Com-pi-ti-ni

Dico subito che non so se la divisione sillabica del titolo è corretta. Penso di sì, ma non ho voglia di cercare sul vocabolario. Vi aspettate troppo da me linguisticamente parlando! Direi di cambiare argomento, anche perché se comincio tutte le volte con queste disquisizioni lessico-grammaticali divento più noioso di un professore di latino.
Il titolo (già ampiamente dibattuto, mi pare) significa che questa è la settimana dei compitini. Domani Logica (a cui farò semplice presenza, visto che ho già bocciato il primo: ok, non sono un tipo logico, contenti?!) e Matematica Discreta. Giovedì Programmazione (che DEVO fare bene assolutamente) e venerdì Analisi. Mi darebbe mooooolta soddisfazione fare bene Analisi, ma lo vedo un po’ un problema viste le lacune che ho nell’arte di inventare passaggi magici in una ricerca di limite.
Ora, le conclusioni che possiamo trarre è che venerdì pomeriggio sarò allo stato liquido, dopo così tanto studio. Ma c’è un’altra domanda a cui – sinceramente – non sappiamo dare risposta:



…se ho questi compitini, COME MAI sto qui a scrivere scemenze invece di studiare?
Nell’attesa di una spiegazione, faccio due o tre(mila) esercizi.

Tanti Auguri Eli

Biribip biribip biribip. E’ la suoneria del telefono di casa mia. Il mio è l’unico telefono al mondo che fa biribip.
Rispondo, via giù.
Pronto?
Silenzio imbarazzante. Dall’altra parte qualcuno si sta mettendo d’accordo. All’improvviso partono:
Tanti auguriiiii a te, tanti auguri a te, tanti auguriiiii a Eliiiisa, tanti auguri a te!
Io me ne rimango in silenzio durante tutta la canzoncina e mi ascolto lo spetacolo per intero.
Alla fine: “Vi ringrazio, ma io compio gli anni a Febbraio. La festeggiata di oggi, invece, è fuori.
Ridacchiano, si scusano, l’imbarazzo esce dalla cornetta. Ridacchio anch’io – per compassione, più che altro – e mi complimento per la voce.
E’ stata una parentesi molto divertente della giornata.

Ne approfitto per fare tantissimi auguri di buon compleanno a mia sorella, e per ricordarle che le voglio un mondo di bene (anche se ha già buttato in un angolo la papera di peluche che le ho regalato!).

