La cantantessa

Massa, Otto Luglio Duemiladieci

La cantantessa si presenta al pubblico di nero vestita. Si rivolge al pubblico che la inonda di affetto con un atteggiamento che è il giusto equilibrio tra raffinata eleganza e veemente determinazione. Bella e brava sarebbero due aggettivi troppo scontati per una cantautrice che mescola una voce particolarmente virtuosa a delle musiche toccanti accompagnate da testi le cui parole – scelte e precise – non sono mai a caso.
Ma mi sto perdendo in complimenti inutili e fintamente critici. Volevo solo appuntare qua di una serata all’insegna della bellezza (e dell’amicizia!). Chiaramente la mia macchina fotografica non riesce a capire che il soggetto è la persona sul palco e non le teste del pubblico, per cui la foto che segue è orribile (o forse non è colpa della fotocamera… Dovrei fare un corso?)



Elettra metteva la cipria consueta nella penombra
Negli occhi il riflesso di sensi abusati e bagliori di strada
Inquieta per l’ultimo appuntamento
Qualche minuto e lo avrebbe rivisto.

Da giorni in conflitto con quel turbamento
Sublime ed affine al dolore
Quell’altalenare tra stato di grazia e sfiancante passione
Quel giovedì sera alle dieci e quaranta
Un confuso languore, l’odore di neve
Forse era ansia di prestazione
Il colmo per una che fa quel mestiere.

Elettra quale audace acrobazia
Toccare il cielo con un dito e poi ridiscendere
Amato bene abbracciami alla luce del giorno
Tra sguardi indignati e la frenesia del resto del mondo.
Amore concediamoci quel viaggio imprevisto
La fuga dal solito itinerario costretto alla morsa dell’abitudine.

Perdona il ritardo
All’altezza del bivio
Fui colto da ignoto malore
Le gambe inorganiche, lastre di ghiaccio, improvvisa necrosi del cuore.
Per grazia divina la mente è rimasta
Illesa ed immune a ogni trepidazione.

Vengo a saldare il servizio d’amore:
oltre seicento gradevoli ore.

Elettra quale audace acrobazia
Toccare il cielo con un dito e poi ridiscendere.
Amato bene abbracciami alla luce del giorno
Tra sguardi indignati e la frenesia del resto del mondo.

Amore concediamoci quel viaggio imprevisto
La fuga dal solito itinerario costretto alla morsa dell’abitudine.

Amato bene abbracciami alla luce del giorno
Amato bene abbracciami alla luce del giorno
Amato bene abbracciami alla luce del giorno.

La finestra di fronte

Mio caro Simone, dopo di te, il rosso non è più rosso. L’azzurro del cielo non è più azzurro. Gli alberi non sono più verdi. Dopo di te, devo cercare i colori, dentro la nostalgia che ho di noi. Dopo di te, rimpiango persino il dolore che ci faceva timidi e clandestini. Rimpiango le attese, le rinunce, i messaggi cifrati, i nostri sguardi rubati in mezzo a un mondo di ciechi, che non volevano vedere, perché se avessero visto saremmo stati la loro vergogna, il loro odio, la loro crudeltà. Rimpiango di non avere avuto ancora il coraggio di chiederti perdono. Per questo, non posso più nemmeno guardare dentro la tua finestra. Era lì che ti vedevo sempre, quando ancora non sapevo il tuo nome. E tu sognavi un mondo migliore, in cui non si può proibire ad un albero di essere albero, e all’azzurro di diventare cielo. Non so se questo è un mondo migliore. Ora che nessuno mi chiama più Davide, ora che mi sento chiamare soltanto signor Veroli, come posso dire che questo è un mondo migliore? Come posso dirlo senza di te?

La mia maturità



Sia chiaro che questo post ha l’unico scopo di tirarmi su il morale e di verificare l’esistenza della mia dimenticata capacità comica. Ora, vorrei subito farvi notare di come io abbia associato le parole “unico” e “scopo” come se si trattasse di un binomio indivisibile e nelle successive due righe io abbia elencato due scopi, fregandomene della coerenza e del significato della parola “unico”. Avrei potuto correggere, visto che mi sono subito accorto dell’errore, ma in realtà tutto questo mi dà la possibilità di mostrare come la mente umana (anche la mia, toh!) sia conforme a schemi prestabiliti, e soprattutto mi dà la possibilità di allungare il brodo

Dicevo dello scopo di questo post. Sì. Lungi da me voler spiattellare ai quattro venti fatti della mia vita privati, delicati e decisamente drammatici, ma si dà anche il caso che io abbia superato ormai la tragedia di cui fui attore protagonista ormai due anni fa. L’esame di maturità. Ta da daaaan. Questa doveva essere una musichina thrillereggiante. Vabbè, continuo. Lo faccio perché questo è il periodo in cui la gente viene maturata – per quanto poi la “gente” in questione sia composta in gran parte da imbecilli, stronzi e, cosa ben più grave, fan di Gigi d’Alessio. 

