La mia visione del mondo, raccontata tra parentesi.

Promemoria, un anno dopo

Chi legge questo blog sa che – essendo io abbastanza riservato – non ci scrivo i resoconti delle mie giornate, sempre che non capiti qualcosa di particolarmente esilarante o interessante o che non sia solo lo spunto per qualche altra riflessione. Però stavolta scriverò qualcosa che non è né esilarante, né interessante (quantomeno per voi). Dunque: lo scorso Febbraio avevo pubblicato qui un Promemoria, che in realtà mi ero prefissato qualche mese prima. Più o meno è un anno che una mia cara amica mi aveva fatto il suo “appunto”. Quell’amica oggi pomeriggio mi ha chiamato esclusivamente per dirmi che è molto felice che io abbia rispettato l’impegno con successo. E questo ha reso più luminosa una giornata (che altrimenti sarebbe stata dedicata a bit di controllo, linguaggi funzionali e protocollo di El Gamal). Ecco. Come vedete non è niente di interessante o esilarante o divertente. Ma tempo fa registravo una sconfitta. E mi sembrava giusto – un anno dopo – segnalare anche il successo corrispondente.

525,600 minutes,
525,000 moments so dear.
525,600 minutes – how do you measure, measure a year?

In daylights, in sunsets,
in midnights, in cups of coffee.
In inches, in miles,
in laughter, in strife.

In 525,600 minutes – how do you measure a year in the life?
How about love? How about love? How about love?
Measure in love. Seasons of love.

525,600 minutes!
525,000 journeys to plan.
525,600 minutes – how can you measure the life of a woman or man?

In truths that she learned,
or in times that he cried.
In bridges he burned,
or the way that she died.

It’s time now to sing out, tho the story never ends let’s celebrate remember a year in the life of friends.
Remember the love! Remember the love! Remember the love!
Measure in love. Seasons of love! Seasons of love

[ Metto le mani avanti:
ipotizzo che questa canzone
sarà pubblicata spesso 🙂 ]

Ieri non ho studiato…

…ma in compenso mi sono comprato un paio di fantastici jeans! Beh, in effetti non è la stessa cosa, infatti subito dopo mi sentivo in colpa. Per cui ho deciso che non li indosserò finché non avrò fatto qualcosa di costruttivo.
E la maniera peggiore per fare qualcosa di costruttivo è proprio scrivere sul blog come sto facendo ora, ma tanto non avrei tempo di fare niente prima di pranzo. Se si esclude rifare il letto, mettere in ordine la scrivania, sistemare il comodino, organizzare lo studio di oggi, stampare gli esercizi, rispondere alle mail, finire un raccontino, aiutare ad apparecchiare, e ovviamente cominciare a fare qualche esercizio.
D’altra parte, nell’era di facebook è considerato perfettamente normale e salutare il perdere tempo. Attimi che si bruciano nel controllare i profili degli amici, cosa hanno fatto il sabato sera, il loro stato personale e di chi sono fan. Per cui, trovo questo post sulla stessa lunghezza d’onda della massa che perde tempo. Ergo: mi sento stranamente normale.
Ma per fortuna è pronto in tavola, così posso tornare alle mie cose. Buon appetito!

P.S. Lo scopo iniziale di questo post era quello di evidenziare la differenza tra il perdere tempo volutamente, cosa che ritengo condivisibile, e il non accorgersi di perdere tempo, che al contrario detesto con tutto me. Potete ringraziare il pranzo che vi ha evitato tutto questo!

Il pullman e l’aeroplano

Colonna sonora consigliata per la lettura: L’aeroplano dei Baustelle

Salgo sul pullman, che stranamente non ha fatto ritardo. Anzi, è arrivato puntuale. Mentre mi stupisco tra me e me (ma sento che anche gli altri che lo attendevano manifestano una meraviglia comune a chi è abituato al pessimo servizio della Vaibus) raggiungo il mio posto. Lo chiamo il mio posto perché è dall’inizio dell’anno accademico che lo prenoto. E’ in fondo al pullman e mi piace perché so che non c’è nessun’altro dietro di me a guardarmi, sicché posso addormentarmi anche a bocca aperta (non faccio tanta attenzione al bon ton, quando sono distrutto da nove ore di università).