Occhi foderati di spinaci

Vedo VERDE. Vedo tutto VERDE.
No, non ho Hulk davanti a me, fortunatamente. Non sono nemmeno dentro a un cespuglio (fortunatamente anche in questo caso: chissà quanto c’è freddo dentro a un cespuglio, adesso).
Vedo VERDE semplicemente perché oggi a mensa c’era un sacco di roba VERDE. E il caso ha voluto che io prendessi tutta roba VERDE (se si fa eccezione per lo yogurt, che grazie al cielo era all’albicocca: un giallino tenue che mi dava speranza). Tutta roba VERDE: avevo il vassoio che sembrava un tributo alla Padania. Bossi (Umby caro) sarebbe stato contento.
E vedo VERDE perché quella roba l’ho pure mangiata!
Dunque, di primo c’era la solita pasta alla puttanesca, che è un evergreen (traduzione: sempreVERDE). Ogni tre giorni alla mensa c’è ‘sta cacchio di pasta alla puttanesca. Il primo giorno che l’ho presa: “Uuuuuuh quant’è bbbona!“. Il secondo giorno “Ohhh, ancora la pasta alla puttanesca? Meno male, perché mi piace molto!“. Al terzo giorno l’entusiasmo ha una nota di incertezza: “Bene, la pasta alla puttanesca.” Il quarto giorno mi si instaura il dubbio che forse la pasta alla puttanesca la fanno un po’ troppo spesso. Infatti penso: “Ma la pasta alla puttanesca non la fanno un po’ troppo spesso?“. Il quinto giorno mi do un ultimatum. “Via, prenderò la pasta alla puttanesca anche stavolta, ma la prossima no, eh?“.
E oggi era, appunto, “la prossima volta“. Così che ho fatto? Ho guardato gli altri primi. Mi ha colpito un intruglio VERDE. Guardando il cartellino ho scoperto che si trattava, infatti, di “Minestra VERDE”. Toh, prendiamo ‘sto brodo, magari è buono… Poi arrivo ai secondi. Come contorno ci sono i ceci o gli spinaci (VERDI, VERDIssimi). Rifiuto categoricamente i ceci, sia perché non mi piacciono sia per il termine che ha un suono troppo melenso. Quindi prendo gli spinaci, e almeno stavolta non specifico il loro colore.
Arrivo al tavolo, inforco il cucchiaio, lo affondo nella ciotola e lo avvicino al naso: inodore (come la cocaina). Sicché lo porto alla bocca e mangio. Ingoio. Un lampo di luce verde mi acceca. Tipo il flash dell’Avada Kedavra, non so se avete presente Harry Potter. Per il momento, tutto ritorna a colori. Giuli è già lì che racconta la sua esperienza, da donna provata quale è: “Eh, io l’ho presa una volta, poi non l’ho più ripresa. E’ fatta con gli spinaci ripassati!”. Laura la ascolta annuendo: approva. Io intanto provo a mangiare, ma ogni boccone è pesante come l’odore della vernice. Vernice VERDE, ovviamente. Quando poi sono passato agli spinaci, passivamente accoglievo il cibo nella bocca. A quel punto non si trattava più di cibo, né di arte mangereccia, ma di un meccanico nutrimento per lo stomaco.
Sono vivo, sono sempre vivo. Non mi ha ucciso Facebook, non lo faranno neanche gli spinaci. In barba a Braccio di Ferro.

P.S. Spero abbiate notato il colore con cui ho deciso di postare questo intervento. Sì, sì, chiamiamola una coincidenza

Vade retro Facebook

Ehssì, avete letto bene: ho deciso di smettere.
Curioso come questa frase ricordi tanto quella di un tossicodipendente che decide di dare una svolta radicale alla sua vita. Sì, curioso, anche perché io mi riferisco a tutt’altro genere di droga.
La droga delle droghe, la fonte di ogni distrazione, il luogo dove la curiosità (e ficcanasaggine) umana raggiunge il suo apice.
FACEBOOK.
Hanno aperto una comunità di recupero vicino a casa mia, dicono che in una settimana riescono a farmi tornare normale. “Certo – hanno detto, notando subito la speranza nascermi negli occhi – il primo periodo sarà più difficile. Ti sembrerà che qualcuno ti abbia amputato un arto. Ma con un po’ di impegno ce la farai“. Queste parole mi hanno dato forza, una grande forza.
Ce la farò, ce la posso fare. Yes we can!
Certo, mi prendono gli attacchi di tristezza se penso che non giocherò mai più a Geo Challenge (dannata Islanda, è irriconoscibile!). Se penso che non mi iscriverò più a nessun gruppo… Oh, e come farò a rimanere ignorante sulle situazioni sentimentali dei miei amici? E poi… e poi i test, non saprò mai che tipo di automobilista sono, o qual è la mia droga preferita, o chi sarei stato nella mia vita successiva! E le pagine fan: non potrò mai più diventare fan di Topo Gigio, di Anacleto, della colla vinavil, di dormire. Oh, me tapino! Sono condannato a un’esistenza senza più friend request, senza lo strumento “persone che potresti conoscere”, senza applicazioni! Che vita insulsa, che insulsa vita.
Ma poi mi dico: ce la posso fare. Lo farò per chi è più sfortunato. Lo farò per chi inserisce il nome utente e la password e poi non trova richieste di amicizia nella barra degli aggiornamenti. Lo farò per chi ha un cognome comune e gli amici non riescono ad aggiungerlo. Lo farò per chi ha 239 amici su facebook ma nessuno di loro lo saluta se lo incontra per strada.
Sì: queste persone mi danno la forza di farlo. Ce la farò. Sarò più forte di chi continua. Io posso farcela. Io posso farcela. Se lo dico altre cento volte forse mi convinco.

