Duemilaotto bye bye

E’ giunto il momento di scrivere l’interventino di fine anno, tanto per rispettare la tradizione. In questi casi mi sento molto “Presidente della Repubblica”… Vediamo di fare una cosa rapida e indolore: non voglio soffrire molto.
Molto brevemente, quindi, ringrazio il 2008 dei bei momenti che mi ha regalato (di cui stranamente ricordo poco), e lo ringrazio anche delle persone che mi ha dato per percorrerlo insieme, dalla mia famiglia agli amici. Bla bla bla, il solito discorso noioso. Per cui 2008, quella è la porta, puoi andare, prego.


…è andato? Meno male, non lo sopportavo più.

Ora vorrei fare un’analisi critica (più o meno) dei buoni propositi che mi ero fatto all’inizio del 2008. Li ho tenuti per un anno affissi alla bacheca di sughero che ho in camera, vediamo un po’:
1. Fare tutto come se vedessi solo il Sole. Beh, qui ho fallito miseramente. Inconsciamente sapevo che avrei fallito già mentre lo scrivevo, questo proposito. Ma insomma lì per lì mi sentivo di metterlo. Troppo difficile, veramente troppo difficile.
2. Comprare vestiti un po’ più colorati: nel mio armadio c’è solo grigio. Qui ho vinto!!! Sì, sì, sono stato ben attento a ogni cosa che compravo. Soprattutto per i capi estivi, ma anche per l’inverno adesso ho una gamma di colori tra cui scegliere un po’ più ampia.
3. Scrivere qualcosa, almeno una volta a settimana. Sì, direi che ci siamo, qui.
4. Rielaborare gli appunti presi in classe. AHAHAHAHAHAHAH! Io tutti gli anni mi illudo di poterlo fare… Figuriamoci, se mi fosse venuta la voglia di ricopiare due pagine di Manfredini sarebbe stato tanto…
5. Leggere più libri. Ecco, diciamo che avrei potuto sforzarmi di più…
6. Ascoltare solo buona musica, e comprenderla. Adesso che la rileggo trovo davvero ridicola la postilla che ho inserito dopo la virgola. Comunque: Please don’t stop the music! Unz unz unz unz! Anche qui direi che avrei potuto sforzarmi di più.
7. Prendere la patente. Dieci Maggio Duemilaotto: ohhhhh yeah!

Probabilmente per il 2009 non mi farò buoni propositi, visto quanto io riesca a mantenerli. Ecco, idea! Mi voglio fare i cattivi propositi! Pensandoci, visto che nessuno rispetta i buoni, per simmetria non dovrebbe rispettare nemmeno i cattivi! Nei prossimi giorni li butto giù (non ci crederete ma sono soddisfattissimo della mia pensata geniale!).

Concludo augurando a tutti un felice 2009. Si spera che sia meglio del 2008, soprattutto per chi il 2008 non se l’è goduto appieno. E, come mi dice il mio professore del liceo: mantenetevi sempre arguti!


Buon anno!