E proprio quando mi siedo, il lettore mp3 mi regala una canzone.

Che cosa resta di noi che scopiamo nel parcheggio
Cosa resta di noi: un rottame di Volksvagen
Il ricordo, si sa, trasfigura la realtà

La verità se ne sta sulle stelle più lontane

Ci rimane una città, un lavoro sempre uguale
Una canzone che fa sottofondo all’Indecifrabile.


No, non è vero. Nemmeno il mio lettore è tanto romantico da far partire la mia canzone preferita nel momento in cui ne ho bisogno. Sarebbe una coincidenza così grande da far pensare all’intervento divino. O peggio: a quello del destino. Sfortunatamente, non ci credo. Ma, fortunatamente, credo a sufficienza in me da sapere che se ho bisogno della mia musica, posso metterla. Da me, con le mie dita. E appunto, quello che ho fatto realmente è stato prendere il lettore e selezionare la canzone che volevo.

Cosa rimane di noi, ragazzini e ragazzine
La domenica dentro le chiese
ad ascoltare la parola di Dio.
Il futuro era una nave tutta d’oro
che noi pregavamo ci portasse via lontano
Cosa rimane di noi
Ora che ci siamo amati ed odiati e traditi
E non c’è più limite

E dirò di più. Alzo anche il volume per non sentire il rumore del pullman, e per non sentire i discorsi stupidi di chi alle sei e mezzo ha ancora forza per farli. No, dai, niente cinismo: lo faccio soprattutto per il rumore del pullman. No, dai, niente cazzate: lo faccio per i discorsi stupidi. Poi inizio a farli io, i pensieri stupidi, e cioè: è più conveniente che la settimana inizi dal Lunedì oppure dovremmo spostare l’inizio a un altro giorno? No, perché è molto leopardiano avere il Lunedì come primo giorno. C’è l’attesa del weekend che ci regalerà un po’ di meritato riposo (o immeritato, a seconda se siamo persone serie o scansafatiche. Non vorrei scendere nel luogo comune per cui il riposo è sempre meritato. C’è chi non se lo merita, il riposo. Diciamolo!)

Sfreccia in cielo un aeroplano
Io ti amo e non ti penso mai
Penso a quello che ci resta
Vola l’aeroplano, Va lontano
Vola su Baghdad
Noi voliamo invano

Però è così limitativo pensare di vivere la settimana in attesa del weekend. Come facciamo a godere del Martedì – che è uno dei giorni più amorfi tra i sette – se già di Martedì non vediamo l’ora che sia Domenica? Che poi bisogna ammettere che la Domenica non è che sia poi così emozionante. Forse perché c’è la Messa, che ci affloscia. Personalmente ho smesso di andarci, ma io ho smesso anche di domandarmi se Dio esiste o no, quindi io non conto. Dicevo che forse un weekend a metà settimana sarebbe più efficiente. Anche se a quel punto diventerebbe un weekmiddle.

Che cosa resta degli anni passati ad adorarti
Cosa resta di me
delle bocche che ho baciato in discoteca
Che cosa ne è della nostra relazione
Stupidi noi che piangiamo disperati
Che cosa resta dei sogni che avevamo nella testa
La nostra esperienza a che cosa servirà

