• La figa

31 GENNAIO 2017
Beh… cazzate

Saluto mamma, papà e il cane, che non mi caga di striscio, e salgo sull’autobus.

(è un Flixbus, per la precisione, cioè fa parte della compagnia di autobus lowcost, praticamente la Ryanair dei pullman, c’è internet sopra, e lo specifico perché se Flixbus, vista l’esperienza traumatica che ho vissuto, volesse regalarmi dei buoni viaggio o delle migliaia di euro, io non rifiuterei).

Poiché l’autobus è pieno, mi siedo nella penultima fila. Il ragazzo che sale dopo di me si deve spingere fino all’ultima, dove si trovano già altri due tipi. Poiché questi tre personaggi dell’ultima fila sono i protagonisti del mio racconto, e poiché non ho fatto in tempo a registrare i loro nomi di battesimo, li chiameremo con attributi utili a descrivere le loro caratteristiche psicofisiche:

  1. il primo, quello che sale dopo di me, sarà da ora “il pervertito“;
  2. il secondo è un ventiquattrenne che a causa di un colloquio di lavoro dalla Sicilia cerca di raggiungere Torino in Flixbus (anche lui si merita un buono viaggio, ragazzi…), e lo chiameremo “il panettiere” per la sua professione;
  3. il terzo non mi comunica grandi sensazioni, e per questo il suo epiteto corrisponderà a una mera considerazione fisica, e cioè: “il capellone brutto“.

Il pervertito, il panettiere e il capellone brutto non impiegano tanto tempo a diventare migliori amici per la vita, e non abbiamo nemmeno passato Spezia che sono già in vena di confidenze.

“Ragazzi” comincia il pervertito, che sta per rivelare le origini del proprio appellativo, “ma quanto è bella la figa”.

Se fossi Jennifer Aniston, sospirerei, come sa fare lei, con quella faccia didascalica da sit-com che era tanto apprezzata negli anni Novanta. Non sono Jennifer Aniston, e vivo nel 2017, quindi mi limito a registrare quella frase come una constatazione tipica del maschio eterosessuale ultraventenne che avrei sperato di non incontrare su un pullman.

“Ma quanto è bella la figa!”, ripete il pervertito, e gli altri due si sentono in dovere di approvare con una risata.

Dopodiché parte una conversazione piena di perle che purtroppo non sono in grado di riportare fedelmente, ma che verte sui seguenti concetti:

  • la figa è un lavoro: quando il pervertito va a ballare, in realtà va a baccagliare. Durante l’estate ha raccolto in disco ben dodici numeri, di cui sei è riuscito a certificare. Credo di avere intuito che la certificazione è conseguita dopo che la vagina viene deflorata. Sei su dodici è considerato un buonissimo rapporto sia per il pervertito penetratore, che per il panettiere e il capellone brutto, i quali non raggiungono una percentuale tale dai tempi d’oro dell’adolescenza;
  • la figa spagnola è diversa da quella italiana, in quanto tendenzialmente più lasciva. Mentre le italiane non si concedono, le iberiche si sdanno come il pane. Non solo: la caratteristica più ammirevole della figa spagnola è che ti cerca. Pensate che sulla Rambla una figa spagnola ha preso il pervertito a braccetto e gli ha chiesto dove stesse andando. E poi lui ha certificato. Un amico del panettiere che vive a Malaga e lavora in un negozio di telefonia, ha certificato sei colleghe su otto, percentuale ancora maggiore rispetto alle performance del pervertito, soprattutto se si pensa che le due colleghe con cui il tipo non ha giaciuto erano stagiste;
  • la figa lesbica è comunque una figa, e quindi desiderosa di minchia. Il pervertito, che di professione fa il rappresentante (oltre al certificatore di figa, che ricordiamo essere un lavoro, cfr punto primo), è convinto che per vendere alle lesbiche basterebbe attuare la solita strategia che funziona con la figa standard: sorridere. Se hai la minchia e sorridi, qualsiasi figa si scioglie e compra le cose del pervertito, che sia lesbica o etero. Non è chiaro, né nessuno ha chiesto, se esista o abbia qualche voce in capitolo la figa bisessuale;
  • la figa ligure è brava a fare una cosa in particolare, almeno secondo quanto ha sentito dire il capellone brutto, che ha provato una popolazione campione di ben due fighe liguri. Ma la vera domanda, che mi sono posto ahimé soltanto internamente, è: la figa di Recco si chiama la figaccia?

Arriva il momento in cui mi domando se non sia il caso di farmi i cazzi miei. È vero che loro praticamente gridano il loro amore per la vagina, ma sono arrivato a un punto tale da avere un eccesso di informazioni. Sono praticamente etero.

E il pullman fa tappa a Genova, dove avviene un colpo di scena che nemmeno nel migliore episodio di Westworld. Sale un ragazzo che, arrivando a sedersi nell’ultima fila con i protagonisti di questo racconto, merita un epiteto adatto. Lo chiameremo Pippo, perché in questo momento non mi vengono nomi migliori.

Subito i tre caballeros cercano di fare amicizia, e la conversazione riprende gioiosa con i classici convenevoli che si fanno quando si conosce qualcuno su un mezzo pubblico. Fino a:

“e tu sei di Genova?”
“No, no, sono di Torino.”
“Ah, come me! Ed eri a Genova in vacanza?”
No, ero a trovare il mio ragazzo.

Silenzio.

Poi: “Ahhhhh!” cioè quell’esclamazione di consapevolezza per dire che ehi, noi siamo dalla tua parte, Pippo, non c’è assolutamente nessun problema perché è una cosa okay anche se non avevamo mai sperimentato un coming out dopo quindici minuti di conoscenza, e non avevamo mai pensato che potesse essere normale, quotidiano, bello vivere in un mondo dove dire Quanto è bella la figa è come dire Ma quanto è bello il cazzo, un mondo dove dire che sono andato a trovare il mio ragazzo nel weekend non equivale a fare coming out, e va bene, facciamo “Ahhhhh!” all’unisono perché così ti facciamo capire che hai fatto bene, Pippo, anzi, devi continuare a essere così, tranquillo e genuino, ci piacerebbe questo mondo, lo vogliamo anche noi, è grandioso che tu voglia viverci e contribuisci a viverci, anche se a noi ci pare ovvio che ci piace la figa.

E poi la conversazione prosegue tranquillamente.

Parlano di viaggi, di lavoro, di ingegneria elettronica, e di figa.

Roba affine
2 commenti
  1. rabb-it
    rabb-it dice:

    Ricordami che devo raccontarti una cosa.
    Ora non posso che sto spegnendo il computer e ho solo questa finestra aperta. (Mo la chiudo prima che fa corrente!)

    Domani.

    Ciao

    Rispondi

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