Dunque. Un mese prima della maturità io mi ero in qualche modo convinto che NOOOO, a chi importa del voto? NOOOO, nessuno in futuro mi chiederà mai di quanto ho preso alla maturità e NOOOO, io vado là e faccio gli esami senza strafare, e accetterò qualsiasi risultato. Bene. Questo a un mese dall’esame. A trenta giorni dall’esame.

A ventinove giorni dall’esame, invece, realizzo che BEH, però forse potrebbe farmi soddisfazione avere un buon voto, e che BEH, è l’ultimo anno di liceo e un ultimo sacrificio lo posso anche fare, e BEH, in fin dei conti, sono sempre stato bravo, perché rinunciare a un riconoscimento importante come questo.

Così mi metto a studiare incessantemente.

Faccio anche la tesina, su cui vorrei che tutti facessimo un minuto di silenzio. Chiaramente la mia tesina è stata la migliore nella storia delle tesine della maturità. Il dandy moderno. Mi sono divertito da morire a cercare il materiale, ad impostarla e anche a preparare l’esposizione che è venuta scenografica e spettacolare. Beh, sì, già da allora si capiva che sarei diventato un grande uomo di spettacolo.

No, no, non ve ne andate! Torniamo all’esame.

Tema. La costituzione. Decisi di rischiare e osai con uno stile un po’ provocatorio. Ci misi due o tre frecciatine alla Lega, e il professore evidentemente apprezzò (beh, diciamo che le probabilità giocavano a mio favore…).

Seconda prova. Fisica


Scusate, stavo vomitando.

Dunque, fisica non è mai stata la mia materia preferita, devo dire. A nessuno dei miei compagni piaceva, tranne qualche eccezione. E infatti ci impegnammo tutti nello studiare ogni cosa. Credo che avremmo preferito una tortura cinese rispetto a studiare così tanta fisica. Tipo pettinarsi con un riccio di mare. Sdraiarsi tra due ippopotami. Scaccolare il proprio nonno. Cose così. E invece fu una vera cavolata, almeno per quanto mi riguarda. Uscii da scuola che ero proprio soddisfatto.

Terza prova – “il quizzone“, come dicono tutti i telegiornali (io seppi che si chiamava “il quizzone” proprio dai telegiornali, perché non ce lo disse nessuno). Inglese, biologia, matematica e informatica. Potevo fare molto meglio quel compito, se solo non avessi confuso due termini informatici. In seguito il professore mi disse che si vedeva che sapevo le cose, ma avevo invertito i termini. E allora non mi penalizzare! Vabbè, scusate se faccio il polemico: m’è rimasta lì.

Ma arriviamo al giorno dei giorni. L’orale. Ta da daaaan (stavolta l’avete capito che era una musichina thrillereggiante, no?). Che temevo più di ogni altra cosa. E a ragione!

Dunque, l’esposizione della tesina andò bene. Mi ero preparato in modo da rispettare i tempi e da mettere ogni tot qualche frecciatina alla politica italiana o all’omofobia. Sapete, per tenere viva l’attenzione con argomenti che fanno sempre molta scena.
Poi iniziò la vera e propria interrogazione.
Ciò che andò realmente male fu la parte che riguardava il primo professore: quello esterno di Italiano e Storia. Zeus lo fulmini. Comunque, mi chiese i poeti crepuscolari. Che erano chiaramente indicati sul programma con “Cenni di“. Beh, nessun problema, li sapevo. Gli dissi un po’ di cose elementari e feci anche qualche riferimento ad altri movimenti. Mi sentivo proprio figo. Poi però lui mi fece una domanda un pelino più ardita: “Che cosa c’è nel salotto di un crepuscolare?“. Ora, lasciamo perdere che sul programma c’era scritto “Cenni di”. Ma io vorrei tanto sapere se uno studioso del crepuscolarismo avrebbe saputo rispondere. I miei discorsi strampalati (cercavo comunque di inventarmi qualcosa, ma ormai ero andato nel panico) non lo convinserò, e mi spiegò che la risposta era “Un pappagallo impagliato“. Vabbè. Ero un po’ perplesso. 
Allora passò a Storia. Qui avevo bisogno di fortuna. Sapevo perfettamente alcuni argomenti, e di altri non sapevo praticamente niente. Quando si ha un mese a disposizione, si fanno delle scelte. 
Bene, parlami della Rivoluzione Civile Spagnola“.
Quando si ha un mese a disposizione, si fanno delle scelte, già. E io la Rivoluzione Civile Spagnola non l’avevo scelta.
Sssssì. Dunque. La Rivoluzione Civile Spagnola ha un dittatore che si chiama Francisco Franco… E… Ehm… Beh…
Dopo Storia, andai letteralmente in crisi. I professori interni – e la carinissima Presidente di Commissione – furono molto gentili nell’incoraggiarmi. Addirittura quello di Matematica mi chiese l’integrale delle funzioni trigonometriche, che sono cose elementari per un maturando. La professoressa di Inglese mi disse anche di “not worry”. Ma oramai non c’era più niente da fare. Il cervello era partito e quando l’esame finì mi aggrappai a una ragazza che era venuta a vedermi, la quale fu tanto gentile da non mettersi a ridere di fronte a quella scena patetica.