Con-tatto

Ebbene sì: ho gli occhi sensibili.
Calma, precisiamo: non ho SOLO gli occhi sensibili, è chiaro che io sono sensibile per definizione. Ho le manine sensibili, la pelle sensibile, la gola sensibile (quanti OKI ho buttato giù…), la schiena sensibile, i piedi sensibili, e ovviamente il cervello sensibile – soprattutto il cervello è di una sensibilità unica: pensate che se scuoto la testa troppo forte smette di funzionare.
Ad ogni modo, oggi ho scoperto di avere, tra le altre tante cose, anche gli occhi sensibili. E dire che ero bello tranquillo in proposito, perché mi ricordo che in una puntata del Dottor House qualcuno aveva detto che gli occhi non sentono il dolore (o qualcosa del genere), perché mancano le <termine medico che non ricordo assolutamente>.
Insomma, oggi avevo l’appuntamento con il contattologo (non sto scherzando, si chiama così!) per la questione lenti a contatto. Beh, se si chiamano lenti a contatto c’è un motivo! Vanno messe con tatto. Io cambierei il nome in lenti a contantotatto, perché di tatto ne serve parecchio, soprattutto quando si ha a che fare con due occhietti sensibili come i miei.
Arriva il contattologo. Io lo osservo nello stesso modo in cui la Signora in Giallo osserva un qualunque abitante di Cabot Cove: sospettoso (sapete bene che ogni abitante di Cabot Cove finirà per assassinare qualcuno, prima o poi). Mi saluta, è giovane e ha l’aria simpatica. Mi spiega tutte le cosine: ora ti metto le lenti, eh, tu ci fai una girata e si vede se hai qualche reazione allergica, eh. Pronti, attenti via.
La prima volta credevo che sarebbe stato facile. Invece mi sono subito dovuto ricredere, perché nonc’era verso di infilare questa benedetta lente sulla mia pupilla suscettibile. Ci avremo messo circa cinque minuti (Mr. Contattologo intanto diceva “No, non ti preoccupare, non è colpa tua“, mandando a zero la considerazione, già bassa di suo, che avevo di me stesso). Passati i cinque minuti infernali, ho manifestato tutta la soddisfazione che provavo. Peccato che poi mi sono ricordato di possedere due occhi. E così abbiamo speso altri cinque-dieci minuti per il sinistro.
Devo dire che una volta messe ‘ste cacchio di lenti, era tutta un’altra cosa. Forse un po’ di fastidio all’inizio, ma poi mi ha fatto taaaanto piacere riuscire a vedere il mondo senza bisogno di occhiali.

Uscito dall’ottica, mi sono fatto un giro per i negozietti di lì. Avevo tra le mani una maglia (di quelle con le costine verticali, stupenda, tipo quella bellissimissimissima che i miei mi hanno fatto per Natale). Mi rigiravo questa maglia tra le dita e mi bollivo lo stomaco: la compro o non la compro? questo è il dilemma. In mio soccorso arriva un sms di Hind, che mi avverte che ho superato il compitino di Programmazione con un bel voto (a differenza di quello di Matematica Discreta, grrr). Ecco, ottimo! Mi sono premiato regalandomi non una, ma tre maglie. Sono uscito dal negozio bello contento.

Mentre sceglievo, provavo, compravo, sembrava fosse in corso la guerra tra messaggini. Me ne arrivavano di tutti i tipi, e io lì a rispondere con trentaseimila capi di abbigliamento tra le braccia: Maallorastaserahaidecisol’esameèandatobene staseratipassoaprendereiovuoisfruttaresubitoilneopatentatocomunqueacasamiasipuòmatecivaisubitoilsetteall’oraledovesei tuttoappostoall’otticaquandotorni?

Dopo questa perla, vi saluto. Mi preparo, perché stasera passa a prendermi un neopatentato!

Letterina per Babbo Natale

Caro Babbo Natale,
anche quest’anno è giunto il 24 Dicembre, e io devo ancora scriverti la letterina. Sono sicuro, comunque, che non avrai problemi a riceverla anche se te la mando così in ritardo, perché ti stai facendo anche tu più tecnologico. Ti immagino a controllare la posta sull’Iphone, con le cuffie del lettore mp3 nelle orecchie, e collegato su Facebook a vedere chi ti ha aggiunto come amico.

Caro Babbo Natale,
quest’anno non sono stato tanto buono, per cui non oso chiederti niente per me (beh, se poi vuoi lo stesso portarmi qualcosa, penso tu sappia quel che vorrei). Invece, vorrei consigliarti dei pensierini da fare agli altri, dato che non c’è più l’abitudine di scriverti la letterina e tu tutti gli anni sei in difficoltà su cosa regalare a chi non ti dà delle dritte – ti capisco benissimo, pensa che il regalo del compleanno di Vezio lo abbiamo preso solo la settimana scorsa, e lui compie gli anni a Settembre. Dunque, Babbo Natale, prendi appunti che io comincio.

