• La situazione è complessa, ma è normale che lo sia

21 AGOSTO 2018
Cose che penso

Quando ho letto che Asia Argento avrebbe molestato sessualmente il giovane attore Jimmy Bennett mi è venuto istintivo di sbuffare. Dopo diverse ore dall’uscita della notizia vorrei ritrattare la mia reazione a caldo, quel soffio scocciato fuoriuscito troppo velocemente dalle mie labbra; ma siccome non hanno ancora inventato il CTRL-Z della vita per cancellare le proprie azioni sublimerò il mio rimorso scrivendo un lungo post in cui spiego il motivo per cui non avrei dovuto sbuffare.

Innanzitutto c’è il fatto che stiamo parlando di una molestia, che per di più sarebbe stata subita da una persona minorenne (sempre che la notizia venga confermata, perché Asia Argento ha appena smentito). Non è esattamente come leggere di un gatto bloccato su un albero, con tutto il rispetto per i gatti e le loro arrampicate nei parchi. La vittima, in questo caso, è un uomo, ma ciò non cambia assolutamente niente, se non forse le centinaia di tweet idioti secondo i quali un uomo degno di questo nome dovrebbe solo essere felice di essere stato molestato da una donna. Ma d’altra parte mettere in discussione il ruolo della vittima è lo sport preferito dai commentatori del web: stavolta è un maschio, reo di non esserlo stato abbastanza; quando è una femmina, il tribunale dei social network è ancora più rumoroso nel dire cosa avrebbe e non avrebbe dovuto fare.

Ma c’è un secondo motivo per cui adesso ritengo che sbuffare sia stata una reazione inappropriata: e cioè che più che sbuffare avrei dovuto infuriarmi. E qui c’è subito da fare una parentesi che trovo un po’ scontata. La molestia di Asia Argento a Jimmy Bennett non cancella in nessun modo quella di Harvey Weinstein subita da Asia Argento. Due molestie si sommano, non si annullano, come sostiene giustamente Irene Facheris di Bossy. Probabilmente è giusto che il #MeToo, il movimento nato dopo le denunce di molestie a Hollywood, prenda le distanze da Asia Argento che finora era stata una delle icone di questo movimento, una delle prime a denunciare il produttore americano e a spendersi, anche in Italia, in battaglie contro le molestie. Ne parla bene Giulia Muscatelli su Esquire: “il testimone di una causa può anche essere imperfetto, ma non può mai, per nessun motivo, apparire ipocrita.”

Perché sbuffare, allora? La notizia di Asia Argento che molesta un ragazzo non inficia sul senso e sullo scopo del #MeToo, ma probabilmente ne complica il racconto. Come faccio a spiegare la giustizia di un movimento femminista a una persona che è già titubante nei confronti di tutta la questione (perché non è bene informata, o perché magari ha altri problemi, o forse solo perché Asia Argento le sta un po’ antipatica) se proprio una delle sue prime voci si macchia della stessa colpa che quel movimento combatte? Posso ancora fare attivismo, è ovvio, perché il #MeToo si basa su dei valori che non hanno necessariamente bisogno di un testimonial. Ma è più complicato, perché questa faccenda può essere utilizzata contro il movimento (con una facilità di persuasione impressionante, a giudicare dai commenti che ho letto nelle ultime ore).

La situazione è complessa, ma ci sono due risvolti positivi, due opportunità da cogliere. La prima è che abbiamo finalmente l’occasione di far passare il messaggio che le molestie non sono una questione di donne e uomini, ma di potere. Una conclusione a cui si poteva arrivare anche dopo il caso Kevin Spacey, di cui ho parlato qui, oppure, più recentemente, dopo che il fotografo Rick Day è stato accusato da quattro modelli (purtroppo la notizia è stata poco ripresa dai giornali italiani e dai movimenti femministi in generale: peccato, poteva essere un buon modo di fare attivismo). In entrambe le situazioni non è coinvolta nessuna donna, a dimostrazione che non è una questione di genere maschile e femminile, in cui una parte rappresenta sempre il carnefice e l’altra la vittima. Stiamo parlando di potere, di chi ne abusa e di chi non ne ha.

La seconda opportunità: dire che è complesso, e che va bene così. Ho la sensazione che le persone abbiano bisogno di capire che la battaglia femminista è complessa. Che non si può capire tutto e subito, ma che bisogna informarsi, essere sempre aggiornati e scendere a un livello di profondità maggiore di quello a cui siamo abituati. Che non è sufficiente leggere il titolo di un giornale per potersi fare un’opinione. E questo vale per gli scandali delle molestie a Hollywood, ma vale anche per qualsiasi altra cosa. Migranti, vaccini, omogenitorialità, burqa, crocifissi, terrapiattismo, ONG, estrema destra, potrei continuare all’infinito citando tutte le questioni su cui noto agitarsi le masse.

Quando qualcuno mi chiede informazioni sulla gestazione per altri (o utero in affitto, come spesso dicono), sul matrimonio egualitario, sulle persone transgender, io faccio sempre la stessa premessa: la situazione è complessa. Non si può pretendere che sia facile, perché non è facile. Abbiamo a che fare con delle persone complesse e con le vite complesse di persone complesse che si intrecciano tra loro in modo complesso. E abbiamo a che fare con delle persone che non conosciamo. Pensare di poter capire tutto e subito è impossibile. Pensare che bastino un tweet o dieci righe di Wikipedia per comprendere un fenomeno è assurdo. Pensare di avere la stessa voce in capitolo di chi studia una questione da anni, o ci è dentro fino al collo, o le ha dedicato l’esistenza, è un’abitudine da combattere. Quello che possiamo fare è smettere di essere pigri e informarsi bene prima di decidere da che parte stiamo, e mettere in dubbio tutto, sempre.

Questo ora possiamo dirlo: la situazione è complessa e abbiamo bisogno di voi.

Roba affine

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