Milano

Ve lo confesso: avevo iniziato a scrivere questo intervento in tutt’altra maniera. Avevo aperto con una noiosissima disquisizione grammaticale sulle frasi nominali (faccio un riassunto: sono le frasi senza predicati) ma ho deciso che non sarebbe stato molto divertente.
Comunque: ieri Milano. Era questa la frase nominale con cui avevo inaugurato il post. Ieri Milano. Per i più ottusi – spero che non ce ne siano di così ottusi! – significa che ieri sono stato a Milano, a trovare Arianna e Franco.
Butto giù le mie impressioni, eh, senza un ordine preciso.

Uno. Dà una certa soddisfazione lasciare Lucca per un po’. Sembra di andare verso il mondo urbanizzato, peregrinare verso l’Occidente, la New York italiana. Io ci vivo, e so che si tratta di una città (anche troppo) normale, eppure Lucca mi ha sempre dato l’idea che un confronto tra lei e Milano non avrebbe senso. I milanesi neanche sanno che esiste, secondo me.
Quando (o se) un milanese pensa a Lucca, gli nasce dentro un particolarissimo senso di pietà. E’ la stessa sensazione che suscita la visione di un cane bastonato, o l’ascolto di una favola di papà Castoro: compassione, pura e semplice compassione.

Due. La moda, la moda, la moda. La moda nella capitale della Moda. Finalmente, dopo anni di curiosità, riesco a concludere che la moda nella capitale della moda è… esattamente come in tutti gli altri posti. Ta-daaan: delusione. Mi aspettavo di vedere tutti gli uomini in giacca e tutte le donne col taill.. tallie.. taull… tall.. beh, col vestito lungo. Mi aspettavo di posare la mia sporca e out scarpetta da ginnastica e vederla trasformarsi in un mocassino (e per fortuna è rimasta una scarpa da ginnastica). Mi aspettavo di vedere almeno uno di quei vestiti complicatissimi e stranissimi che si vedono alle sfilate, e sinceramente mi aspettavo anche di vedere sfilare le persone. Cavolo: nella capitale della moda, devono essere tutti modelli! Altrimenti che capitale della moda è?!

Tre. Chi mi conosce sa che io adoro le librerie più di quanto i musulmani adorino Allah. Più di quanto i buddhisti adorino Buddha. Più di quanto mia cugina adori le Winx e più di quanto mia sorella adori trascinarsi sul pavimento come se non fosse capace di sollevare i piedi (una cosa davvero irritante, giuro). Le librerie sono come il canto di un usignolo, come gli albicocchi in primavera, come il profumo del primo mattino, come… okay, basta così. E a Milano sono entrato nella libreria più grande che abbia mai visto. Sarà stata tre o quattro volte la Edison, forse cinque volte! E’ stato come mangiare un barattolo di Nutella tutto insieme. E’ stato come entrare nella caverna piena di tesori di Aladdin (solo che poi i tesori non si distruggevano al solo tocco). E’ stato… è stato… meeeeeraviglioso! E ho anche comprato un librino piccolo piccolo, le Fiabe di Beda il Bardo. E mi stava venendo un attacco depressivo quando mi hanno costretto ad uscire.

Alla prossima!

