti, ecco.

Tuttavia, faccio una fatica enorme a comprendere come Paranormal Activity possa aver turbato così tante persone. Addirittura “l’America”! Ho letto che qualcuno ha avuto crisi di panico al cinema. E lo stesso Spielberg ha manifestato dolori d’ansia. 

Boh.

Penso che l’opera pubblicitaria mastodontica che il film ha avuto sia stata rilevante nel determinare il suo successo. Io stesso lo sono voluto andare a vedere perché avevo letto e sentito ovunque che era il film più spaventoso di sempre. Queste cose mi incuriosiscono. E infatti stavo seduto sulla poltroncina del cinema tutto in tensione, a lamentarmi della poco originale abitudine dei protagonisti degli horror di non accendere mai le luci (sarebbe la prima cosa da fare, Dio santo! C’hai un demone per casa e lo vai a cercare al buio?! Ma sei idiota!). E intanto che guardavo il film, mi aspettavo che prima o poi sarebbe arrivato il momento stra-super-iper-mega-pauroso. Che però non è arrivato.

E non credo che questa mancanza sia dovuta alla censura italiana fatta alla pellicola, la quale “altrimenti sarebbe risultata troppo terrificante”. Anzi, sinceramente non credo proprio che esista, una versione integrale del film.

Carina l’idea di base, del demone che perseguita una ragazza; carina anche l’idea (nonostante già vista) di usare delle riprese in stile amatoriale, per rendere più verosimile la storia con l’effetto documentario.

Assolutamente pessimo il finale. Troppo facile non dare spiegazioni. Per un’ora e mezzo mi vengono dati indizi di ogni tipo, e mi aspetto che alla fine il puzzle si ricomponga. Invece rimane scomposto, e s’insinua sempre più intensamente l’idea che questa sbrigatività nel non rispondere sia dovuta all’effettiva mancanza di risposte. E ciò è terribilmente sleale. 

Il successo che il film ha avuto: questo sì che è Paranormal, altro che l’Activity

Bye bye Tonio

Diciamo che è da Martedì della scorsa settimana che spendo gran parte del tempo che passo con i parenti in una sola maniera: dare la mia opinione sul “caso Morgan”. Ho raggiunto il record Domenica, con un’ora e mezzo ininterrotta su discorsi di droga, Italia, ipocrisie e moralismi. Si sa: è il giorno del Signore, e tutti siamo propensi a fare le nostre omelie. Ma – cielo santissimo – un’ora e mezzo è veramente troppo tempo. E infatti adesso non ne voglio più sapere. Devo tenermi in forze per la prossima discussione.

Il preambolo che avete appena letto serve per dire che tutta questa vicenda non ha fatto altro che aumentare il mio odio nei confronti di: 1) televisione in generale, 2) RAI.

Ma ho appena letto un altro articolo che mi ha veramente sconvolto.

Ebbene, la Melevisione chiude.

Sì, il noto programma per bambini di Rai3, fonte inesauribile di spunti e battute varie, sparirà dal palinsesto insieme a Trebisonda, GT Ragazzi, Videogiornale del Fantabosco (che a quanto c’è scritto su internet sono altri programmi per ragazzi). 

Inizialmente ne ero dispiaciuto. Avevo guardato le prime stagioni della melevisione e ci sono in qualche modo affezionato. Diversi anni fa avevo persino creato un mio giornale (fatto con un foglio protocollo e gli articoli ritagliati dai giornali veri… ‘na cazzata, insomma) che avevo chiamato, molto originalmente, “il Fantabosco”.

Andando avanti a leggere, ho scoperto che la ragione della chiusura della ghenga di Tonio Cartonio è la necessità, in tempo di crisi, di ottimizzare i costi e risparmiare un po’.

Bene. 

Invece di partire a risparmiare sui programmi che, oltre a essere destinati ai più piccoli e deboli, rappresentano quella esigua striscia di televisione sana, vi suggerisco io altre cose su cui è possibile ottimizzare:
  1. Festival di Sanremo. Io sarei proprio per abbatterlo, vista la sua recente conversione da “competizione canora” a “reality show”. Comunque, se proprio lo si vuole tenere, sono sicuro che qualche sforbiciata ci si può dare.
  2. Paris Hilton. Il suo invito a Miss Italia non mi pareva un’urgenza così impellente, e soprattutto ho l’impressione che i 500 mila euro che le sono stati dati non corrispondano proporzionalmente alla consistenza del suo personaggio. Voglio dire: ma chi è?
  3. Porta a Porta. Ah, no, già. Quella non si tocca. Chiamiamola volontà divina.
  4. Isola dei Famosi. Con la metà del guardaroba della Ventura si riuscirebbe a finanziare una missione su Marte.
  5. Partite dell’Italia. Beh, se perlomeno vincesse! 
  6. Domenica In. Più che in budget, io taglierei tutta la superficialità e tutto il qualunquismo con cui affrontano i temi importanti. Sarebbe un’ottimizzazione eccellente.