Sbuffo. Non propriamente. Più propriamente: mi incazzo. Cristo, ho sprecato l’ultimo minuto con pensieri dal dubbio divertimento, scordandomi che la mia canzone preferita stava cercando di stuzzicare la mia attenzione. E la cosa mi turba. No, ho di nuovo sbagliato termine. “Mi fa incazzare”, volevo dire. Comunque, premo sulla freccia a sinistra e la canzone riparto. Chiudo gli occhi, stavolta più deciso. E funziona, come funziona sempre. Non mi servono metanfetamine per sognare. Ci riesco benissimo con gli arrangiamenti psichedelici di una canzone d’amore come questa. Una delle più belle canzoni d’amore che abbia mai sentito. Amore corrotto, decadente, struggente, malato, malato, MALATO. Amore che non si trova nelle commedie e nei Baci Perugina, ma se hai fortuna lo puoi vedere negli angoli polverosi dell’universo, o nei punti più bui e freddi delle grotte, o tra le rocce delle scogliere di notte, o nelle tane dei serpenti in inverno,… E proprio perché è così difficile da scovare e così emarginato da tutti è così prezioso.

Sfreccia in cielo un aeroplano
Io ti amo e non ti penso mai
Penso a quello che ci resta
Vola l’aeroplano, Va lontano
Vola su Baghdad
Noi voliamo invano


Quando mi faccio di musica sono soddisfatto. A volte, altre mi sento un drogato. Ora, qui in fondo al pullman, mi sento soddisfatto. Ecco, ecco. Svalvolo. Ho le visioni. Succede sempre quando chiudo gli occhi. A volte – sempre più spesso – anche se li ho aperti vanno. Vedo unascatoladipennarelliunpaiodijeansunpaiodilabbradueocchinerigrandiocchinerietante

finestrellecolorateilmiomaterassoquellosucuituttelesereholemiefasirempoilampadetantepersonetracuiunaconlacartellarossa

unoaltocongliocchialiunoconungiacchettoarancioneunaconlescarpedipaperinounaconlaborsadiungufounaconlapelledi
cioccolataduebimbibiondichegiocanoconlaplaystationunocheridequandoglidicidinonridereunacheamascriveresuldiariouna

chesatutteledomandedelmilionarioedovrebbeandarciunachehaunamagliarosadicuisivergognanonostantenondovrebbeuna

chehaunpescefuggitoalondraeanchealtrefaccechesaltanoeballano. Cazzo, wow, wow! Forse è un po’ ridicolo messo così, ma vi assicuro che se invece di pensare a quanto sia ridicolo provaste anche voi… sentireste qualcosa. Io ve lo consiglio, poi sta a voi decidere. Se aspettare il destino o no.

Pensieri tra il venerdì e il sabato

Penso che ogni persona abbia cose per cui star male. E che a ognuno sembri che le cose che turbano gli altri siano inezie in confronto alle proprie. Ognuno ha diverse priorità e ambizioni e desideri e agisce di conseguenza, e tutti dovremmo rispettare le priorità e le ambizioni e i desideri di tutti. Penso che… però, che rabbia!

Penso che non me ne importi niente se in un’aula c’è il crocifisso o no. Penso che se chiedi a un qualsiasi studente di una qualsiasi scuola italiana di disegnare un’aula, il crocifisso sarà l’ultima cosa che mette (sempre che non lo dimentichi, cosa altamente probabile). Penso che il crocifisso sia un demoniaco strumento di distrazione di massa, che distoglie l’attenzione da cose più gravi. Uno specchietto per le allodole. Penso che gli italiani siano bravi a fare le allodole, ma sono ancora più bravi a fare gli ipocriti.

Penso che il cus cus sia davvero squisito.

Penso di essere un tantino fuori posto. La dimensione che mi appartiene è diversa. Non peggiore, non migliore: semplicemente diversa. Una dimensione per diversi. Penso che se mai troverò il buco che porta al Paese delle Meraviglie, mi premurerò di portare alcune persone con me. Per quanto questo mondo non sia il mio, ci sono alcuni dei suoi abitanti a cui voglio ancora troppo bene perché io possa lasciarlo senza rammarico.

Penso di avere un palloncino in gola. Pieno d’acqua.