Vezio.
A Vezio per favore fai in modo che durante le sue guide non capitino le situazioni stradali più incredibili. Il pazzo a 80 all’ora mentre lui faceva l’immissione nella Sarzanese è stato abbastanza traumatico, tanto che ora si sente un miracolato dal Signore per essere sempre vivo. Siccome il ragazzo deve passare l’esame di pratica, sarebbe carino che quel giorno non succedano catastrofi (sai, le solite cose: improvvisi innalzamenti del suolo, comparsa magica di grossi autoveicoli contromano, lampeggiamenti intermittenti dei semafori…).

Laura.
Per l’amor del cielo, Babbo Natale, quella povera figliola gradirebbe una vita sportiva senza interruzioni inutili, e ho detto tutto. Non so, dove stai tu lo vendono l’olio della Madonna? I tuoi folletti sono in grado di costruire uno scudo plutonico iperspaziale? Se proprio non riescono va bene anche una versione moderna del salvavita Beghelli, penso. Insomma pensaci tu.

Luca.
Ecco, qui la cosa è problematica, Babbo. Secondo te in farmacia rieci a trovare un medicinale che tenga a freno gli ormoni? Va bene anche per qualche oretta al giorno, per farlo stare tranquillo. Delle volte non capiamo se ci sia qualche differenza tra lui e Biagio, eccetto il fatto che Biagio abbaia. Pensavo: un castratore chimico temporaneo? Oppure sai cosa sarebbe davvero ganzo? Una specie di telecomando delle pulsioni nervose. Comodo, pratico, semplice!

Elisa P.
Dopo l’esperienza traumatica dell’altro giorno, vorrei regalarle un sacco di bottoni. Tanti, tanti, tanti bottoni. Così tanti che dopo la potrebbero chiamare la Regina dei Bottoni. A parte gli scherzi, dopo che mi ha detto che gli orechini lei se li fa da sola e per farli usa dei bottoni, mi si è aperto un mondo tutto nuovo. Se è possibile fare degli orecchini coi bottoni, allora è possibile tutto: che gli asini volino, che i grilli parlino, che Berlusconi dica una cosa sensata, che Facebook imploda… Questo è il mondo del contrario, il mondo alla rovescia, il mondo dei bottoni! Ed è tutto merito di Elisa, per cui per favore, Babbo Natale, portale questo regalo (insieme a un pizzico di sorrisi, che se li merita).

Sara.
Si sta per ammalare, la sciagurata. Non si può, solo io mi posso ammalare nelle vacanze invernali, nessuno può togliermi questo diritto, mi spetta! Ecco, Babbo Natale, siccome mi ha confessato di non sapere cosa sia l’OKI (lacuna da colmare assolutamente), mettigliene sotto l’albero due o tremila scatole. Fai presto, anche, perché presto parte per l’estremo Nord!

Nicola.
Ecco, se fosse possibile vorrei che tu gli portassi una vita di riserva, perché ne avrà di sicuro bisogno quando si pianterà con la sua “indistruttibile” Clio contro un faggio (facciamo le corna, oddio). Ma la vita è una delle poche cose che non si possono regalare tanto facilmente, bisogna pensare a un regalo di riserva. Uhm, vediamo… Ah, ecco! Babbo Natale, porta a Nicola una damigiana di pazienza. Perché quella che aveva si sta esaurendo – colpa mia, penso.

Valeh.
Clienti con nomi più normali. E clienti con richieste più normali. E non dico altro!

Elvira.
Sì, lei vorrebbe tanto un vestito che appaia decente alla società contemporanea. Ah, no, sono gli studenti che frequentano il suo corso di Analisi che vorrebbero vederla vestita in una maniera accettabile, per una volta. Ma se fai questo regalo a lei, farai anche un regalo ad altre 40 persone. 41 piccioni con una fava, come si suol dire.