Mi fermo qua, ma sono sicurissimo che esiste una quantità enorme di altri esempi.
Tonio Cartonio for President!

Così. Pregiudizi. Uno stream of.

Il termine psicosi fu introdotto nel 1845 da Ernst von Feuchtersleben con il significato di “malattia mentale o follia”. È un grave disturbo psichiatrico, espressione di una grave alterazione dell’equilibrio psichico dell’individuo, con compromissione dell’esame di realtà e dunque con la negazione[1] come meccanismo di difesa, inquadrabile da diversi punti di vista a seconda della lettura psichiatrica di partenza e quindi del modello di riferimento.

Questo messaggio lo dedichiamo ai folli. A tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Potete citarli. Essere in disaccordo con loro.
Potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potete fare è ignorarli.
Perché riescono a cambiare le cose.
E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio.
Perché solo coloro che sono abbastastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.
[Mohandas Karmchand Gandhi]

Xenofobia (dal greco ξενοφοβία, xenophobia, ossia “paura del diverso”; composto da ξένος, xenos, “estraneo, insolito” e φόβος, phobos, “paura“), ossia la paura di ciò che è distinto per natura, razza o specie. A volte questo atteggiamento non si ferma alla semplice paura ma sfocia in una vera e propria intolleranza e discriminazione nei confronti dell’oggetto della propria paura.
Il termine è tipicamente usato per descrivere la paura o l’avversione per ciò che è estraneo; il razzismo viene oggi erroneamente considerato da molti come una forma di xenofobia, come anche i pregiudizi e l’omofobia. La xenofobia, a sua volta, viene oggi erroneamente considerata razzismo. Il timore per il diverso, diverso di religione, razza o nazionalità, non significa necessariamente razzismo. Avere timore o paura non significa considerare inferiore. La derivazione greca della parola ne è la corretta interpretazione, oggi dilatata dai media soprattutto nei casi di faziosità politica.
E se 
tuo figlio 
venisse 
dalla Luna?

Non c’è niente di cui aver paura

Una casa alla fine del mondo è un film girato vent’anni fa che mi ha insegnato che posso tranquillamente cominciare a scrivere un post senza sapere come lo terminerò. E questo che state leggendo è il frutto di tale lezione.

Una casa alla fine del mondo mi sarebbe sembrato fantascienza – e nessuno dei protagonisti è un alieno, pensate – se solo un mio amico, tornando dalla Danimarca l’estate scorsa, non mi avesse detto che lì stanno approvando una legge per le unioni di più di due coniugi. Sì, perché questo film rielabora il concetto di famiglia per mostrarne un tipo alternativo. Quando dico “alternativo” non intendo giusto o sbagliato. Intendo semplicemente diverso.


Una casa alla fine del mondo parla di tre persone che si amano e creano la loro famiglia. Hanno una figlia a cui badano tutti e tre; si costruiscono una casa, insieme; lavorano, mangiano, dormono, scherzano, vivono. In un primo momento mi colpiva la semplicità con cui sono presentate le loro vite, ma col passare dei minuti riuscivo a trovarla sempre più naturale. 


Una casa alla fine del mondo sostiene che “Tutto si può ballare” e che “Non c’è niente di cui aver paura”: due punti di vista che non posso non condividere. E spiega che gli ostacoli che si incontrano nuotando controcorrente sono infiniti, e che non tutti riescono a farcela. Qualcuno scappa, dimenticandosi che non c’è nessuno che abbia realmente il diritto di inseguirlo. 


Avrei dovuto odiare Una casa alla fine del mondo. Per motivi che non sto qui a spiegare, avevo iniziato a guardarlo col preciso intento di distruggere ogni suo fotogramma. Ahimé, sono una persona obiettiva, spesso. Stavolta no, ma non riesco comunque a evitare di provare emozioni, e questo film me ne ha date tante. Ed è una di quelle cose che ti illudono che tutto sia possibile, perfino abbattere le convenzioni. Molto più facile credere agli asini volanti, direi.


Consigliato a chi vuole stare bene per un’ora e trentadue minuti e a chi vuole stare tremendamente male dopo averlo visto.