Penso che il mondo sia fondamentalmente maschilista. Penso che il mondo sia fondamentalmente vecchio. Se le donne e i giovani avessero più spazio, il mondo godrebbe di una sana e pura libertà. E quando parlo di “libertà” io intendo quella vera, non quella che ti pubblicizzano accanto ai nomi dei partiti, sporcandone il significato e offendendone la concezione.

Penso che serva coraggio. Per tutto, in tutto. Sapere che ne uscirai con le ossa rotte e buttarti lo stesso richiede coraggio. Anche avere coraggio richiede coraggio, perché non hai nessuna soddisfazione dall’aver avuto coraggio, anzi, probabilmente dopo ti senti peggio di prima. C’è un’unica cosa a cui potersi aggrappare: la consapevolezza di aver fatto comunque la scelta giusta. Perché la paura non lo è mai.

Penso che non pubblicherò questo post. O forse sì.

Penso che pensare faccia male. A me. Se però il mondo iniziasse a farlo, staremmo tutti molto meglio.

Pesante


Perché quest’uomo non vuole cadere,
nonostante sappia
perfettamente
che il cielo che lo aspetta non sia
poi
così male?

Ode a Will & Grace

Un anno fa pensavo che niente e nessuno potesse battere la comicità di Friends. Era in assoluto il più bel telefilm di tutti i tempi, quello di cui credevo che non mi sarei mai stancato. E su dieci stagioni ne ho viste la bellezza di 7. Nelle prime due stagioni non smettevo di ridere dall’inizio alla fine della puntata. E i personaggi, le trame, gli intrecci, sono davvero ben sviluppati.

Poi, una notte d’estate, per caso, ho acceso Sky e davano una puntata di Will & Grace. “Proviamo!” ho detto. Solitamente mi piacciono i telefilm con le risatine di sottofondo, e non avevo niente da fare. Quindi perché no? Una puntata fantastica. Ho subito capito che Karen sarebbe stato il mio personaggio preferito. Non avevo ancora capito che tutto il telefilm avrebbe pian piano scalato la classifica dei miei serial preferiti. Col passare del tempo avrebbe debellato il Dr House, sorpassato Heroes e addirittura detronato Friends. Ohhh myyy Goood (come direbbe la ricorrente ragazza di Chandler).

E così, due giorni fa, col classico sacchetto di biscotti e un’inusuale Fanta che sostituiva momentaneamente il succo alla pera (ecco come mai poi mi gonfia la pancetta! colpa dei telefilm…) ho visto l’ultimo episodio dell’ultima serie di Will & Grace. Otto stagioni, più o meno centosettanta episodi. Mi hanno fatto ridere, commuovere, ingrassare, ma soprattutto mi hanno insegnato tante tante tante cose, alcune di queste fondamentali. Per questo lo consiglio a tutti!

E adesso… il toto-telefilm. In cosa consiste?
Beh. Adesso sono sprovvisto di un telefilm da guardare. Quindi, poiché ne esistono tantissimi in circolazione, la scelta è difficile. Mi consigliate?
Vi do alcune dritte.

1) Preferirei non teen drama, grazie. Roba tipo Beverly Hills, Dawson Creek, OC, Gossip Girl, Summerland, One Tree Hill… No, no. Non finiscono mai e nessuno si mette mai con quello che vorresti tu. E poi sono totalmente inverosimili! Nessuna ragazza va a scuola con gli stivali e non esiste che tutti i ragazzi della città siano dei fenomeni a surfare. Quando avevo sei anni guardavo Beverly Hills con mio papà – era un appuntamento fisso – e probabilmente ne sono rimasto scioccato.

2) Non Lost. Sì, lo so, è bello, etc etc. Ma ci ho provato. E arrivato alla tredicesima puntata, ho detto basta. Il meccanismo di Lost è semplice: ad ogni puntata creare un mistero nuovo e non risolvere quello precedente. Certo, può essere accattivante all’inizio, ma dopo tredici puntate comincia a stuccare. E quando oltre ai segnali radio, oltre al mostro, oltre ai furti, oltre ai cinesi, oltre alle premonizioni, oltre all’assassino, oltre agli abitanti, oltre a tutto questo si è aggiunta UNA BOTOLA… no, basta, basta, grazie.