Giulia.
E qui ti devo fare un elenchino, Babbo Natale. Un regalo solo, per lei, non basta mica! Allora, per prima cosa un sottobicchiere nuovo, perché quello che aveva rubato al Golden gliel’ha ripreso per sbaglio la cameriera. Un computer per suo papà che sennò le frega sempre il suo quando serve a lei. Una padella da tirare in testa alla Good, ma non posso aggiungere altro perché sarebbe rischiosissimo (e dopo è colpa mia se non le rivolge la parola). Ah, e poi qualcosa da mangiare, perché sennò mi deperisce. E per finire… mmh… sì, ecco: “uno normale“. Credo si dica così.

Mums, papà, Eli, nonni e nonne, zii e zie, cuginetti, parenti vari, quelli che non ho nominato.
Un mondo di bene e di felicità.

Allora, Babbo Natale? Dici che è chiedere troppo?
Io ho sempre sostenuto che chiedere non costi niente. Ma rispondere è cortesia, dice mamma.

Tanti auguri a tutti 🙂

Nero Natale

Questa è un’abitudine che avevo sul vecchio blog e che vorrei tramandare anche a questo. Si tratta di un sistema sintetico per informare i miei – pochissimi – lettori che sono vivo, anche se non scrivo da tempo. A volte sono frasi incomprensibili, altre sono chiarissime. A me piace particolarmente quando a capirle possono essere in pochi eletti, perché ho notato che poi gli altri si arrovellano il cervello per trovare un significato che la maggior parte delle volte non corrisponde a verità. Si parta, dunque, con le definizioni sbrigative.

Computer nuovo: semplicemente splendido.
Compitini: per lo meno sono finiti.
Albero-di-Natale-in-Piazza-Anfiteatro: sgomento puro.
Capodanno: uffa.
Record da disco: secondo me ci vuole l’applauso.
Armadio: mission impossible.
Lenti a contatto: mission forse un po’ più possible.
Colla da decoupage: 24 euro?! Siete impazziti?
Twilight saga: prima o poi la finirò!
Casa del Bottone: neanche pensavo potesse esistere, un posto del genere.
Golden: è ufficiale, porta male.
Gomma: Giuli, è ancora nel mio astuccio! E tu hai la mia penna!
Parcheggi: circa dodicimila manovre.
El Paso: stavolta non ho rischiato di morire.
Regali: lo stretto indispensabile, delegato a mia sorella.
Natale: Nero Natale. Nero nero nero Natale.

“Fico!”

Oggi, ore 15.20 (quindi poco fa), cucina di nonna.
Eravamo io, mia sorella Elisa, i miei cuginetti Eleonora e Federico e mia nonna Irene. Tutti quanti circondavamo il tavolo rotondo, chi da una parte, chi dall’altra. La mimmina (Eleonora) doveva fare il compito di italiano che le ha dato la maestra. Dato che lei frequenta le elementari ha un sacco di compito per casa, di cui almeno la metà è costituito da disegni per colorare – questi bambini, poveretti. Oggi aveva i disegni di frutti e di verdure, e il suo compito consisteva nell’identificare i vegetali e scriverne il nome in una griglia accanto, che il libro aveva già parzialmente completato inserendo alcune lettere.

Esempio:
Qui a sinistra c’è il disegno di un frutto, chessò, una fRagoLa.
Qui accanto, sulla destra, ci sono sette quadratini: _ R _ _ _ L _ . Capite? Non è difficile, su!

Ecco, il problema era che il vegetale in questione era disegnato malissimo, e nemmeno colorato! Eleonora era disperata e in preda al panico ci ha chiesto aiuto. L’oggetto in questione sembrava una pera, ma fatta a spicchi, come l’aglio. L’aiuto era: _ I _ O . Boh! Era difficile davvero.
Mia sorella sosteneva che si fossero sbagliati, io invece puntavo per l’ipotesi cIpOlla, ma Eleonora nella sua infinita ingenuità si rifiutava di inserire tre quadratini a mano, come furbescamente avevo consigliato di fare (da genio del crimine quale sono…).
Poi Federico apre il libro di matematica, e per caso lì ci sono disegnati altri frutti moooooolto simili a queste pseudocipolle. E’ mia nonna che lo riconosce per primo: “Fico!“. La guardiamo perplessi, tutti. Poi ributtiamo l’occhio sull’immagine, e la comprensione ci raggiunge inondandoci di serenità: “Ahhhhhhh, ficoooooo…“.
Tutta contenta Eleonora inserisce la F e la C che mancavano, e noi torniamo ai nostri affari, felici di aver contibuito – anche oggi – a un giorno migliore.