Delusione Avatar

Sono passati quattro giorni da quando l’ho visto al cinema. Il tempo che è servito all’estasi per evaporare e lasciare che gli effetti speciali la smettessero di stordirmi. Oh, no: nulla a che vedere col mal di testa da 3D. Quello mi ha dato noia nei primi cinque minuti, poi è passato. Intendo, invece, che le novità tecnologiche impiegate in Avatar mi hanno confuso, impedendomi di andare oltre.
Ora, lungi da me giudicare chi invece con Avatar ha provato delle emozioni. Ognuno ha bisogno di cose diverse, dall’apoteosi della frivolezza all’eccesso di intellettualoidità. Io stesso ammetto che mi sia piaciuto, nonostante credo che tutto il fascino del film stia nella squisita e solo superficiale presenza degli effetti speciali.

Nessun desiderio o bisogno di distinguermi dalla massa. O meglio: okay, ho gusti diversi, ma non sono voluti. Evidentemente la fantascienza non è il mio genere. Tra l’altro, non so se “ho” un genere cinematografico preferito. Comunque, ripeto che tutto sommato Avatar è un bel film. Vorrei però fare qualche considerazione in merito.

Il 3D è “una ganzata paurosa”. Consentitemi il termine (un misto tra il toscano e il linguaggio adolescenziale). Sì, evviva il 3D, una novità, la novità! – e per 11 euro non avrei mai ammesso il contrario, cacchio. E l’eccitazione non si ferma mica qui: siamo nel duemilacentocinquantaquattro, (che figoooo!) e gli uomini si spostano grazie a dei robot giganti (noooo!) e ci sono – pensate! – le astronavi.

Fin qui è tutto molto divertente. Come divertente è anche la trama, e coinvolgente: nonostante io abbia una repulsione tremenda per i film che durano più di due ore, le tre di Avatar non mi sono pesate affatto (comunque non lo rivedrò per altri dieci anni, centoottanta minuti bastano e avanzano). Le sparatorie e gli inseguimenti ti prendono e ti lasciano incollato allo schermo per tutto il tempo.

Dove sta la delusione? Beh. La trama, per quanto divertente, non osa. Okay, gli uomini cattivi e gli alieni buoni; okay, la storia d’amore interraziale (dopo Twilight, ci mancavano le relazioni uomo-alieno). Ma… c’è un pianeta nuovo su cui ambientare una storia e l’unico mezzo colpo di genio che ho visto è stata la connessione tra le code (non mi viene un altro modo per chiamarlo).
E poi? Fine. Non mi basta alzare di un metro un uomo e colorarlo di blu per avere una specie diversa. Prendi una tribù di indigeni ed otterresti la stessa cosa. E prendere un cavallo e aggiungerci una zampa non ti dà un nuovo animale. Ti dà un cavallo con cinque zampe. Un gatto nero gigante che ti insegue e ti vuole mangiare esiste già: si chiama pantera. E così pure un rinoceronte con la cresta: lo studi alle elementari quando fai la preistoria, è il tri-ce-ra-to-po!

Uff. Mi rileggo, e mi sto antipatico da solo. Ma lo ribadisco, non è per essere ostinatamente contrario. Mi aspettavo di più da un film così tanto osannato. A caldo, mi ha dato delle belle sensazioni, quindi sono contento di averlo visto. Ripensandoci razionalmente, mi sento un po’ deluso. Mi pare di aver visto la trasposizione fantascientifica di Pocahontas, fatta con dei puffi troppo cresciuti e il ritorno dei transformers.



Dancer eye

Forse io non saprò ballare, ma il mio occhio sinistro sì. Urge una parentesi: in realtà non si sa se io sappia ballare, ma la cosa certa è che noi ragazzi furbi (leggasi: rufiani e bisognosi di un corso d’autostima) diciamo di non saperlo fare, in modo tale che, nel caso dovesse capitare l’occasione, abbiamo messo le mani avanti e la probabile/eventuale figuraccia è attutita dal nostro atto di paraculismo estremo. Ad ogni modo, il mondo attualmente non ha grosse banche dati a disposizione sulle mie qualità motorie.
Dicevo che il mio occhio sinistro, invece, sa ballare benissimo. E’ da lunedì che lo fa. Ogni tanto comincia e si mette a tremare. Inizialmente poteva anche essere una cosa simpatica: posavo l’indice sulla palpebra inferiore (se c’è un qualche termine tecnico migliore di “palpebra inferiore” ditemelo perché a me non viene in mente. Comunque ci siamo capiti) e sentivo un formicolio quasi piacevole.
Però non smette! Dopo una settimana, mi secca fare “Uh, mi balla l’occhio!” ogni volta che succede. E’ seccante. Pensavo fosse il nervosismo legato all’esame di Calcolo Numerico. Anzi, sicuramente è così, poiché non ricordo di aver sofferto di più per un esame. Che poi è buffo da dire, perché ogni volta che devo dare un orale sono sempre più stressato. Il nervosismo cresce in maniera esponenziale, direbbe un analista. Anzi, un analista direbbe che il limite per i tendente a infinito della funzione Nervosismo(i) è infinito. Ma a noi non interessa questo, dicevamo dell’occhio.
Dopo aver dato l’esame – passato!, pereppeppeppeppè!, breve parentesi di autocelebrativismo – l’occhio ha continuato a muoversi. Ora, mi hanno tranquillizzato dicendomi che è una cosa normale e che passerà nei prossimi giorni (a meno che io non inizi a usare Tesmed, ma non ne ho l’intenzione, grazie). Ma se dovesse continuare, devo assolutamente pensare a un altro modo per dare un utilizzo a questo tic altrimenti improduttivo.
Avevo in mente le seguenti cose: 1) collegare un micromeccanismo alla palpebra in grado di approfittare del movimento per produrre energia elettrica e riuscire a illuminare i paesini sprovvisti di elettricità, come quelli in Botzwana, o come Arcore; 2) calcolare la funzione che esprime il periodo di traballamento dell’occhio: se esiste, sfruttare tale periodo per creare un nuovo sistema temporale in cui non si usano più i secondi, minuti, ore, ma nuove straordinare unità di misura, come il mio periodo di traballamento del mio occhio sinistro, o l’attimo che intercorre tra due miei starnuti, o la potenza dei miei colpi di tosse.
Beh, vado a prepararmi che tra un pochino devo andare. E quando dico “un pochino” intendo 134 traballamenti d’occhio, 12 starnuti e 4,56 colpi di tosse.