Ma non ci misi molto a superare la tragicità della cosa. Feci un mezzo incidente nel tornare a casa ma non si fece male nessuno. D’altra parte, se la gente si immette sparata nelle rotonde in cui sta già circolando un  debole maturando ferito, è chiaro che possono succedere fattacci sconvenienti!

Questa è stata la mia maturità. Tutti dicono che tornerebbero indietro a rifarla, se si potesse. Io no. Io non la rifarei davvero! Forse lo dicono perché hanno le rughe, e vorrebbero solo tornare indietro nel tempo per accarezzarsi la pelle granita. Beh, quando avrò le rughe, allora forse lo dirò anch’io. Ma solo dopo un ripasso accurato della Rivoluzione Civile Spagnola.


Lui e lui ridono

Tre Luglio Duemiladieci. Sesto Fiorentino. Festa della Musica. 
C’era una piazza, c’era un grande prato, c’erano delle gradinate. 
E c’erano i Baustelle, di nuovo sul palco a suonare per me.
E basta, sono proprio poco ispirato questa mattina. Capacità sintatticolessicografica (termine chiaramente inesistente) pari a zero. Butto giù un po’ di impressioni.

E’ strano l’effetto che ti fa vedere il tuo gruppo preferito salire sul palco. Fino a un momento prima erano come entità astratte, imprigionate nelle casse dello stereo o nel lettore mp3. E invece… esistono. Per forza: sono lì, stanno salendo sul palco, stanno accordando le chitarre. E suonano, cantano davvero. 

Francesco Bianconi aveva la stessa camicia del concerto al Saschall. E anche l’atteggiamento era il classico Bianconi: tranquillo, sereno, motivato. Rachele Bastreghi era di una bellezza e di un’eleganza paurose. Una voce così non può che uscire da una donna così. 

A parte i problemi tecnici, le imperfezioni vocali, il pubblico un po’ troppo spento e la sequenza finale di canzoni (non si può concludere con “Beethoven o Chopin”!) mi sono divertito. Emozionato, di nuovo.




Parte finale de La canzone del Parco,
che ho filmato ieri sera.
Spero funzioni, ma qualcosa mi dice che non caricherà.

Lettera al mese di Luglio

Caro Luglio,
ciao. Chi ti scrive è un ragazzo che è sempre stato più o meno educato. Rispettoso, come scrivevano sulle pagelle alle elementari. Non ce l’ho mai avuta con i mesi dell’anno. Forse con Novembre, ma solo dopo il bombardamento mediatico di Giusy Ferreri. Ma sicuramente mai con te, Luglio. Anzi: da piccolo io e i miei genitori andavamo sempre in vacanza a Luglio, perché era l’unico mese in cui potevano prendere le ferie. Ecco, vedi?

Caro Luglio,
voglio impegnarmi seriamente nella promessa che ti faccio. Io ti adoro, Luglio mio, e ti prometto che farò il bravo. Studierò e darò gli esami; dopo cena mi occuperò di sparecchiare; darò anche l’aspirapolvere, pensa. Cercherò di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, di pensare a oggi come se non ci fosse un domani, e tutte le altre frasine che si trovano dentro i cioccolatini (o su facebook, che più o meno ha lo stesso potere di banalizzare ogni cosa, ma non ha il cioccolatino da mangiare, quindi è ancora peggio).

Caro Luglio,
dopo questa sentita premessa, non posso evitare di dirti che sarebbe cosa estremamente apprezzata se tu fossi almeno un pelino ino ino più gradevole del mese precedente. 

Con tanto affetto,

tuo Ale


P.S. Allego una fotografia con delle albicocche. Non si sa mai.