P.S. Sì, lo so che non vi interessa niente, ma in qualche modo devo perdere tempo! Analisi mi aspetta, il compitino è tra poche ore e la professoressa (che oggi si è autodefinita “metereopatica“, e tra un po’ sarei morto per tentare di soffocare le risate) ha detto che è facilissimo, il che significa che è impossibile.

Com-pi-ti-ni

Dico subito che non so se la divisione sillabica del titolo è corretta. Penso di sì, ma non ho voglia di cercare sul vocabolario. Vi aspettate troppo da me linguisticamente parlando! Direi di cambiare argomento, anche perché se comincio tutte le volte con queste disquisizioni lessico-grammaticali divento più noioso di un professore di latino.
Il titolo (già ampiamente dibattuto, mi pare) significa che questa è la settimana dei compitini. Domani Logica (a cui farò semplice presenza, visto che ho già bocciato il primo: ok, non sono un tipo logico, contenti?!) e Matematica Discreta. Giovedì Programmazione (che DEVO fare bene assolutamente) e venerdì Analisi. Mi darebbe mooooolta soddisfazione fare bene Analisi, ma lo vedo un po’ un problema viste le lacune che ho nell’arte di inventare passaggi magici in una ricerca di limite.
Ora, le conclusioni che possiamo trarre è che venerdì pomeriggio sarò allo stato liquido, dopo così tanto studio. Ma c’è un’altra domanda a cui – sinceramente – non sappiamo dare risposta:



…se ho questi compitini, COME MAI sto qui a scrivere scemenze invece di studiare?
Nell’attesa di una spiegazione, faccio due o tre(mila) esercizi.

Tanti Auguri Eli

Biribip biribip biribip. E’ la suoneria del telefono di casa mia. Il mio è l’unico telefono al mondo che fa biribip.
Rispondo, via giù.
Pronto?
Silenzio imbarazzante. Dall’altra parte qualcuno si sta mettendo d’accordo. All’improvviso partono:
Tanti auguriiiii a te, tanti auguri a te, tanti auguriiiii a Eliiiisa, tanti auguri a te!
Io me ne rimango in silenzio durante tutta la canzoncina e mi ascolto lo spetacolo per intero.
Alla fine: “Vi ringrazio, ma io compio gli anni a Febbraio. La festeggiata di oggi, invece, è fuori.
Ridacchiano, si scusano, l’imbarazzo esce dalla cornetta. Ridacchio anch’io – per compassione, più che altro – e mi complimento per la voce.
E’ stata una parentesi molto divertente della giornata.

Ne approfitto per fare tantissimi auguri di buon compleanno a mia sorella, e per ricordarle che le voglio un mondo di bene (anche se ha già buttato in un angolo la papera di peluche che le ho regalato!).

