• L’apologia del maschio di Francesco Piccolo

20 NOVEMBRE 2018
Roba tipo recensioni

Deve essere incredibilmente difficile essere un maschio bianco eterosessuale al giorno d’oggi. Assistere inermi al venir meno di qualcuno dei privilegi di cui è stato in possesso per svariati millenni può essere fonte di dispiacere, ma niente paura: volevo rassicurare tutte le maggioranze all’ascolto che per il momento la bilancia dei diritti pende ancora insistentemente dalla loro parte.

Eppure qualcosa si muove, ed è innegabile. Gruppi sempre più numerosi di persone con meno diritti si stanno organizzando, e il maschio comincia a percepire un antipatico formicolio nei pressi della parte terminale dell’intestino. Un segnale, forse, la necessità di prendere una decisione: da una parte c’è l’arroccarsi definitivamente nella torre del privilegiato, cercando di preservare quella posizione che per millenni lo ha reso il capofamiglia, il capo di Stato, il capo del mondo; dall’altra parte si scende tra i non maschi, tra i non bianchi, tra i non etero, li si ascolta e si conviene che non hanno tutti i torti. Tra i due estremi ci sono cinquanta sfumature di altre scelte, compromessi, opinioni, che non stiamo a riassumere.

L’ho presa alla lontana, scusate. Volevo arrivare qui: i maschi bianchi etero che non fanno finta di niente provano a chiedere perdono. A spiegare il loro punto di vista. È quello che tenta di fare anche Francesco Piccolo nel suo ultimo romanzo L’animale che mi porto dentro che esce oggi per Einaudi. Ho l’impressione che la sintesi migliore sia dire che questo libro è un’apologia del maschio al suo essere maschio.

Spoiler: ho adorato questo libro. La scrittura di Piccolo regala gioie letterarie, ma non è tutto qui: il romanzo fa parecchio ridere, fa parecchio inquietare e fa parecchio incazzare. Emoziona, come si suol dire, e in maniera intelligente. Lo consiglierei solo per questo.

Il protagonista del romanzo (che dovrebbe essere una versione modificata dello stesso Piccolo, ma questo non lo sapremo mai con certezza) è un uomo, bianco ed eterosessuale, che ci tiene particolarmente a raccontarci come mai è diventato così come quasi tutti i maschi: lo fa soprattutto attraverso riferimenti letterari e cinematografici che hanno contribuito alla sua formazione (il primo libro di Sandokan, il film erotico-sentimentale Malizia, i fumetti osé di Lando, per esempio) e aneddoti della sua giovinezza: la prima delusione d’amore, la rabbia adolescenziale sfogata durante una partita di basket, e soprattutto il momento in cui, da bambino in vacanza con i parenti, si reca insieme agli altri maschi del paese nei pressi del Villaggio da cui escono, ogni sera alla stessa ora, le bellissime svedesi, da guardare e commentare insieme.

«C’era la sensazione di far parte di qualcosa, di un modo di pensare, di comunicare, di parlare tra di noi; c’era il fatto che tutto ciò mi sembrava naturale e possibile, bastava abbandonarsi alla somiglianza, essere come erano quelli intorno, e tutto sarebbe andato bene. Il movimento dei maschi era affascinante»

Piano piano, l’io narrante cresce e acquisisce consapevolezza e potere. La sensazione è il suo sia un percorso universale, che cambia da individuo a individuo soltanto nei riferimenti, ma quasi mai nel punto di arrivo, quello di maschio completo. Il mondo in cui i maschi sono stati forgiati è pervaso di esempi di virilità, di occhiolini, di codici e gruppi a cui solo un sesso è ammesso. E soprattutto, Piccolo teorizza una società maschile che viene costantemente sorvegliata da sé stessa, attraverso un meccanismo che ricorda quello del panopticon, una tipologia ideale di carcere che permette a un unico sorvegliante di controllare tutti i detenuti senza che essi sappiano se sono guardati o meno.

«E tutte queste persone, tutte, da quando ero un bambino inconsapevole fino a quando sono diventato un uomo consapevole e poi uno scrittore, non si sono mai allontanate. Si è trattato di un accumulo di virilità, un accumulo di sguardo degli altri maschi su di me. Perché non c’è nulla di casuale in questa educazione collettiva alla vita, c’è un sistema, ed è il sistema che ogni maschio contemporaneo cerca di combattere e da cui, in fondo, ogni maschio esce sconfitto. È lo sguardo degli altri maschi che non riesci mai a toglierti di dosso nemmeno per un secondo»

«Infatti, se in qualche modo disobbedisci e resisti, ti rimane addosso un sentimento angosciato, qualcosa di storto, per ore, per giorni, perché anche se cerchi di ignorarlo, sei comunque venuto meno a una regola della comunità e non puoi sperare che qualcuno non se ne accorga: c’è il panopticon, l’occhio sociale, ti stanno sempre guardando»

Non è colpa nostra, grida Piccolo tra le righe, è la società dei maschi che ci ha cresciuti così. Nel frattempo, il protagonista del romanzo è arrivato a sposarsi, ad avere due figli, a scrivere libri e film per lavoro e a vincere uno dei più importanti premi letterari d’Italia; e ad avere svariate amanti, e a trattare con violenza la figlia maggiore, e a essere un despota con i collaboratori. Questo perché il maschio è sempre diviso tra la sua parte sentimentale e quella mostruosa, primordiale, animale. L’animale che si porta dentro ogni uomo è cresciuto alimentandosi di tutti i desideri degli uomini, di tutte le volte che agli uomini viene detto Sì, puoi farlo.

L’animale che mi porto dentro è un libro onesto. Perché nelle ultime pagine, una carrellata meravigliosa e inarrestabile di modi di fare tipici del genere maschile, rivela il vero sentimento di un uomo che nelle precedenti duecento pagine ha provato a scusarsi di essere fatto così: che sotto sotto non gliene importa niente, nemmeno a lui.

Roba affine
7 commenti
  1. Sabina_K
    Sabina_K dice:

    Bella presentazione, nient’affatto scontata, cosa paradossalmente tutt’altro che semplice con un libro non “scontato”.
    Di questo libro ho letto abbastanza (recensioni ed interviste all’autore) e mi incuriosisce sempre più.
    Da donna credo d’essere sufficientemente pronta a capire&carpirne lo spirito di fondo…vedrò…

    Rispondi
    • Zucchero Sintattico
      Zucchero Sintattico dice:

      Penso che questo genere di opinione sia un rischio che Piccolo ha dovuto correre e che, quindi, ha pagato. Io l’ho trovato un libro estremamente femminista, invece, proprio perché questa critica c’è. Piccolo è un romanziere, non possiamo chiedere a lui la soluzione del sessismo. Dopodiché, concordo con Arianna Montanari (che non conosco) che la conclusione “E che ci volete fare, siamo uomini” è abbastanza terrificante. Forse l’intento era scuoterci, lo spero.

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