Dio 2.0: eccezionalmente metafisico

Quando Simone Lippi mi ha telefonato per propormi una parte nella commedia che avrebbe diretto qualche mese dopo, io non ero molto convinto di accettare. Ero interessato a imparare a recitare, non ad andare in scena davvero! Rimanemmo d’accordo che mi avrebbe mandato il copione, e quando lo lessi me ne innamorai. E così ho iniziato le prove: il mio personaggio si chiama Cìrrosi (sì, come la malattia, ma con l’accento sulla i) ed è un informatico mezzo incapace che s’ingallisce quando vede una donna.

Inizialmente mi sentivo proprio negato. Al di là della memoria per le battute, che comunque sapevo che sarebbe stata un problema, non credevo di essere capace a livello interpretativo. Fa molta soddisfazione, adesso, vedere come io sia migliorato. Certo, niente di straordinario: nessuno mi darà l’Oscar – per fortuna, perché non ho pronto nessun discorsino – ma il mio personaggio era credibile, e questo è tantissimo!

Se si esclude la recita di quinta elementare, per me era la prima volta su un palco. Il che significa che un momento prima di entrare in scena stavo per disgregarmi dalla realtà e lasciare solo una vaga scia di ansia. Fortuna che tutto il gel che avevo nei capelli (e la lacca, e la schiuma, e un sacco di altre robe schifose) mi ha tenuto allo stato solido. Così ho fatto la mia parte e quando tutto è finito non potevo sentirmi più soddisfatto.

Domenica pomeriggio mi dispiaceva dover smontare tutto. In particolare, l’immagine del teatro deserto è una delle più desolanti che abbia mai visto. Su quelle poltroncine qualche ora prima c’erano tanti spettatori divertiti da una commedia brillante ed imprevedibile, di cui ogni personaggio diceva non possedere un finale. Ma si sa: il trucco per scrivere una buona commedia è cominciare dal finale. Basta trovare un finale ad effetto e poi si torna indietro, e si scrive il resto.





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