Canzoni per il mio funerale

Faccio subito una premessa: la giornata di oggi è stata piatta come il petto di Grace Adler (che paragone orribile!). E’ importante partire dall’insignificanza di questo primo di Dicembre, perché adesso non sto per resocontare quello che mi è successo. Anzi, vorrei mettere nero su bianco un pensiero che già ho espresso tempo fa.
Le mie volontà. Ehm, sì, detta così è macabra, ma prima o poi devo farlo. La società moderna e la partecipazione al Cristianesimo ci impongono di pianificare con un po’ di anticipo – in questo caso si spera che sia un anticipo mooooolto consistente – il proprio funerale.
Bene, tempo fa avevo pensato che sarebbe carino, durante la cerimonia, far suonare/cantare/ascoltare qualche canzone. Ne ho scelte tre, perché tre è il numero perfetto, e poi perché tre sono le canzoni che non finiranno mai di stancarmi. Non so se mi capite: avete presente quando avete una coppa di panna montata, tanta panna montata? Voi iniziate a mangiarla. Lì per lì è buona, buonissima, non smettereste mai. Però, contrariamente a quanto pensavate, quelle canzoni (ma non stavamo parlando di panna?) cominciano a stuccarvi, a saturarvi, a costringervi alla resa. E così capita a me.
Per questo ho scelto le mie tre canzoni. E le riporto di seguito per indicare la mia volontà (sia mai che non faccia in tempo a scriverlo nel testamento).

Ti Sento – Luciano Ligabue

Ti sento nell’aria che è cambiata
che anticipa l’estate
e che mi strina un po’
Io ti sento passarmi nella schiena
la vita non è in rima
per quello che ne so

Ti sento nel mezzo di una strofa
di un pezzo che era loffio
e adesso non lo è più
io ti sento lo stomaco si chiude
il resto se la ride
appena ridi tu

Qui con la vita non si può mai dire
arrivi quando sembri andata via
ti sento dentro tutte le canzoni
in un posto dentro che so io

Ti sento
e parlo di profumo
t’infili in un pensiero
e non lo molli mai
io ti sento
al punto che disturbi
al punto che è gia tardi
rimani quanto vuoi

Qui con la vita non si può mai dire
arrivi quando sembri andata via
ti sento dentro tutte le canzoni
in un posto dentro che so sempre io

Io ti sento
c’ho il sole dritto in faccia
e sotto la mia buccia
che cosa mi farai

Qualcosa che non c’è – Elisa

Tutto questo tempo a chiedermi
Cos’è che non mi lascia in pace
Tutti questi anni a chiedermi
Se vado veramente bene
Così
Come sono
Così

Così un giorno
Ho scritto sul quaderno
Io farò sognare il mondo con la musica
Non molto tempo
Dopo quando mi bastava
Fare un salto per
Raggiungere la felicità
E la verità è che

Ho aspettato a lungo
Qualcosa che non c’è
Invece di guardare il sole sorgere

Questo è sempre stato un modo
Per fermare il tempo
E la velocità
I passi svelti della gente
La disattenzione
Le parole dette
Senza umiltà
Senza cuore così
Solo per far rumore

Ho aspettato a lungo
Qualcosa che non c’è
Invece di guardare
Il sole sorgere

E miracolosamente non
Ho smesso di sognare
E miracolosamente
Non riesco a non sperare
E se c’è un segreto
E’ fare tutto come
Se vedessi solo il sole

Un segreto è fare tutto
Come se
Fare tutto
Come se
Vedessi solo il sole
Vedessi solo il sole
Vedessi solo il sole

E non
Qualcosa che non c’è

Ever Dream – Nightwish

Ever felt away with me
Just once that all I need
Entwined in finding you one day

Ever felt away without me
My love, it lies so deep
Ever dream of me

Would you do it with me
Heal the scars and change the stars
Would you do it for me
Turn loose the heaven within

I’d take you away
Castaway on a lonely day
Bosom for a teary cheek
My song
can but borrow your grace

Come out, come out wherever you are
So lost in your sea
Give in, give in for my touch
For my taste for my lust

Your beauty cascaded on me
In this white night fantasy

“All I ever craved were the two dreams
I shared with you.
One I now have, will the other one ever dream remain.
For yours I truly wish to be.”

P.S. No, niente Tiziano Ferro!