3) Ho visto il Smallville fino alla quinta stagione (sapete, la stagione dove la kriptonite la trovavi anche nelle barrette di cioccolata) e il Dr House fino alla quinta stagione (ehi, ora che ci penso mi fermo sempre alla quinta!). Quindi quelli no, li conosco. Ho visto anche Heroes fino alla terza stagione, e i primi quattro episodi di Supernatural. E quattro episodi bastano per afferrare questo semplice concetto: Supernatural è prevedibile e completamente privo di trama. Credo che sia stato creato per far sfilare i due protagonisti. Dicono che sono attori ma più che altro sono modelli.

Ecco, non dovrebbero esserci altre indicazioni da dare.
Mi raccomando, conto sul vostro aiuto!


P.S. Domattina ho un esame. E non sono agitato. O sto guarendo, o ho una malattia ben più grave.

Acquario superstar

Sì, lo ammetto: leggo l’oroscopo tutti i giorni. Non perché ci creda, figuriamoci. Ma la mia astrologa di fiducia – che si chiama Ivana Raffa e se la conoscete di persona vi prego di darmi il suo indirizzo così una volta o l’altra vado a casa sua e la gonfio come un tamburo – è probabilmente del mio stesso segno, così mette tutte le previsioni a mio favore.

Ora, tutto ciò è da un lato positivo. E’ per questo che leggo l’oroscopo quotidianamente. Non ci credo, ma almeno mi fa cominciare bene la giornata. Con tutti questi incontri che farò oggi; con lo charme che avrò oggi; con la spiccata simpatia e il brillante talento che proprio oggi manifesterò; e con tutta un’altra serie di stronzate che oggi farò e avrò.

Dov’è la fregatura? Che puntualmente niente di tutto ciò si avvera. Ed è per questo che, nonostante legga l’oroscopo tutti i giorni, non ci credo. Ogni giorno spero che qualcosa di straordinario accadrà sul serio, e poi è sempre il solito e grigissimo trantran (o tramtram?).

Un attimo, però. Io mi rispecchio nella descrizione del mio segno, cioè l’Acquario. Qui una digressione ci vuole. Dunque, io credo che i segni zodiacali siano studiati ad arte da una mente diabolicamente geniale che ha diviso le caratteristiche umane in dodici gruppi, e le ha divise in maniera tale che chiunque si possa rispecchiare almeno un pochino in ognuno di questi gruppi. Questa è la spiegazione razionale che la mia impostazione scientifico-tecnologica necessita per sopravvivere. Purtroppo il mio cervello pensa questo, e anche se a volte mi impongo la romantica accettazione dell’astrologia come materia verosimile e possibile, le mie sinapsi non riescono a sostenere il peso di questa visione trascendentale. Come diceva un filosofo dell’era moderna di cui non ricordo il nome (…Feyerabend? Esiste? Può darsi fosse lui?) viviamo in una società che rifiuta ogni forma di conoscenza che non sia la scienza. E questo è triste, in effetti, perché ci limita le nostre potenzialità in una maniera incredibile.

Dicevo, prima di questa riflessione psico-filosofica, che mi rispecchio, quantomento sommariamente, nella descrizione dell’Acquario. Mi riconosco abbastanza nei pregi e nei difetti. Però ogni oroscopo che leggo non ci azzecca mai! Anzi, a volte succede il contrario. E quando succede il contrario… beh, mi arrabbio! Mi sento un attimino preso in giro, e sentirsi presi in giro dalle stelle non è esattamente un divertimento. Comunque, l’oroscopo di oggi mi ha particolarmente colpito. Per cui lo riporto qui, perché magari un giorno ci riderò. Per adesso, riesco solo a produrre smorfie sbilenche, che solo a un visionario potrebbero apparire come sorrisi.