Occhi foderati di spinaci

Vedo VERDE. Vedo tutto VERDE.
No, non ho Hulk davanti a me, fortunatamente. Non sono nemmeno dentro a un cespuglio (fortunatamente anche in questo caso: chissà quanto c’è freddo dentro a un cespuglio, adesso).
Vedo VERDE semplicemente perché oggi a mensa c’era un sacco di roba VERDE. E il caso ha voluto che io prendessi tutta roba VERDE (se si fa eccezione per lo yogurt, che grazie al cielo era all’albicocca: un giallino tenue che mi dava speranza). Tutta roba VERDE: avevo il vassoio che sembrava un tributo alla Padania. Bossi (Umby caro) sarebbe stato contento.
E vedo VERDE perché quella roba l’ho pure mangiata!
Dunque, di primo c’era la solita pasta alla puttanesca, che è un evergreen (traduzione: sempreVERDE). Ogni tre giorni alla mensa c’è ‘sta cacchio di pasta alla puttanesca. Il primo giorno che l’ho presa: “Uuuuuuh quant’è bbbona!“. Il secondo giorno “Ohhh, ancora la pasta alla puttanesca? Meno male, perché mi piace molto!“. Al terzo giorno l’entusiasmo ha una nota di incertezza: “Bene, la pasta alla puttanesca.” Il quarto giorno mi si instaura il dubbio che forse la pasta alla puttanesca la fanno un po’ troppo spesso. Infatti penso: “Ma la pasta alla puttanesca non la fanno un po’ troppo spesso?“. Il quinto giorno mi do un ultimatum. “Via, prenderò la pasta alla puttanesca anche stavolta, ma la prossima no, eh?“.
E oggi era, appunto, “la prossima volta“. Così che ho fatto? Ho guardato gli altri primi. Mi ha colpito un intruglio VERDE. Guardando il cartellino ho scoperto che si trattava, infatti, di “Minestra VERDE”. Toh, prendiamo ‘sto brodo, magari è buono… Poi arrivo ai secondi. Come contorno ci sono i ceci o gli spinaci (VERDI, VERDIssimi). Rifiuto categoricamente i ceci, sia perché non mi piacciono sia per il termine che ha un suono troppo melenso. Quindi prendo gli spinaci, e almeno stavolta non specifico il loro colore.
Arrivo al tavolo, inforco il cucchiaio, lo affondo nella ciotola e lo avvicino al naso: inodore (come la cocaina). Sicché lo porto alla bocca e mangio. Ingoio. Un lampo di luce verde mi acceca. Tipo il flash dell’Avada Kedavra, non so se avete presente Harry Potter. Per il momento, tutto ritorna a colori. Giuli è già lì che racconta la sua esperienza, da donna provata quale è: “Eh, io l’ho presa una volta, poi non l’ho più ripresa. E’ fatta con gli spinaci ripassati!”. Laura la ascolta annuendo: approva. Io intanto provo a mangiare, ma ogni boccone è pesante come l’odore della vernice. Vernice VERDE, ovviamente. Quando poi sono passato agli spinaci, passivamente accoglievo il cibo nella bocca. A quel punto non si trattava più di cibo, né di arte mangereccia, ma di un meccanico nutrimento per lo stomaco.
Sono vivo, sono sempre vivo. Non mi ha ucciso Facebook, non lo faranno neanche gli spinaci. In barba a Braccio di Ferro.

P.S. Spero abbiate notato il colore con cui ho deciso di postare questo intervento. Sì, sì, chiamiamola una coincidenza

Vade retro Facebook

Ehssì, avete letto bene: ho deciso di smettere.
Curioso come questa frase ricordi tanto quella di un tossicodipendente che decide di dare una svolta radicale alla sua vita. Sì, curioso, anche perché io mi riferisco a tutt’altro genere di droga.
La droga delle droghe, la fonte di ogni distrazione, il luogo dove la curiosità (e ficcanasaggine) umana raggiunge il suo apice.
FACEBOOK.
Hanno aperto una comunità di recupero vicino a casa mia, dicono che in una settimana riescono a farmi tornare normale. “Certo – hanno detto, notando subito la speranza nascermi negli occhi – il primo periodo sarà più difficile. Ti sembrerà che qualcuno ti abbia amputato un arto. Ma con un po’ di impegno ce la farai“. Queste parole mi hanno dato forza, una grande forza.
Ce la farò, ce la posso fare. Yes we can!
Certo, mi prendono gli attacchi di tristezza se penso che non giocherò mai più a Geo Challenge (dannata Islanda, è irriconoscibile!). Se penso che non mi iscriverò più a nessun gruppo… Oh, e come farò a rimanere ignorante sulle situazioni sentimentali dei miei amici? E poi… e poi i test, non saprò mai che tipo di automobilista sono, o qual è la mia droga preferita, o chi sarei stato nella mia vita successiva! E le pagine fan: non potrò mai più diventare fan di Topo Gigio, di Anacleto, della colla vinavil, di dormire. Oh, me tapino! Sono condannato a un’esistenza senza più friend request, senza lo strumento “persone che potresti conoscere”, senza applicazioni! Che vita insulsa, che insulsa vita.
Ma poi mi dico: ce la posso fare. Lo farò per chi è più sfortunato. Lo farò per chi inserisce il nome utente e la password e poi non trova richieste di amicizia nella barra degli aggiornamenti. Lo farò per chi ha un cognome comune e gli amici non riescono ad aggiungerlo. Lo farò per chi ha 239 amici su facebook ma nessuno di loro lo saluta se lo incontra per strada.
Sì: queste persone mi danno la forza di farlo. Ce la farò. Sarò più forte di chi continua. Io posso farcela. Io posso farcela. Se lo dico altre cento volte forse mi convinco.