Federica è in crisi

Pisa, oggi, ore 16.13.
Il pullman è finalmente arrivato: soli 6 minuti di ritardo, stavolta. Più che accettabile.
Mi metto a sedere accanto a Laura, e tiro fuori il manga da leggere. Intanto, ascolto quello che dicono nel sedile di dietro (non ci posso far niente, le orecchie sentono senza che io glielo comandi!).
Sai, Federica è in crisi.” dice lei, col tono di chi ha appena perso un parente caro.
Ah sì? Come mai?” Domanda l’altro, la voce che da indifferente passa a un-po’-preoccupata.
Eh, perché tra dieci giorni lei e Marco fanno 3 anni, e non sa che regalargli.
Il mio occhio sinistro comincia a ballare dal nervosismo. Continuo ad ascoltare, leggermente disgustato.
Oddio.” è la replica del ragazzo. Piuttosto ebete come risposta, per cui ho dedotto che i due stessero insieme (cosa che mi pareva già abbastanza chiara dal modo in cui si coccolavano quando ancora aspettavamo l’arrivo del pullman).
Eh sì, è un problema. Perché lui braccialetti non ne mette, orecchini neanche, anelli non se ne parli… Fede è davvero disperata. Il fumetto che tenevo tra le mani risentiva di tutto il mio disappunto. Avrei voluto voltarmi e mandarla all’inferno, lei, con la sua falda bionda, la sciangomma antipatica che veniva sciambrottata nella sua bocca e l’orribile pezzo di ferro che portava al naso. Ma dico io! Ma sono questi i problemi? Non sapere cosa regalare al proprio ragazzo? Ehhhhhhhhhh una cosa da non dormirci la notte!
Cambiamo argomento.
Ho iniziato ad andare in piscina, e la cosa mi dà una certa soddisfazione perché dopo 19 anni mi sembra di avere voglia di fare sport. Chi mi conosce sa quanto sia grave questa novità. Comunque, ci sono diverse cose che mi stimolano ad andare, prima fra tutte la gara con mia sorella a chi fa prima a essere pronto. Gara che vinco in partenza, perché io sono un fulmine a cambiarmi e ho anche un po’ meno capelli di lei (nonostante mi dia il mio bel da fare a tenerli lunghi eh!). Non glielo dite che così vinco sempre!

La cosa brutta è che mi diventano tutti gli occhi rossi, da fare invidia agli amichetti vampiri di Edward Cullen. Avrei taaanto voluto comprare gli occhialini, ma la signorina al bancone mi ha liquidato con un “Li abbiamo finiti”. Molto scortese, ma era giovedì sera, la posso anche giustificare.
Adesso faccio un salto al manicomio. Se stasera non vado a letto presto potrei avere un mancamento domani ad analisi (in realtà potrei averlo anche se la Della Vedova si ripresenterà con un abbigliamento degno del primo Novecento).
Buonanotte a tutti!

Via giù, cominciamo!

E’ sempre un’emozione scrivere il primo post. Non dovrebbe esserlo più, dato che questo è il quarto o quinto blog che comincio (si accettano scommesse su quanto durerà questo), eppure sono tutto agitato al pensiero di mettere la prima firma sotto tutte queste paroline sceme.
Per sciogliere un po’ questo imbarazzo iniziale cerco di trovare un argomento convenevole ma sempre di moda. Del tipo: certo che è venuto un freddo eh, si sente già l’inverno…
Ecco, direi che con questa perla abbiamo rotto il ghiaccio. Ora parliamo di cose serie. Come mai un nuovo blog? Domanda che suscita sempre un grande effetto ma la cui risposta noiosa non frega a nessuno. Io comunque lo racconto almeno pigio un po’ di tastini, e il rumore delle mie dita che ci battono sopra è rilassante. Dunque, dovete sapere che io ho tuttora un altro blog, il mio diario dei ricordi, si chiama Bloggando ed è uno degli spaces di msn. Ecco, non capisco come abbia fatto, ma mio padre è riuscito a trovare l’indirizzo, e ho scoperto da poco che lo ha inserito nei preferiti. E lo segue regolarmente! Che cosa assurda: mi vergogno di più a far leggere il mio blog a mio papà che al resto del mondo (qui se fossimo su messenger metterei la faccina sconvolta con la bocca fatta come la lettera S).
Per cui, resto del mondo, mi raccomando: seguimi, leggimi, commentami. Ma non dirlo a mio padre!