Rivelazione Avatar



Ammetto che ero partito molto prevenuto. Tutta questa pubblicità, il grande successo, il costo esorbitante… Pensavo che sarebbe stato il classico tripudio americano di effetti speciali. Invece no. Come direbbe la Maionchi: béne, molto béne, mi sei piaciuto.

Dolcenera // One month ago

Amìala ch’â l’arìa amìa cum’â l’é
amiala cum’â l’aria ch’â l’è lê ch’â l’è lê
amiala cum’â l’aria amìa amia cum’â l’è
amiala ch’â l’arìa amia ch’â l’è lê ch’â l’è lê

[ Guardala che arriva guarda com’è com’è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com’è
guardala che arriva che è lei che è lei ]

nera che porta via che porta via la via
nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera nera
nera che picchia forte che butta giù le porte

nu l’è l’aegua ch’à fá baggiá
imbaggiâ imbaggiâ

[ Non è l’acqua che fa sbadigliare
(ma) chiudere porte e finestre chiudere porte e finestre ]

nera di malasorte che ammazza e passa oltre
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c’è luna luna
nera di falde amare che passano le bare

âtru da stramûâ
â nu n’á â nu n’á

[ Altro da traslocare
non ne ha non ne ha ]

ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere
ché è venuta per me
è arrivata da un’ora
e l’amore ha l’amore come solo argomento

e il tumulto del cielo ha sbagliato momento
acqua che non si aspetta altro che benedetta
acqua che porta male sale dalle scale sale senza sale sale
acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte

nu l’è l’aaegua de ‘na rammâ
‘n calabà ‘n calabà

[ Non è l’acqua di un colpo di pioggia
(ma) un gran casino un gran casino ]

ma la moglie di Anselmo sta sognando del mare
quando ingorga gli anfratti si ritira e risale
e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell’onda
e la lotta si fa scivolosa e profonda

amiala cum’â l’aria amìa cum’â l’è cum’â l’è
amiala cum’â l’aria amia ch’â l’è lê ch’â l’è lê

[ Guardala come arriva guarda com’è com’è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei ]

acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti
acqua per fotografie per cercare i complici da maledire
acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti

âtru da camallâ
â nu n’à â nu n’à

[ Altro da mettersi in spalla
non ne ha non ne ha ]

oltre il muro dei vetri si risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall’ansia di perdersi

ha avuto in un giorno la certezza di aversi
acqua che ha fatto sera che adesso si ritira
bassa sfila tra la gente come un innocente che non c’entra niente
fredda come un dolore Dolcenera senza cuore

atru de rebellâ
â nu n’à â nu n’à

[ Altro da trascinare
non ne ha non ne ha ]

e la moglie di Anselmo sente l’acqua che scende
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle
nel suo tram scollegato da ogni distanza
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza

così fu quell’amore dal mancato finale
così splendido e vero da potervi ingannare

Amìala ch’â l’arìa amìa cum’â l’é
amiala cum’â l’aria ch’â l’è lê ch’â l’è lê
amiala cum’â l’aria amìa amia cum’â l’è
amiala ch’â l’arìa amia ch’â l’è lê ch’â l’è lê

[ Guardala che arriva guarda com’è com’è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com’è
guardala che arriva che è lei che è lei ]