Milano

Ve lo confesso: avevo iniziato a scrivere questo intervento in tutt’altra maniera. Avevo aperto con una noiosissima disquisizione grammaticale sulle frasi nominali (faccio un riassunto: sono le frasi senza predicati) ma ho deciso che non sarebbe stato molto divertente.
Comunque: ieri Milano. Era questa la frase nominale con cui avevo inaugurato il post. Ieri Milano. Per i più ottusi – spero che non ce ne siano di così ottusi! – significa che ieri sono stato a Milano, a trovare Arianna e Franco.
Butto giù le mie impressioni, eh, senza un ordine preciso.

Uno. Dà una certa soddisfazione lasciare Lucca per un po’. Sembra di andare verso il mondo urbanizzato, peregrinare verso l’Occidente, la New York italiana. Io ci vivo, e so che si tratta di una città (anche troppo) normale, eppure Lucca mi ha sempre dato l’idea che un confronto tra lei e Milano non avrebbe senso. I milanesi neanche sanno che esiste, secondo me.
Quando (o se) un milanese pensa a Lucca, gli nasce dentro un particolarissimo senso di pietà. E’ la stessa sensazione che suscita la visione di un cane bastonato, o l’ascolto di una favola di papà Castoro: compassione, pura e semplice compassione.

Due. La moda, la moda, la moda. La moda nella capitale della Moda. Finalmente, dopo anni di curiosità, riesco a concludere che la moda nella capitale della moda è… esattamente come in tutti gli altri posti. Ta-daaan: delusione. Mi aspettavo di vedere tutti gli uomini in giacca e tutte le donne col taill.. tallie.. taull… tall.. beh, col vestito lungo. Mi aspettavo di posare la mia sporca e out scarpetta da ginnastica e vederla trasformarsi in un mocassino (e per fortuna è rimasta una scarpa da ginnastica). Mi aspettavo di vedere almeno uno di quei vestiti complicatissimi e stranissimi che si vedono alle sfilate, e sinceramente mi aspettavo anche di vedere sfilare le persone. Cavolo: nella capitale della moda, devono essere tutti modelli! Altrimenti che capitale della moda è?!

Tre. Chi mi conosce sa che io adoro le librerie più di quanto i musulmani adorino Allah. Più di quanto i buddhisti adorino Buddha. Più di quanto mia cugina adori le Winx e più di quanto mia sorella adori trascinarsi sul pavimento come se non fosse capace di sollevare i piedi (una cosa davvero irritante, giuro). Le librerie sono come il canto di un usignolo, come gli albicocchi in primavera, come il profumo del primo mattino, come… okay, basta così. E a Milano sono entrato nella libreria più grande che abbia mai visto. Sarà stata tre o quattro volte la Edison, forse cinque volte! E’ stato come mangiare un barattolo di Nutella tutto insieme. E’ stato come entrare nella caverna piena di tesori di Aladdin (solo che poi i tesori non si distruggevano al solo tocco). E’ stato… è stato… meeeeeraviglioso! E ho anche comprato un librino piccolo piccolo, le Fiabe di Beda il Bardo. E mi stava venendo un attacco depressivo quando mi hanno costretto ad uscire.

Alla prossima!