Ritmo intenso che rivela un bel fermento di idee e molta voglia di darsi da fare in campo esistenziale. Tutti sono ai tuoi piedi, anche quella persona che non ha mai osato rivolgerti la parola cadrà ben presto nella tua rete. Nuovi incontri? Con Gemelli, Leone e Bilancia possono nascere storie interessanti e con Sagittario e Capricorno ottime collaborazioni.

Il dimentica-giorni

Dunque, la cosa sicura è che io non ho memoria. O meglio: ce l’ho, ma non mi funziona molto bene. Ricordo solo le cretinate più assurde, e ovviamente le cose tristi (ma quello è normale, quindi non è molto interessante). Per esempio, ricordo che in quinta elementare avevo usato il pennarello verde per depennare “pasta al pesto” dal menù della mensa. E ricordo che alle medie avevo trucidato un’intera gomma per tirarla addosso a Martina L, ma la prof di italiano mi scoprì e rovinò il piano diabolico che avevo architettato (parentesi: deve essere da quel momento che la maledizione della gomma mi colpì, e da allora fui condannato a disegnare cose senza senso sul quaderno, e a cancellarli subito dopo. Un vizio che è durato per tutti e cinque gli anni di liceo – mi chiamavano Cancellino, da tanto che usavo la gomma – e che mi porto ancora dietro. Finiamo ‘sta parentesi, va’…). Poi ricordo che alle superiori la prof mostrò a tutta la classe un mio schemetto di storia, che secondo me era orribile, ma che evidentemente a lei piaceva. Vi garantisco che era una cosa inguardabile; da tanto che avevo premuto col pennarello c’era anche venuto un buco veramente antiestetico. Il primo ricordo che ho è di me seduto sul mobiletto del telefono a chiedere a mia madre lo yogurt all’albicocca. La leggenda vuole che la prima parola che ho pronunciato sia stata “Cocca” che sta appunto per “Yogurt all’albicocca”, ma queste sono solo voci mai verificate. Da piccolo mangiavo un sacco. Ed ero anche bello paffuto, non come adesso, che se mi vedesse un egizio mi mummificherebbe.

Tutto questo patetico preambolo sarebbe dovuto servire per dire che ci sono ricordi che, sebbene siano cazzate incredibili, non vorrei eliminare. Oddio, dello schemetto di storia ne farei volentieri a meno. Però ci sono altre cose che invece mi piacerebbe dimenticare. Pensieri, eventi passati, giornate. Oggi, per esempio. Vorrei svegliarmi domani e non essere consapevole di quel che è accaduto oggi. Passare dallo ieri al domani. Solo per questa volta, sia chiaro. Conosco la storiella che ieri è passato, domani è un mistero, ma oggi è un dono, per questo si chiama presente. Sì, sì, lo so, evviva, non ci son più le mezze stagioni, mangiare frutta e verdura fa bene, il nuoto è lo sport più completo. Okay. Però no, sono un attimino nervosetto. Ci vorrebbe che qualcuno inventasse un oggetto per me. Il dimentica-giorni. L’ho pensato così: si indossa un casco (lo immaginerei rosso con disegnate delle saette gialle, ma se poi è di qualche altro colore va bene lo stesso), a cui sono collegati tutti dei cavetti blu (che anche se non sono blu è lo stesso, insomma…) che fanno capo a una macchinetta. Qui si imposta il giorno, poi si preme il tastone verde al centro (che anche se non è verde… oh, diamine, avete capito!). E ta-daaan! Giornata scomparsa. Oh, sì, farebbe al caso mio.

Vorrei essere

Vorrei essere un poliziotto. Di quelli che vanno a giro in borghese, coi jeans belli e il giacchetto di pelle bello. Si riconosce subito un poliziotto in borghese: hanno i jeans belli, il giacchetto di pelle bello, gli occhiali da sole (belli) e la classica espressione io-sono-un-tipo-tosto. E’ meraviglioso quando partono a correre, scattano verso il criminale impugnando la pistola, lo bloccano in una strada senza uscita (che è sempre la solita strada senza uscita, con i muri altissimi su tre lati e un bidone dell’immondizia) e, con la sicurezza di chi sa di essere superfighissimo, gli dicono: “Sei arrivato al capolinea, amico”.

Vorrei essere un medico. Ma non un medico di famiglia, o un medico noioso della vita di tutti i giorni. Con tutto il rispetto per loro, ovviamente. Il medico che vorrei essere avrebbe tutta una sua filosofia, tutto un suo stile. Chessò: cinico all’estremo, dal sarcasmo facile, costretto a camminare con un bastone, assuefatto di antidolorifici… Ah, già è stato inventato?

Vorrei essere un calciatore. Una trentina di miliardi per stipendio, una trentina di vocaboli di lessico, una trentina di micrometri cubici di dimensioni cerebrali, una trentina di secondi come tempo di reazione. No, non sto generalizzando. E’ scientificamente provato che la grandezza cranica di un calciatore è inversamente proporzionale al suo conto in banca. Ed è ormai assodato che l’incapacità di pensare sia uno dei pregi più utili che si possa avere.

Vorrei essere un fisico. Perché io non riesco proprio a concepirla questa ossessione di volersi spiegare i fenomeni naturali, a chiedersi il motivo di ogni cosa che accade. Beh, quando è utile, quando porta benessere, quando è giusto, allora sì. Ma di norma io preferisco il mistero, la suspense, l’ignoto. E restare stupito. Mi ricordo che quando la maestra di scienze mi spiegò come si forma l’arcobaleno io andai a casa tutto mogio. Per forza: mi aveva rovinato la poesia. Peggio che dirmi che Babbo Natale non esiste (cosa che, tra l’altro mi disse un’altra maestra. A pensarci bene… io avevo proprio delle maestre terroriste!).

Vorrei essere un regista. Che è la piena espressione del potere. Il suo compito è avere il controllo di tutto ciò che accade nel loro mondo. Un regista sa come muovere i burattini, sa come disporre i dettagli, sa come pronunciare i verbi. Muove una mano, schiocca le dita, apre le labbra e ordina il suo volere. Lui è il Dio, e gli altri non sono altro che un’inutile accozzaglia di organi.

In realtà… no, non vorrei essere niente di tutto questo. Ma scriverlo è stato – in qualche modo – divertente.

Goccia di pioggia sognante

Marzo è iniziato, ed è iniziato in modo pessimo.
Per esempio, piove.
Piove. Anche adesso, piove.
Infatti alzo il volume della musica, per non sentire altro. Che poi il ticchettio frenetico sulla tastiera ricorda tanto la pioggia che arriva giù, per cui ci dovrei essere pressoché abituato.
Pensavo: è buffa, la goccia di pioggia, no? Sfreccia giù incazzata nera, convinta di distruggere tutto, urlando che nessuno la può fermare. E poi: tic. Desolante. Dovrebbe prendersi un po’ meno sul serio, secondo me. Ho capito: si illude! Sì, si illude mentre scende, si illude di poter inondare, di affogare, di sommergere, di annegare, di affondare, di inabissare, di travolgere. Ma poi: tic, l’impatto. Ah ah ah. E’ solo una goccia di pioggia sognante. Cosa può fare contro il suolo, quel suolo freddo e sconfinato e duro e razionale? Terra compatta, fatta di convenzioni e concretezze. Solida roccia, una fusione precisa di regole e stereotipi. E allora eccola: cozza in un urto violento contro la superficie, poi sembra smarrita, trova una via nel terreno, filtra attraverso i granelli, scivola giù. E poi muore. Muore, la goccia di pioggia sognante, portando ancora dentro sé i ricordi – ormai relitti evanescenti – delle proprie speranze.